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L’Italia del vino si conferma leader negli States, e può crescere ancora, seguendo anche le tendenze della ristorazione. Numeri e trend da “Vino 2017” di Ice , primo passo di un piano da 20 milioni di euro in 3 anni tra Usa e Cina (con Vinitaly)

Italia
Italia del vino ancora leader in Usa

L’Italia del vino si conferma leader tra i Paesi esportatori negli States, con un quota di mercato del 32,4% ed un export che, nel periodo gennaio-novembre 2016, ha raggiunto 1,65 miliardi di dollari ed e’ cresciuto del 5,9% sullo stesso periodo dell’anno precedente, con il nettare di bacco che rappresenta la prima voce dell’export agroalimentare italiano, e il 4% del totale del Made in Italy venduto nel mercato Usa. Ma si può crescere ancora, e tanto, se si pensa che la metà delle importazioni di vino italiano è concentrato in soli 5 Stati (New York, California, Florida, Illinois e Texas). È il quadro emerso da “Italian Wines and the American Palate: Trends and Opportunities in the U.S. Market”, tavola rotonda che ha aperto “Vino 2017 . Italian Wine Week”, evento promosso da Ice con Vinitaly International e Iem - International Exhibition Management (, che ha già toccato New York e ora fa rotta su Miami (8 febbraio).

Le possibilità di sviluppo del vino italiano in Usa passano da diverse vie. Innanzitutto la conquista del cuore dei Millennials, la generazione che è destinata a guidare il futuro del più grande mercato enoico del mondo, e che già guarda con un certo favore al Belpaese enoico visto che, secondo un sondaggio di Wine Opinions, il 34% dei consumatori più giovani, con meno di 40 anni, acquista frequentemente vino italiano, orientandosi verso prodotti di fascia media, con un prezzo di partenza sui 12 dollari a bottiglia.


Ma c’è anche una ristorazione americana sempre più importante, dove le cantine del Belpaese possono valorizzare alcuni trend predominanti, illustrati da Jordan Salcito, wine director del Momofuku Group, realtà con decine di ristoranti tra New York City, Washington DC, Las Vegas, Sydney e Toronto, come riporta “Forbes”.

Per esempio, continua a crescere l’interesse e l’appeal di vini italiani da varietà indigene meno conosciute al pubblico americano come lo Schioppettino, il Frappato, la Malvasia e così via, capaci di incuriosire con una “narrazione avvincente della loro autenticità”, e anche la voglia di vini da Regioni meno note, al di là del classico binomio Toscana-Piemonte, come “Friuli Venezia Giulia, Sicilia e zone costiere più in generale, che hanno grande personalità e versatilità”.

Ma, spiega Salcito, c’è un grande interesse anche per vini realizzati con metodi antichi e tradizionali, “per esempio mettendo in fermentazione anche i raspi del grappolo”.

Certo, il mercato vuole i suoi numeri, sia in termini di quantità prodotte che in termimi di investimenti di comunicazione, e per le piccole realtà sono due aspetti cruciali. E secondo Salcito, infatti, le opportunità migliori sono per i produttori che “pensano come i piccoli, ma sono capaci di realizzare volumi importanti di vino”.

C’è poi grande attenzione per il mondo del rosè, ma con delle peculiarità: “l’interesse per la qualità dei vini non è così forte, a parte alcune eccezioni - spiega Salcito - è più una curiosità legata al life style associato ai rosati, soprattutto per la gente a cui piace l’idea di un calice di vino fresco e diverso, e che non vuole investire nella conoscenza richiesta per apprezzare alcuni dei più grandi vini al mondo”.

D’altra parte, l’immediatezza è uno dei punti di forza che può giocarsi il vino italiano. “In Italia non c’è molta della “mistica” per produzioni da singoli vigneti e così via che troviamo in altre Regioni del Mondo. Questo lascia ai produttori l’opportunità di definire i loro vini ed il loro portfolio in una maniera diversa, e di puntare anche sulla versatilità dei vini che è molto ricercata ed apprezzata dai ristoranti che fanno cucina internazionale ed usano tanti ingredienti diversi per i loro menu”.
Di certo, nella ristorazione americana si va verso carte dei vini sempre più ristrette e focalizzate, “dove ogni etichetta presente c’è perchè c’è un motivo dietro quella scelta, soprattutto in virtù del rapporto con i piatti nel menu”.
Carte dei vini piccole, focalizzate ma anche bilanciate, però, perché se è vero che cresce l’interesse per vitigni e territori meno conosciuti, in lista non possono mancare marchi più noti e celebri, “anche per no mettere a disagio il cliente con una carta fatta solo di nomi che probabilmente non ha mai sentito”.
Un’altra tendenza che si sta facendo largo, almeno in un certo tipo di ristorazione, è quella di vini serviti in formati diversi dalla classica bottiglia, o al bicchiere. “Vedere vini versati da tetrapaks e lattine sembra ancora molto strano, eppure inizia ad accadere, i clienti iniziano ad accettare formati che erano impensabili pochi anni fa”.

E poi, emerge chiaro che l’influenza della critica, almeno per i vini serviti nella ristorazione, è in calo. Anche perchè, spiega ancora Salcito, “questo è dovuto alla tendenza dei critici a preferire un particolare stile di vino, e nei ristoranti dove ci sono tanti sapori da combinare, questo diventa un limite. Consumatori, chef e sommelier guardano oltre”.

Un focus importante, insomma, quello di “Vino 2017” sul mercato Usa, dove oltre ai 110 produttori italiani che hanno incontrato operatori ed appassionati, si sono anche approfondite le dinamiche di un mercato florido per l’Italia, ma più complesso di quanto si pensi. E che è solo la prima tappa di un progetto di portata più ampia che vede in campo l’Ice, insieme a Vinitaly.

“Gli Stati Uniti sono un mercato complesso, con forti differenze interne e ancora molte opportunità inesplorate. L’Italia ha una solida quota di mercato ma prezzi medi nettamente inferiori a quelli della Francia - ha sottolineato Michele Scannavini, Presidente dell’Agenzia Ice - ed una penetrazione ancora limitata negli Stati interni del Paese. Per questo motivo il Ministero dello Sviluppo Economico ha incaricato l’Agenzia Ice di studiare e realizzare, già a partire dal 2017, il più grande progetto di promozione del vino italiano mai realizzato negli Usa con un investimento di 20 milioni di euro in tre anni. Questa di New York è quindi la prima tappa di un più 0ampio piano di promozione del vino che verrà messo in atto nei prossimi anni sia negli Stati Uniti che in un altro paese strategico, la Cina”.

“Vinitaly è presente da quindici anni negli USa con proprie iniziative rivolte a importatori, buyer ed opinion leader - sottolinea il dg VeronaFiere Giovanni Mantovani - e registra nell’edizione a Verona ogni anno la presenza di oltre 7.000 operatori provenienti dagli Usa, pari al 13% del totale delle provenienze estere. È un mercato che presidiamo con grande attenzione e costanza per migliorare le performance del vino italiano e ampliare le aree di consumo. La partnership con Ice su questo mercato e sulla Cina, è oggi il coronamento di un grande lavoro che ha saputo, grazie anche alla sensibilità del governo italiano e delle istituzioni, costruire un importante progetto di aggregazione per la promozione di uno degli asset strategici del made in Italy nel mondo”.

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