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“Vogliono quello che vogliono, quando lo vogliono”: i Millennials americani sono meno dei Baby Boomers e confondono il mercato del vino. Secondo la Silicon Valley Bank potrebbero non essere l’ancora di salvezza in cui spera l’industria del vino

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Secondo la Silicon Valley Bank i Millennials americani potrebbero non essere l’ancora di salvezza in cui spera l’industria del vino

I Millennials saranno davvero all’altezza delle aspettative, quell’ancora di salvezza su cui sta puntando l’industria del vino? Oltreoceano per la prima volta si sta facendo marcia indietro su un immaginario che si dava per certo, alla luce di una serie di considerazioni, nate dal Rapporto “State of the Wine Industry 2017”, redatto annualmente dalla Silicon Valley Bank (www.svb.com), un’istituzione nel settore del vino sul suolo statunitense. Pare non siano davvero loro a consumare e spendere di più per il vino e questa notizia sarebbe saggio non sottovalutarla: i Millennials rappresentano il nuovo mercato enoico e per potervi andare incontro a livello produttivo si stanno investendo non poche risorse per studiarne le dinamiche, i gusti, le possibilità di spesa. Anche in Italia sono usciti recentemente dati a riguardo, che fotografano una generazione che si muove nel mondo enoico grazie alla tecnologia e ne sa e ne consuma ormai più dei genitori e dei fratelli maggiori: fotografia che coincideva appieno con quella scattata in Inghilterra e negli Stati Uniti. Fino a qualche giorno fa.
In un’intervista rilasciata a Meininger’s Wine Business International (www.meininger.de), il fondatore della Divisione Vino della SVB, Rob McMillan, spiega che, secondo i loro sondaggi, le cantine dichiarano i Millennials come la generazione che attualmente spende meno rispetto alle altre: “La Generazione Y è così ricercata perché vuole viaggiare, esplorare i gusti e provare cose nuove. Ma la loro ascesa potrebbe non essere un trend così positivamente uniforme per l’industria del vino”. E queste parole sono supportate da uno studio economico-finanziario del settore, che alla Divisione Vino portano avanti anno per anno sin dal 1990 e che comprende la collaborazione di un numero notevole di cantine (dalle 550 alle 800).
E il Report 2017 dimostra che, nel paese in cui, a differenza dell’Europa, il consumo di alcool è sempre in aumento (di 1-2 punti percentuali per anno), sono ancora i Baby Boomers a dominare il consumo di vino, anche se in progressivo calo dato che stanno irreversibilmente entrando nell’età pensionabile e quindi nella gabbia dello stipendio fisso: rappresentano il 41% del mercato e sono i responsabili della sua crescita degli ultimi 20 anni. I giovani consumatori hanno invece un impatto minore sul consumo (il 17%) ma sono significativi sulla fascia di prezzo medio bassa, che va dagli 8 ai 14 dollari: perché i Millennials sono parsimoniosi, non guadagnano quanto le precedenti generazioni alla loro età; si comportano probabilmente in modo molto più simile alla generazione cresciuta nella Grande Depressione del ’29, che non buttava mai niente e comprava solo vini economici.

“Se vedono che un bicchiere di vino costa 11 dollari e una birra di qualità invece ne costa 6, scelgono la birra. E non solo – spiega McMillan - se una bottiglia di vino al commercio è venduta a 25 dollari, non la compreranno al ristorante per 50 dollari. Il consumatore giovane approccia il vino in una fase di scoperta. Ne parlano, ricercano, lo condividono e sperimentano. Sono ambivalenti nella scelta di bevande alcooliche a questo stadio, ma ne sanno di più di quanto sapessero i loro genitori alla loro età - aggiunge McMillan - detto questo. Il vino è un tema che intimoriscene la Generazione Y è impaziente: vogliono quello che vogliono, quando lo vogliono e ciò confonde”.
C’è poi un’altra differenza qualitativa fra i Millennials e le generazioni precedenti: questi ultimi hanno da sempre preferito il brand al contenuto della bottiglia, mentre i primi sono stati il principale sostegno al “red blend” trend. Tendenza iniziata nel 2004 con l’uscita sul mercato di un blend amabile fatto di Syrah, Zinfandel, Merlot e Cabernet Sauvignon e che ebbe un tale successo da diventare nel 2014 la terza categoria di vino più venduta dopo lo Chardonnay ed il Cabernet Sauvignon: secondo Food and Beverage Magazine più del 30% dell’etichette nuove che escono sul mercato degli Stati Uniti sono uvaggi rossi, che permettono alle aziende di andare incontro ai gusti dei consumatori in modo più flessibile (secondo il detto “what you don’t like goes in blends you like”).
“I blend rossi sono la soluzione quotidiana che rende il vino più facile da comprendere per il consumatore più nuovo – continua McMillan - Niente più legami verso disorientanti nozioni sulla vendemmia, sulle varietà e sui territori di cui i genitori hanno buona padronanza. I Millennials ripogono i loro palati nelle mani di grandi case vinicole che prendono grandi masse di succo d’uva e lo trasformano in uvaggi interessanti, ma non peculiari”. Certo, i gusti cambiano e la tendenza sugli uvaggi rossi potrebbe finire un giorno, ma nessuno oggi è in grado di immaginare verso quale settore si potrà spostare l’attenzione della Generazione Y: forse un ritorno di attenzione verso i vini domestici, quando avranno finito di esplorare il vino mondiale, mondo che bevono molto più di quanto facevano i loro genitori da giovani, sprovvisti degli strumenti tecnologici con cui sono cresciuti i figli.
Ciò che impatterà maggiormente sul mercato, con molta probabilità, non saranno i gusti dei Millennials, ma le loro capacità di spesa: “Ciò che sto osservando è un impatto sui boomers che stanno andando in pensione - racconta McMillan - Cosa succederà quando vivranno di uno stipensio fisso? Continueranno a comprare per le loro collezioni, o inizieranno semplicemente a bere le loro collezioni?” E cosa succederà quando i Millennials inizieranno ad avere stipendi più alti e stabili? Inizieranno a spendere di più per la qualità a cui già oggi non sono disposti a rinunciare? Gli interessi di genitori e figli potrebbero entrare in collisione: a questo punto le grandi compagnie saranno in grado di produrre vini coerenti e degni di nota in quantità di massa, per incontrare la domanda di qualità di domani?
“Oggi i baby boomers vengono sostituiti uno ad uno dai millenials” conclude McMillan, i quali potrebbero in definitiva non essere i salvatori dell’industria del vino, come molti sperano.

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