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L’import enoico? E’ anche una questione politica. Almeno in Cina, dove il segretario della China Association for Liquor & Spirits Circulation Zhao Yu prevede - e forse ammonisce - che la quota di mercato delle importazioni non supererà il 40%

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L’import enoico è anche una questione politica, almeno in Cina

Nonostante i quattro anni di calo consecutivi, la produzione di vino nazionale della Cina non cederà ulteriore terreno alle importazioni enoiche: è un messaggio multiforme quello che Zhao Yu, vicesegretario dell’associazione di categoria China Association for Liquor & Spirits Circulation, ha rilasciato recentemente alla stampa di settore del paese, e che predice, fra le altre cose, che la quota di mercato delle etichette straniere non supererà il 40%, dal 30% attuale.
Il contenuto delle dichiarazioni pubbliche di Zhao Yu si presta a più di un’interpretazione, specialmente se analizzato in un contesto nel quale le importazioni continuano a salire a doppia cifra anno su anno (+15% nel 2016, a 638 milioni di litri), e con l’imbottigliato a +21,8%, a 481 milioni). Non a caso, Yu ha subito sottolineato che la quota di mercato della produzione domestica “si è stabilizzata intorno al 70%, una performance soddisfacente”, e non ha mancato di rimarcare anche l’aumento della qualità media e le buone prestazioni sul mercato delle etichette non di punta, ma ha dovuto comunque ammettere che, anche in luce del vistoso rallentamento dell’economia domestica, “è ovviamente troppo ottimistico aspettarsi una forte crescita per il mercato enoico cinese nel prossimo futuro”. Ovviamente, in primis per i produttori indigeni, il cui output totale si è flesso di un ulteriore 1% lo scorso anno, a 113,7 milioni di litri, mentre nel contempo il numero di operatori nel settore dell’importazione di vino è decuplicato negli ultimi tre anni, sebbene i margini, come succede abitualmente, si stiano assottigliando, specialmente per etichette che non è azzardato definire come commodities in tutto e per tutto. Inoltre, lo scoglio della percezione del vino estero da parte della classe media cinese, ancora ben lontana dal cosmopolitismo quotidiano, secondo Yu si traduce in una sorta di “paracadute culturale” per l’industria nazionale, che, ha aggiunto, sta sostanzialmente trovando il proprio passo e la propria strada - ma un’industria alla quale, però, mancano ancora “le ossa”, per così dire, ovvero associazioni di categoria, un sistema di promozione unificato, la creazione di standard produttivi e culturali e così via.
Messaggi confortanti e ammonenti al tempo spesso, insomma: le frasi di Yu possono sembrare un incoraggiamento paternalista nei confronti dell’industria domestica del vino, ma vanno comunque viste in un contesto nel quale, per certi versi, la millenaria “sindrome d’assedio” del fu Regno di Mezzo si estrinseca ancora oggi in una sorta di autarchia di riflesso. Anche nei confronti delle etichette estere, la cui quota di mercato, almeno per l’imbottigliato, ha raggiunto il 29,58%, in aumento di quasi 3,6 punti percentuali rispetto al 2015.

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