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Convegno Ruffino & Uiv - Tra salute & eros, nuovi studi confermano come il vino rosso determini un’autofagia del tumore alla prostata e ne dimostrano gli effetti sulla sessualità, dall’erezione dell’uomo al desiderio della donna

“Secondo uno studio apparso sulla rivista “Plos One” ed eseguito da ricercatori americani, coordinati dall’Università di Atlanta dalla dottoresa Liza J. Burton, ha evidenziato in vitro come alcune antocianine della buccia dell’uva utilizzata per la produzione del vino rosso determinerebbero un’autofagia da parte del tumore della prostata, confermando altri studi che già orientavano verso un effetto benefico di protezione del vino rosso su questa forma tumorale - che dopo il polmone è il tumore più frequente nell’uomo”. A rivelarlo è stato l’andrologo Nicola Mondaini della Società Italiana di Andrologia, a “Il vino fra salute, eros e trascendenza”, il convegno-simposio di medici e scienziati promosso dalla griffe Ruffino (del colosso Usa Constellation Brands) con Uiv-Unione Italiana Vini, nei giorni scorsi,  nella Tenuta di Poggio Casciano a Bagno a Ripoli (Firenze), per portare il vino al centro di una discussione che tenesse conto di valori come la temperanza e la moderazione, anche rispetto ad altre bevande alcoliche, in modo non apologetico, ma neutro, e che rimandasse a un simposio, con un excursus antropologico sul rapporto uomo e vino, gli aspetti medico-scientifici e di ricerca, e, infine, un percorso gastronomico-storico. Temperanza e moderazione che, anche nel rapporto tra vino e eros, sono le stelle polari, come dimostrato ancora una volta dai nuovi studi evidenziati dall’andrologo: “è stato recentemente individuato come il vino, tramite l’attivazione di H2S, determini una vasodilatazione sui corpi cavernosi del pene favorendo l’erezione, e come nella donna l’utilizzo migliori la sessualità complessiva agendo sul desiderio e sulla lubrificazione. Per entrambi i sessi questo è vero nel consumo moderato di 1-2 bicchieri al giorno”.
Dal punto di vista storico, il rapporto tra uomo e vino è un cammino dove sacro e profano si mescolano e si confondono continuamente: la componente religiosa della bevanda, sia prima che dopo l’avvento del cristianesimo, è innegabile, e altrettanto è vero per il suo essere legata inscindibilmente a un abbandono alle pulsioni più autentiche della natura umana, ad un allentarsi, insomma, dei freni inibitori, indipendentemente dalle azioni in questione. Da questo punto di vista, però, quello che rende unico il vino lo ha definito, forse nella maniera più tersa ed efficace possibile, Ebolo nel 300 avanti Cristo, con queste parole: “tre tazze di vino io preparo per gli uomini moderati: una per la salute, che essi verseranno per prima; la seconda per l’amore e il piacere; la terza per il sonno; la quarta tazza non appartiene più a noi, ma alla violenza”. Intendendo con questo sottolineare non solo che in primo piano ci devono essere le proprietà nutraceutiche e salutistiche del vino - vale a dire rispettivamente la sua capacità di mantenere in salute e di proteggere da alcune patologie - e che immediatamente dopo vengono amore e piacere, ma che già alla terza, limite degno di nota, l’eccesso è punito da Morfeo. E che alla quarta (che ai moderati non appartiene, sottolinea Ebolo) l’effetto degenera, trasformandosi in violenza: violenza affettiva, emotiva, sessuale o fisica che sia, violenza tout court insomma. La parola chiave, insomma, è moderazione nel consumo, un tratto che, è emerso dal convegno, distingue il vino dalle altre bevande alcoliche a cui spesso viene accomunato, dato che il piacere del consumo in temperanza è proprio del vino, molto più che di altre bevande figlie della fermentazione degli zuccheri.
Il vino, secondo la definizione della professoressa Laura di Rienzo, specialista in Scienza dell’Alimentazione e biologa molecolare presso l’Università di Roma Tor Vergata, è un alimento funzionale: funzionale per via dei suoi molteplici effetti positivi, ma per poterne promuovere al meglio tale ruolo “sarebbe importante seguire un nuovo processo produttivo pensato per la tutela del benessere dei consumatori, prendendo in considerazione tutta la filiera enologica fino alla verifica degli effetti, in funzione della qualità del vino e degli abbinamenti con i diversi pasti. In questo contesto è stato ideato e proposto il processo Nutrient Hazard Analysis and Critical Control Point (Naccp), ovvero un processo di analisi del rischi e benefici, composto da un insieme di procedure operative, analisi dei punti critici di controllo, monitoraggio, implementazione di azioni correttive e studi clinici per verificare e garantire il mantenimento delle proprietà nutraceutiche lungo l’intera filiera produttiva. Lo scopo”, ha continuato di Rienzo, “è quello di mantenere un Total Quality Managment (Tmq), per conservare sempre elevato il quantitativo nutrizionale attraverso i vari passaggi produttivi, che partono dalle caratteristiche fisico-chimiche della zona di coltivazione, abbracciando gli aspetti di qualità igienica, economico-commerciali e tecnologici sino allo studio molecolare dell’effetto del nutriente sul consumatore. Gli operatori dovrebbero garantire che tutte le fasi della produzione, trasformazione, trasporto e distribuzione vengano effettuate in modo tale da non alterare la qualità nutritiva dell’alimento. Nel buon vino, specialmente quello rosso, o nel bianco lasciato a vinificare alcuni giorni con le vinacce, ritroviamo diversi composti fenolici, sia le antocianine che i flavonoidi, responsabili del colore, dell’astringenza e della stabilità chimica. Gli studi condotti presso la Sezione di Nutrizione clinica e nutrigenomica dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata mostrano effetti positivi di una bevuta di qualità, quali effetto antiossidante, effetti antitrombotici, effetti sulla funzione vascolare e antiinfiammatori, che aiutano a mantenere la buona salute del nostro cuore e dell’apparato cardiocircolatorio”. Inoltre, gli ha fatto eco Franco Cosmi, direttore della Unità Operativa di Cardiologia dell’Ospedale di Cortona, “una revisione complessiva della più autorevole letteratura scientifica internazionale dimostra come un consumo moderato di alcol comporti una riduzione della mortalità complessiva del 13%, della mortalità coronarica del 25% e dell’ictus ischemico dell’8%. La massima protezione”, però, “si ha con un consumo di alcol di 6 g/die (mezzo bicchiere di vino al giorno). Un consumo superiore a 2 bicchieri di vino al giorno comporta un aumento di mortalità riguardo le malattie traumatiche soprattutto da incidenti stradali, le malattie neoplastiche e le emorragie cerebrali”. Ancora una volta, quindi, quando si parla di vino il vero discrimine tra effetto benefico e malefico è dato dalla quantità e dalla moderazione del singolo, e questo è doppiamente vero se si considera che, contrariamente a quanto vuole in tema la vulgata, il consumo di vino può avere effetti assai benefici anche sull’attività sessuale vera e propria.
Insomma, il vino si conferma, anche in tempi moderni, portatore di proprietà, sia fisiche, che spirituali, che medicinali, notevolissime ed uniche: posto che, come sottolineato anche dal presidente Unione Italiana Vini Antonio Rallo, si gestiscano proattivamente le tematiche del consumo responsabile, dato che “solo così riusciremo a contrastare la demonizzazione del vino, spesso trattato solo come generica bevanda alcolica. Le campagne speculative o le politiche fiscali sono state inefficaci per diffondere una cultura del bere consapevole: serve una strategia attiva di informazione ed educazione del consumatore. Perché solo il “buon consumo” fa bene al “buon vino”. E, si potrebbe aggiungere senz’altro, alla salute.

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