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Il vino in Usa ha il vento in poppa, ma in lontananza si addensa qualche nube. Le criticità del 2017, secondo il report “State of the Wine Industry” della Silicon Valley Bank, la mancanza di manodopera e la concorrenza sul mercato della... marijuana

Se lasciamo da parte le performance del vino italiano, che hanno archiviato un 2016 in chiaroscuro, segnato da un calo delle quantità ma anche da una crescita dei valori, gli Stati Uniti restano il mercato d’elezione per i consumi enoici. Ed a beneficiarne, oltre ai grandi produttori del Vecchio e del Nuovo Mondo, sono anche e soprattutto i piccoli e grandi vignaioli a stelle e strisce, che per il 2017, come riporta il magazine economico “Fortune” (www.fortune.com), prevedono una crescita delle vendite del 7%, sulla scorta di una vendemmia, la 2016, che in California, di gran lunga lo Stato più vitato degli Usa, ha sfiorato le 4 milioni di tonnellate di uve raccolte, il 7% in più del 2015.
Un settore con il vento in poppa, trainato dalla crescente capacità di spesa dei più giovani, i famosi Millennials, che spendono sempre più spesso per bottiglie sopra i 9 dollari, sul solco di quel processo di “premiumisation” che fa felici anche le grandi aziende dell’industria del vino, come Gallo, The Wine Group e Constellation Brands. In lontananza, però, si scorgono due fronti nuvolosi, che certo non minacciano piogge torrenziali, ma che non vanno sottovalutati. Nel 2017 uno dei problemi maggiori per l’industria enoica americana sarà, paradossalmente, la mancanza di manodopera. A lanciare l’allarme è Rob McMillan, autore del report della Silicon Valley Bank “State of the Wine Industry” (che abbiamo analizzato qui: https://goo.gl/x5GAI), che vede inoltre all’orizzonte un concorrente del tutto inatteso per il vino, la marijuana, il cui consumo è stato legalizzato e normato già in 8 Stati, mentre altri 12 ne hanno approvato l’uso per motivi medici.
Tra i filari della California, tradizionalmente, sono gli stagionali che ogni estate arrivano dal Messico ad occuparsi della vendemmia, ma negli ultimi anni il loro numero non ha fatto che diminuire, mentre gli americani non ne vogliono sapere di un lavoro pagato, in fin dei conti, male. Un problema non di poco conto, specie perché, allo stesso tempo, crescono le superfici vitate, ed i viticoltori californiani sembrano non sapere che pesci prendere, anche perché c’è un settore agricolo che paga decisamente di più, quello della Marijuana, dove si possono guadagnare tra i 25 ed i 30 dollari, contro i 20 pagati mediamente ad un vendemmiatore. Senza contare il peso di dichiarazioni e politiche anti migratorie che, da qui ai prossimi mesi, prenderà il Presidente Trump.
Al di là della concorrenza sulla forza lavoro, però, dalla legalizzazione o comunque dalla regolamentazione del consumo di Marijuana, sia esso ludico o medico, arriva un concorrente inatteso: americani e canadesi, insieme, nel 2016 hanno speso qualcosa come 53,3 miliardi di dollari in Marijuana, un dato che, per molti osservatori, potrebbe minacciare più o meno direttamente, i consumi di alcolici. Uno studio largamente citato negli ultimi mesi, firmato da Vivien Azer, analista del gruppo finanziario Cowen & Co., ha infatti svelato che negli Stati in cui il consumo di Cannabis è stato legalizzato le vendite di birra sono calate, specie dei brand nazionali, come Bud e Coors, mentre hanno sofferto meno le birre di importazione. È da qui che nasce la, comprensibile, preoccupazione del mondo enoico, con le etichette meno costose che potrebbero vivere una dinamica simile, mentre quelle più care non hanno, e presumibilmente non avranno, nulla da temere.

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