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Dalla bolla dell’artigianalità all’onda lunga dei Millennials, dalla ricerca di sapori nuovi alla voglia di salubrità e localismo: ecco le 10 tendenze che animeranno il mondo degli alcolici messe in fila dall’agenzia di comunicazione britannica Kerve

Dove va il mondo degli alcolici, e quali sono le tendenze da tenere d’occhio per anticipare le necessità di wine lovers e non solo? Kerve (www.kerve.co.uk), agenzia di comunicazione britannica che lavora a fianco di brand globali, come Jack Daniel’s e Campo Viejo, ha messo in fila i 10 trend che caratterizzeranno i mercati mondiali nei prossimi anni. A partire dalla possibile esplosione della “bolla” delle “produzioni artigianali”, termine che in Inghilterra compare in 800 prodotti alimentari diversi, tanto che la National Farmers Union ha ingaggiato una vera e propria battaglia con i big della gdo, che spesso e volentieri abusano di una terminologia che ben poco ha a che fare con i prodotti che finiscono sullo scaffale. I consumatori Usa, invece, sono sempre più convinti che i brand che scelgono di raccontarsi come “organici” o “artigianali” lo facciano solo per poter aumentare i prezzi. Un disamore che potrebbe colpire in maniera particolare la birra: il 5,5% di quella in commercio attualmente in Usa è artigianale, e nel 2020 la quota potrebbe crescere fino al 20%, sempre che ci sia ancora un mercato.
Un’altra novità, veicolata soprattutto dai Millennials, è la curiosità per i sapori nuovi: c’è voglia di esotico e di novità, e la risposta arriva soprattutto dai big dei soft drinks e degli spirits, tra aromatizzazioni ardite e gusti che ammiccano ai più giovani, anche se la “nostalgia” per i grandi classici continuerà a giocare un ruolo di primo piano. Non si spegne neanche la ricerca di prodotti sani, anche quando si parla di bevande alcoliche. Il numero dei vegani è cresciuto del 360% in soli 10 anni, per non parlare dei celiaci, cui un big come Diageo ha dedicato una gamma di vodka aromatizzata gluten free, la Smirnoof Sourced, per non parlare della corsa alla certificazione vegan tra le cantine d’Europa, o della lotta ai carboidrati ingaggiata dai produttori di birra.
Un altro aspetto a cui i consumatori fanno sempre più attenzione è il packaging, non solo come involucro, ma anche come parte funzionale del prodotto, con cui creare engagement: l’obiettivo è quello di restare il più a lungo possibile tra le pareti domestiche con il proprio brand. Nel mondo del vino, l’esempio migliore è quello di Kuvee, una copri bottiglia refrigerante dotata di uno schermo a led nata dalla collaborazione con cantine come Coppola Winery e Cosentino Winery. Assisteremo, inoltre al ritorno dell’esperienza d’acquisto “fisica”: da qui al 2019 gli acquisti online in Uk toccheranno quota 19,3% di tutte le compere, ma i big dell’e-shopping, a partire da Amazon, stanno puntando sempre di più su punti vendita reali, capaci di fidelizzare i consumatori molto più del web. Nel settore degli alcolici, così, stanno prendendo, e prenderanno sempre più piede i pop-up bar, firmati sia dai big dello Champagne che dai giganti degli spirits.
Altra dinamica da tenere d’occhio è quella che riguarda il “sensory marketing”, ossia la ricerca di un’esperienza enogastronomica sempre più avvolgente, che non soddisfi solo il palato, ma anche gli altri sensi. Se la musica, in questo senso, è sempre stato il sottofondo perfetto, tanto che il Brussels Beer Project ha creato due birre da accompagnare ad altrettanti brani dell’ultimo album della popolare band britannica degli Editors, la ricerca culinaria, da Blumenthal ad Adrià, è stata capace di andare persino oltre. E non è una moda effimera quella della realtà virtuale, che ha toccato il suo apogeo con il gioco per mobile Pokemon Go (che, a a diversi mesi dal lancio, continua a fatturare 2 milioni di dollari al giorno): presto, secondo le previsioni di Kerve, le funzionalità della realtà aumentata e delle geolocalizzazione saranno al centro delle strategie anche del mondo degli alcolici.
E il vino? Dovrà fare necessariamente i conti con l’onda dei Millennials, che in Usa rappresentano già 36% dei consumi complessivi annui, e che sono pronti a sconvolgere, in meglio, il mercato. Il 17% dei giovani wine lovers, infatti, è pronto a spendere più di 20 dollari per una bottiglia, contro una media del 10% tra le altre generazioni di enoappassionati. Giocoforza, temi come quello della sostenibilità e della tracciabilità, diventeranno sempre più importanti, così come il peso di app e social, a partire da Vivino, capace di creare una comunità di 20 milioni di consumatori costantemente connessi e pronti a scambiarsi opinioni e pareri. Attenzione però, ci saranno differenze sostanziali su come quest’onda si abbatterà sui mercati: se in Usa ed Australia crescerà la curiosità per territori emergenti, nuove cantine e nuovi brand, i giovani inglesi resteranno legati a uno stile di consumo decisamente più tradizionale.
Come raccontano le ultime vicende politiche, dall’elezione di Trump alla presidenza degli Stati Uniti al voto sulla Brexit in Gran Bretagna, sembrano scricchiolare le basi del mondo globalizzato così come l’abbiamo conosciuto in questi ultimi anni, ed in questa dinamica anche i consumi, a partire proprio da quelli enogastronomici, si riscoprono sempre più “local”: secondo un sondaggio Neilsen, infatti, per il 52% dei bevitori di birra la provenienza è un fattore importante al momento della scelta. Il vino, in un certo senso, è quasi immune da questa dinamica, perché il sistema delle denominazioni lega in maniera inestricabile ogni tipologia ad un determinato territorio: lo Champagne, ad esempio, non si può produrre che in Champagne. Infine, da tenere d’occhio una tendenza già individuata da Wine Intelligence, ossia la personalizzazione del prodotto, attraverso etichette o altri dettagli capaci, grazie alle mille risorse del web, di rendere unica ogni bottiglia: in Italia, un esempio calzante è quello della campana Feudi di San Gregorio, che permette di creare la propria etichetta online.

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