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Il percorso della piccola Doc Breganze è lastricato di vivacità imprenditoriale e forti investimenti, spesso da altri settori. Tra vitigni autoctoni e internazionali “naturalizzati” tanti progetti originali fondati su storia innovazione e solidarietà

Italia
Uva ad appassire per la produzione di Torcolato

Non ci sono solo i grandi e blasonati territori del vino italiano ad attirare capitali e spinte imprenditoriali. È investita da una ventata di innovazione e interessata da forti investimenti la piccola Doc Breganze, che si estende a nord ovest di Vicenza, ed è nota principalmente per il suo Torcolato, straordinario passito da uve di Vespaiola, vitigno autoctono fiore all’occhiello del territorio, prodotto in circa 60.000 bottiglie (da 0,50 litri) nel 2015. Un vino fortemente identitario che tiene insieme 17 produttori nella denominazione Breganze, che prevede altri 13 vini bianchi e rossi - in quasi tutti i casi nelle tipologie superiore e riserva - prevalentemente da varietà internazionali, per un totale di 1,1 milioni di bottiglie e un valore indicativo di 5 milioni di euro. Se si aggiungono i vini Igt Veneto/Venezie e quelli da tavola questo tassello di Veneto di collina e pianura alle pendici dell’Altopiano di Asiago produce 7,5 milioni di bottiglie in tutto.

A fare la maggior parte delle bottiglie sono la cooperativa Beato Bartolomeo da Breganze (70% della produzione della Doc) e il più grande dei privati Maculan, tra i brand più noti.
“I consumatori non cercano i nostri vini per la Doc, che è ancora poco conosciuta. Per la vendita contano il marchio e l’etichetta, ma qualcosa si muove. Ultimamente alcuni clienti hanno cominciato a chiedere Doc Breganze”.
Questo dicono i produttori - incontrati da WineNews a “la Prima del Torcolato Doc Breganze”, nei giorni scorsi, nell’edizione n. 22 dell’evento organizzato dal Consorzio Tutela Vini Doc Breganze, www.breganzedoc.it - che, anche per questo, hanno adottato diverse strategie aziendali con una vivacità imprenditoriale che si fonda in alcuni casi su una consolidata storia produttiva, in altri su esperienze maturate in settori diversi da quello vitivinicolo.

È questo il caso di Roberto Benazzoli che, dopo aver venduto la sua azienda di commercializzazione di software, ha acquistato 4,5 ettari a Fara Vicentino e dato vita a “Le Vigne di Roberto”: prima vendemmia nel 2012, 30-35.000 bottiglie a regime nel 2018.
“Ho costruito una struttura all’avanguardia - racconta Benazzoli - utilizzando le ultime tecnologie disponibili, come i coppi fotovoltaici che mi rendono autosufficiente per quanto riguarda l’energia, come sono anche per l’acqua grazie ai drenaggi e al recupero dell’acqua piovana”. La filosofia dell’autosufficienza si estende anche alla vendita che per il 90% avviene in quella che Benezzoli chiama “cantina”, che in realtà è una bella struttura di accoglienza, dove al piano interrato riposano le bottiglie di metodo classico rosé (Vespaiola e Pinot nero).
“È inutile fare vino buono se non riesci a venderlo - spiega Benazzoli - qui ricevo moltissime persone, anche i clienti della mia precedente attività, a cui faccio degustare i miei vini con prodotti tipici, come è permesso dalla legge sul turismo rurale della Regione Veneto. Vendo direttamente il 90% dei miei vini e non ho bisogno di grossisti e rivenditori”.
Anche Andrea Mazzuccato arriva da “un altro mondo” pur più vicino alla terra. Andrea è un quasi avvocato-giardiniere che è passato da ornamentali e siepi alla gestione dei vigneti di grandi industriali per poi approdare anche in cantina, affiancando professionisti che molto gli hanno insegnato. “In 10-15 anni - dice tra il serio e il faceto - ho fatto esperienza facendo errori con i soldi degli altri”. Poi nel 2014 ha preso un’azienda con 30 ettari di vigneto e cantina in affitto, l’ha chiamata Io-Mazzuccato, “perché - dice - me l’ha consigliato un creativo e soprattutto io perché ci metto la faccia”. Produce 40.000 bottiglie (sulle 400.000 potenziali) e vino sfuso che vende ad altri, con l’obiettivo di arrivare a imbottigliarne 200.000 quando avrà uno sbocco di mercato certo. Intanto vende quello che imbottiglia per il 30% nella bella struttura di accoglienza aziendale dove i clienti tendono a tornare, il 50% all’estero e il resto in Piemonte, Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna.
Su cosa fondano il suo successo e la crescita continua? “Intanto cerco di fare vini di qualità, non uso solfiti fino alla bottiglia in cui aggiungo pochissima solforosa, ritengo che portare le persone nel punto vendita, che teniamo sempre aperto, sia fondamentale e credo nei vini di nicchia in particolare per l’esportazione. Negli Usa il Vespaiolo vende il doppio degli altri miei vini per la sua unicità. Se avessi un altro autoctono sarebbe ottimale, ma intanto ho fatto un bianco particolare con il 90% di Traminer e il 10% di Pinot bianco”.
Io-Mazzuccato non è l’unica azienda che si gioca la carta degli autoctoni, Vespaiolo e Torcolato (da Vespaiola) a parte.
Storicamente è l’azienda Firmino Miotti ad aver salvaguardato e puntato sulle vecchie varietà della zona, come Gruajo, Groppello, Pedevendo e Sampagna, che imbottiglia dal 1958. “Papà era capace di innestare - racconta Franca Miotti, figlia di Firmino - e quindi ha sempre moltiplicato le nostre varietà autoctone. Siamo gli unici a produrre uve e vini dalle varietà Gruajo (rosso) e Pedevenda (bianco), praticamente coltivate solo nella nostra azienda nello stesso vigneto del bisnonno”. Solo 5 ettari per 25.000 bottiglie in totale di cui circa il 20% da questi autoctoni rari, vendute solo in Italia.
Ma anche altri ci puntano. “Siamo solo tre o forse quattro a produrre Groppello di Breganze - racconta Valentina Lavarda della famiglia Bonollo proprietaria di Col Dovìgo. Questo vitigno locale quasi scomparso dà vini eleganti con un naso particolarissimo di viole e mirtilli. Ma è il Vespaiolo il vitigno che ha le più grandi potenzialità anche grazie alla sua duttilità. Noi siamo stati i primi a spumantizzarlo valorizzando la sua spiccata acidità nel 2007, primo anno in cui abbiamo imbottigliato. In 10 anni abbiamo raggiunto 150.000 bottiglie che, grazie alla rete vendita capillare, sono presenti nel 70% dei ristoranti ed enoteche della provincia di Vicenza. Esportiamo anche una piccola quantità di bottiglie in Giappone, Germania, mentre in Cina stiamo provando da un anno ad entrare con “Rial”, una etichetta ad hoc per quel mercato”.
Tra i molti progetti nuovi c’è anche quello di Vignaioli Contrà Soarda, azienda di 14 ettari vitati in regime biologico, che sulle colline di Bassano del Grappa non offre solo vino, ma enoturismo ed “enotavola” al ristorante “Pulierin” (puledrino, in onore della passione del nonno per i cavalli) dove particolare è attenzione all’uso dei prodotti del territorio bassanese.
“Il progetto di Contrà Soarda - racconta Mirco Gottardi che ne è l’anima - è nato nel 1999 con obiettivi precisi nella sistemazione agraria del sito, l’impianto del vigneto e la costruzione della cantina e la ricerca continua per un’agricoltura sana e proiettata verso il futuro”. Costruita all’interno della collina in armonia con il paesaggio circostante e secondo principi di bio-architettura e con materiali locali, la cantina è funzionale nei trasferimenti di uva e vini per gravità e nel controllo geotermico della temperatura. In particolare la barricaia s’ispira ai progetti di alcuni maestri dell’architettura moderna, quali Antoni Gaudí ed Eladio Dieste.
“Vinifichiamo soltanto le nostre uve - sottolinea Gottardi - e produciamo 100.000 bottiglie provocatoriamente suddivise tra Doc e igt, visto che questi ultimi ci sono i nostri top di gamma. Il Vespaiolo, prodotto in diverse tipologie e senza solfiti aggiunti, è il nostro punto di forza. Poi abbiamo il progetto ‘Musso’, che in dialetto veneto vuol dire ‘asino’, dedicato a questi animali che abbiamo in azienda e per noi rappresentano il supporto all’agricoltura. Ogni vino è dedicato a uno di loro in edizione limitata, da varietà differenti e con affinamenti diversi. Il nostro territorio non è conosciuto, non siamo il Collio o altre piccole zone famose: se non facciamo forza sulla qualità non c’è modo di esistere soprattutto per esportare”. E l’estero è la destinazione principale per Contrà Soarda.
Forti di una villa progettata da Palladio, le cinque sorelle Bianchi Michiel, affiancano alla produzione di vino - 8 ettari vitati su 50 aziendali e con la consulenza di un esperto enologo - con attività che valorizzano la storica Villa Angarano a Bassano del Grappa.
“Dal 2003 abbiamo cominciato e reimpiantare i vigneti - spiega Giovanna, a capo dell’azienda con “l’appoggio vitale” di Carla - ricercando i cloni più adatti al nostro territorio, puntando su Merlot e Cabernet per i rossi e su Chardonnay e Vespaiola per i bianchi per produrre vini Doc e igt. L’ultimo nato, 5 Sisters, è un rosé da uve merlot che ci siamo dedicate che in retro etichetta riporta le nostre ricette. Cinque anni fa abbiamo aperto le porte della dimora storica, ormai conosciuta come ‘Villa delle Donne’, a molte iniziative legate all’enoturismo che nel nostro coniuga il vino con l’architettura (Villa Angarano è nella lista dell’Unesco dal 1996), ma anche con l’artigianato. Tre volte all’anno organizziamo “Fatto a mano in Villa Angarano” selezionando bravi artigiani di diversi settori”. Delle 35.000 bottiglie (in crescita) prodotte dalle sorelle Bianchi Michiel, il 50% si fregiano della Doc Breganze, “anche se - constata come gli altri produttori anche Giovanna - essendo poco conosciuta all’estero dobbiamo impegnarci per fare un buon vino nel rispetto del territorio. Fa eccezione il Torcolato che noi esportiamo per il 40%”.
Sinergia industria/agricoltura per la Transit Farm, che produce circa 25.000 bottiglie, ha un maneggio e offre accoglienza in due appartamenti. Punta a “creare un sistema Transit” Andrea Cozza, che rappresenti uno stile di vita naturale. Da una parte la “Company” omonima che disegna, produce e distribuisce collezioni abbigliamento di design e ricerca made in Italy in tutto il mondo (90% di export), dall’altra, a pochi chilometri, la “Farm” Transit, defilata in Valle Zaccona nel comune di Fara Vicentino.
“Per ristrutturare questo antico podere ci sono voluti anni di lavori - ricorda Cozza - ma sono soddisfatto di poter mostrare ai miei ospiti e clienti internazionali lo stile di vita e di accoglienza che genera le nostre collezioni di abbigliamento. Nella fattoria bio, 22 ettari di cui 10 a parco e 12 a vigneto, l’allevamento di cavalli, le oche e i pavoni, i vini, tutto concorre a creare un’atmosfera che riporta alle origini, in cui si torna ad essere semplicemente persone”.
Caratterizzate dalla solidarietà sono le iniziative della Cantina La Costa, società agricola biologica con un pizzico di biodinamica, fondata nel 2003 da quattro imprenditori di altri settori: Osvaldo Tonello, Mirco Fabris, Giorgio Campese ed Emanuel Pauletto.
L’azienda conta su 15 ettari, di cui 10 a vigneto, la cantina, una struttura di accoglienza a Sarcedo (VI). La barricaia, invece, è sita in una struttura di pregio a Fara Vicentino che è sede del Centro Educativo Occupazionale Diurno “Casa Enrico” per ragazzi diversamente abili.
“La storia della mia famiglia - racconta Osvaldo Tonello, che con sua moglie Luisa è anche fondatore dell’Associazione “Filo di Seta-onlus”, che gestisce Casa Enrico - ci ha portato a mettere in piedi una fattoria sociale in cui i ragazzi con disabilità possono soggiornare, ma anche essere partecipi delle diverse attività agricole, produttive. Per esempio, ogni etichetta è dipinta a mano da questi “ragazzi speciali” divenendo una piccola opera d’arte. I nostri vini esprimono il rispetto per l’ambiente e per le persone”.

Clementina Palese

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