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Se essere Docg fa la differenza: è il caso del Ghemme, piccola e storica espressione del vino piemontese, conosciuta fin dai tempi dei Romani, che, al Ministero delle Politiche Agricole a Roma, ha festeggiato 20 anni di Docg

Se essere Docg fa la differenza: è il caso del Ghemme, piccola e storica espressione del vino piemontese, conosciuta fin dai tempi dei Romani, che, nei giorni scorsi, al Ministero delle Politiche Agricole a Roma, ha festeggiato 20 anni di Docg (arrivata nel 1997, mentre la Doc è del 1969, ndr). “Nel 2015 la produzione di Ghemme ha registrato un incremento superiore al +41% sulla media del periodo pre-Docg - ha spiegato Maurizio Comoli, presidente della Camera di Commercio di Novara, tra i promotori del passaggio dalla Doc alla Docg - e gli ultimi dati, forniti dai produttori, evidenziano un incremento del fatturato, che nel 56% dei casi viene realizzato con l’estero: sono proprio i mercati internazionali ad evidenziare la performance migliore con una crescita del +33% tra 2015 e 2016. In cima alla classifica dei principali Paesi di destinazione sono gli Stati Uniti, che assorbono un terzo dell’export di Ghemme. Positive anche le previsioni per il triennio 2017/2019, con aspettative di aumento delle vendite in valore”.

Una produzione piccola quella del Ghemme, che nasce dal vitigno principe del Piemonte, il Nebbiolo, che si unisce a Vespolina ed Uva Rara, coltivate in un area di appena 56 ettari che si estende sulle zone collinari del Comune di Ghemme e di parte del Comune di Romagnano Sesia, “un territorio capace di sorprendere il visitatore con le sue bellezze artistiche, storiche, architettoniche” ha sottolineato Maria Rosa Fagnoni, presidente Atl Novara, “ricco di tradizioni e di prodotti d’eccellenza”.
In effetti, la storia del Ghemme risale quantomeno ai tempi dei Romani, che proprio a “pagus Agamium”, località che ha finito col dargli il nome, erano noti coltivare veri e propri vigneti modello, con una sorta di “disciplinare” ante litteram che stabiliva i parametri e le tecniche di ogni fase del processo produttivo, dall’impianto delle viti alla coltivazione e fino all’invecchiamento. Un vino che Mario Soldati definiva “eccellente” e “di prim’ordine”, “un Gattinara più scuro, più violento. Meno trasparente, meno liquoroso, meno raffinato: ma forse più genuino”.
“La denominazione di origine rappresenta un modello di crescita, un modello faticoso, che richiede dei costi, ma che è risultato vincente, come emerge dai dati sulle esportazioni. La Docg del Ghemme rappresenta, dunque, un vanto per tutto il suo territorio e un elemento positivo per l’intero settore vitivinicolo italiano”, ha detto il viceministro delle Politiche Agricole, Andrea Olivero, nell'evento promosso dal Consorzio di tutela dei Nebbioli dell’Alto Piemonte (www.consnebbiolialtop.it), insieme al Comitato Nazionale Vini.
“Oltre a soddisfare a quanto previsto per un vino a denominazione di origine controllata, una Docg deve sottostare ad un iter più complesso e soddisfare regole più restrittive”, ha ricordato Giuseppe Martelli, presidente del Comitato Nazionale Vini. Un iter che lo stesso Martelli ha ripercorso, mettendone in evidenza le tappe salienti. “Grazie alla professionalità e alla determinazione dei produttori novaresi questi vent’anni sono stati spesi bene, elevando una denominazione di nicchia, tra le più piccole a livello nazionale, ai più alti livelli: oggi i vini Dop italiani sono 405, di cui solo 73 sono Docg e il Ghemme è tra questi”.
A sottolineare l’importanza di una crescita qualitativa è stata anche la presidente del Consorzio Tutela Nebbioli Alto Piemonte, Lorella Zoppis: “i numeri non sono un limite, se non nella nostra percezione, possiamo ancora crescere, mantenendo l’autenticità di quello che siamo. In questi anni non si è deviato verso mode più facili e i riscontri positivi sulla qualità delle nostre produzione confermano che questa è la strada giusta”.

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