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Nel dibattito sulla zonazione tra i vigneti del Brunello irrompe la “voce” di Jacopo Biondi Santi. “Individuare 8 sotto zone per comunicare al meglio il territorio e le sue peculiarità”. Ma l’obiettivo è la “denominazione di origine aziendale”

Italia
Jacopo Biondi Santi con le Vecchie Riserve 1888 e 1891 nel caveau della Tenuta Greppo

Il dibattito sulla zonazione, tra i vigneti del Brunello di Montalcino, non ha mai realmente spiccato il volo: tanti i punti di vista, spesso discordanti, ed una voce che si alza su tutte, quella di Jacopo Biondi Santi, alla guida della Tenuta il Greppo, dove l’epopea del grande rosso toscano è iniziata, più di un secolo fa, che nella zonazione vede, innanzitutto, “l’opportunità per valorizzare il territorio ed il suo prodotto di punta, il Brunello, una mossa che avvantaggerebbe innanzitutto i produttori, perché il mercato - racconta Jacopo Biondi Santi a WineNews - ha bisogno di messaggi sempre più precisi”.
Il primo passo? L’individuazione di 8 grandi sotto zone, “ripartendo i 24.000 ettari seguendo i quattro punti cardinali, e dividendo queste quattro aree in senso altimetrico, sopra e sotto i 250 metri”. Un primo passo, che sarebbe comunque sufficiente ad individuare perlomeno le differenze più macroscopiche. “Altura ed esposizione sono fondamentali nel comportamento del Sangiovese - continua Biondi Santi, che nel capitale di Tenuta il Greppo ha recentemente accolto il gruppo francese Epi, della famiglia Descours, tra le più ricche di Francia, con un patrimonio stimato di oltre 1,1 miliardi di euro e con marchi di alta gamma del mondo del vino, come gli Champagne Piper-Heidsieck, Charles Heidsieck e Chateau La Verrerie, nella Valle del Rodano - così come i terreni: argilla galestro e tufo caratterizzano già le diverse sotto zone di produzione del Brunello”.
Ma non sarebbe che un primo passo, perché l’obiettivo è più ambizioso, ed ha un nome preciso: “l’ideale - approfondisce Jacopo Biondi Santi - sarebbe quello di arrivare ad una denominazione di origine aziendale, in cui ogni produttore rivendichi le caratteristiche dei propri vigneti, ma per farlo non basta l’impegno delle singole aziende, ci vuole un lavoro organico, fatto da un ente super partes, come il Consorzio”. Un percorso del genere, però, porterebbe anche ad un ripensamento del disciplinare di produzione, perché “è impensabile pensare di vincolare un territorio che accoglie così tante differenze, alle stesse tempistiche: è giusto che il Brunello stia in cantina per i 4 anni e mezzo previsti dall’attuale disciplinare, e sono convinto che si possano raggiungere grandi risultati ovunque, ma con approcci diversi. Sul versante che guarda a Buonconvento, solo per fare un esempio, dove dominano i terreni argillosi a pochi metri sul livello del mare, si possono produrre vini di grande eleganza, ma con un periodo inferiore in legno, non servono i 3 anni”.
Una vera e propria sfida quella lanciata da Jacopo Biondi Santi, in un territorio che “non può permettersi di rimanere indietro su nessun aspetto, perché la competizione, specie sui mercati esteri, è sempre più grande, ed un passaggio del genere - aggiunge Jacopo Biondi Santi - permetterebbe di fare un passo avanti verso una comunicazione più precisa e puntuale, consapevoli del fatto che Montalcino ha una storia enoica di almeno 300 anni, non ha nulla da invidiare, ad esempio, a quella del Barolo. Sarebbe utile per tutti, anche per i giornalisti ed i critici, che avrebbero più punti di riferimento per giudicare i diversi Brunello - conclude Biondi Santi - magari superando anche il giudizio all’annata dato pochi mesi dopo la vendemmia. Meglio sarebbe aspettare i risultati dalle singole aziende, giudicando magari le diverse sotto zone, perché in una stessa annata si possono verificare dinamiche diversissime: dalla grandine agli attacchi di oidio, dare un voto generale ad una vendemmia è sempre difficile”.

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