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Negli Usa, mercato n. 1 al mondo per il vino, c’è voglia di novità: di stili di prodotto (soprattutto rossi da blend), di packaging e formati, di vitigni e territori. A dirlo l’ultimo report di Impact Databank ed un sondaggio di “Wine Spectator”

Da Obama a Trump, gli Stati Uniti restano il mercato n. 1 del vino al mondo, e continuano a crescere: secondo l’ultimo report “Review & Forecast, New Products: Wine (2017 Edition)” di Impact Databank del gruppo Shanken (editore di “Wine Spectator”), i consumi nel 2016 hanno raggiunto un nuovo picco assoluto, anche grazie ad una sorta di affinità elettiva dei consumatori americani per le novità. Siano esse di stili di prodotto (in particolare vini rossi da blend), di packaging e formato (dai vini di fascia premium in bag-in-box a confezioni “monoporzione”, con i bicchieri pronti da bere o le lattine). Con un industria che, a dispetto dell’immagine di tradizione legata al vino nel sentire comune, continua ad innovare ad un ritmo vertiginoso, per ritagliarsi spazio in un mercato sempre più competitivo e dove i gusti cambiano di continuo, e anche per fare la corte ai Millennials, categoria sempre più grande e complessa, poco incline alla fedeltà a questo o a quel marchio, dicono molti studi sul tema, e libera da molti degli schemi mentali e degli stili di consumo più propri di Baby Boomers e X-Generation, anche per quanto riguarda le occasioni in cui si beve vino.
Una tendenza, in qualche modo, confermata anche dagli ultimi dati Nielsen sul canale off-premise: tra ottobre 2015-ottobre 2016, il giro d’affari del vino acquistato allo scaffale ha toccato i 13,8 miliardi (+4,8%), pari a 162,9 milioni di casse da 12 bottiglie (+2,1%) ed un prezzo medio di 7.06 dollari a bottiglia, di cui 10 miliardi di vino Usa (+5,4%), pari a 121,7 milioni di casse, per un prezzo medio di 6,9 dollari a bottiglia, e 3,7 miliardi di vino importato (+3,5%), pari a 41,2 milioni di casse per un prezzo medio di 7,52 dollari a bottiglia (www.nielsen.com).
Nel dettaglio, spiega il report, di Impact Databank, uno dei settori più dinamici è stato quello dei vini rossi, dove i prodotti da blend hanno rappresentato oltre 100 dei 400 nuovi wine brand di vini fermi introdotti sul mercato americani tra il 2015 ed il 2016, anche se questa tipologia di vino ancora vale appena l’8% dei consumi in volume. E se sul fronte dei formati ha preso piede il vino in lattina, anche misceltato, come la linea Flipflop Fizzy di The Wine Group (in confezioni da 12 dollari per quattro lattine da 250 ml), ma sono arrivati, con un buon successo, anche prodotti come “Vinaago” di Votto Vine, bicchieri da 187 ml pre-riempiti venduti a 2.99 dollari l’uno, la “case history” che, probabilmente, dà meglio il senso del cambiamento, è quella del colosso E. & J. Gallo Winery, il cui brand di bag-in-box “Naked Grape”, confezioni da 3 litri di vini varietali o di rossi in blend, lanciato due anni fa, ha superato nelle vendite gli stessi prodotti offerti nelle classiche bottiglie di vetro. Insomma, segnali che dicono che gli States, sul fronte enoico, i consumatori hanno voglia di novità.
Come, in qualche modo, testimonia l’ultimo sondaggio di “Wine Spectator”, che ha chiesto ai propri lettori i loro “buoni propositi” enoici per il 2017. Ebbene, il 30% dichiara di voler smettere di tenere le bottiglie in cantina, soprattutto quelle pronte per essere bevute ora, mentre il 15% vuole uscire dalla propria “comfort zone” e sperimentare vini da varietà e regioni meno familiari, e il 14% di propone di visitare nuovi territori del vino. Ancora, l’11% vuole darsi un budget definito per comprare nuovi vini, “perchè ci sono tante grandi bottiglie a meno di 20 dollari”, mentre il 10%, all’opposto, vuole comprare nuove bottiglie da tenere in cantina, senza badare al risparmio. Ma c’è anche un 5% che si propone di scrivere migliori note di degustazione, e il 2% che comprerà la bottiglia a lungo bramata. Segnali di cui tenere conto, in attesa di sapere come saranno andate le cose, a fine 2016, per i vino italiano, visto che ultimi dati dell’Italian Wine & Food Institute sui primi 9 mesi dell’anno davano le esportazioni in calo dello 0,9% sul 2015, e in crescita dell’1,8% in valore.

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