02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024

Wine2Wine - Essere non solo produttori-esportatori, ma diventare anche importatori in Usa per vendere e tutelare meglio i propri vini in un mercato tanto appetibile quanto complesso. I consigli degli esperti: Ludovico Bongini e Giuseppe LoCascio

Essere non solo produttori-esportatori, ma diventare anche importatori in Usa per vendere e tutelare meglio i propri vini in un mercato tanto appetibile quanto complesso. Come già fatto, per altro, in tempi recenti, da diverse realtà del Belpaese, più grandi e strutturate ma non solo, come Zonin, Mionetto, Santa Margherita, Mezzacorona e Masciarelli, solo per citare degli esempi. È uno dei consigli che esperti e conoscitori del mercato a stelle strisce hanno dato alle cantine italiane a Wine2wine, il forum business to business di VeronaFiere, nel seminario organizzato da Ice per le aziende che partecipano al percorso di promozione negli Usa “Vino - Italian Wine Week 2017”, in programma a febbraio.
Nell’iper-competitivo e complesso, ma anche ricco di grandi opportunità, mercato del vino Usa, è stato spiegato, la scelta del modello di esportazione diventa fondamentale per il successo delle cantine italiane, che devono avere le idee ben chiare su come muoversi soprattutto a livello tributario normativo e tributario, e cosa aspettarsi da un mercato che complessivamente vale complessivamente 55 miliardi di dollari, un terzo dei quali generato dai vini stranieri. A tracciare il quadro sono stati Ludovico Bongini, avvocato d’affari specializzato in M&A cross-border, tributario e societario internazionale, insieme a Giuseppe LoCascio, esperto di fine wine brand management e strategie di importazione e distribuzione. Un mercato, quello Usa che, ha ricordato Maurizio Forte, direttore Ice di New York e coordinatore degli uffici della rete americana, conta un volume d’affari di 55 miliardi di dollari, dei quali 15 di importazione. La quota italiana è del 32,7%” e “anche il 2016 ha registrato una crescita dei vini spumanti, un buon andamento dei bianchi, mentre i rossi sono stazionari”.
Nel paese a stelle e strisce “baby boomer e millenial dettano nuove regole del consumo non solo per quanto riguarda il mondo del vino. Il vino italiano è il primo a livello di importazione ma presenta alcune debolezze per quanto riguarda i prezzi medi che sono la metà di quelli francesi. Per questo - ha aggiunto Forte - dobbiamo cercare di stimolare di più la domanda di qualità del vino italiano, di elevare l’immagine come prodotto di lusso ed elevare prezzi medi”. Questi sono anche gli obiettivi del Progetto vino lanciato lanciato recentemente, che, ha spiegato, “porterà a realizzare in 3 anni il più grande investimento promozionale per rafforzare la percezione del vino italiano”. Delineando il quadro del mercato statunitense, LoCascio ha sottolineato che “il consumo totale di vino in Usa conta 340 milioni di casse da 12 bottiglie, con una crescita annuale media del 2%. Mediamente si consumano 14 bottiglie di vino per persona. 2/3 di quello che si beve è prodotto domestico, specie proveniente dalla California, e il restante terzo è straniero, soprattutto Italia e Francia. L’Italia vale un terzo delle importazioni”, anche grazie al boom degli spumanti.
A dare l’idea della competitività di questo mercato Lo Cascio ha ricordato come, secondo Nielsen, “si contano 25.000 referenze attive secondo Nielsen e solo nell’ultimo biennio vi sono state 3.500 nuove registrazioni. Il 62% della popolazione beve bevande alcoliche, e una volta su tre beve vino. Il consumo enologico è concentrato soprattutto a cena e più frequentemente a casa che in un locale”.
Inoltre, ha spiegato ancora, “il 74% delle volte consumatore Usa sceglie un prodotto varietale e quindi è abituato a leggere l’uvaggio in etichetta e spesso capita che consideri, ad esempio, il Chianti come una varietà. A livello di prezzo la maggior parte dei volumi è rappresentata da prodotti sotto i 10 dollari ma i tassi di crescita più interessanti sono per la fascia sopra i 10 dollari”.
Un buon consiglio è anche quello di fare molta attenzione al packging “perché è il secondo fattore di scelta di buyer e consumatori”.
Ma a rendere difficile l’approccio con il mercato statunitense è soprattutto la forte regolamentazione che si unisce alla frammentazione dell’offerta e l’alta competitività, costituita di fatto da 50 mercati diversi. Il mercato a stelle strisce per il vino, ha ricordato Ludovico Bongini, presenta infatti “grandi criticità regolatorie, a causa del retaggio proibizionista, e la struttura delle vendite di vino passa attraverso 3 livelli base, che danno vita al cosiddetto “Three tier system”. La struttura base del sistema è rappresentata dal fatto che un produttore di vino può vendere i propri prodotti solo alla Gdo la quale vende ai distributori che sono i soli a poter vendere ai consumatori finali. Una cantina che vuol vendere in Usa deve poi passare attraverso un importatore che in questo passaggio diventa però proprietario delle etichette. Questo rende, peraltro, più difficile per un’azienda proteggere sul mercato i propri prodotti rispetto a fenomeni di italian sounding o di casi come quello del Chianti californiano. Per tutti questi motivi Bongini consiglia di “puntare ad ottenere una licenza di importazione”, e investire per gestire le cose in proprio.
“Diventare importatori non è difficile, si deve costituire una società negli Usa, anche piccola ma con un minino di staff ed un ufficio, e poi presentare on-line a una domanda per ottenere la licenza. Se una è troppo piccola, più cantine possono mettersi insieme per fare questo iter. In 75-100 giorni si ottiene risposta che, generalmente, è positiva”. Più in generale, ha concluso Bongini, alle aziende vitivinicole che vogliono esportare negli Stati Uniti, il consiglio è di “puntare molto sul prodotto più che sullo story telling, perché agli americani la storia di un’azienda interessa in modo relativo”. Ed avere una licenza di importazione, e gestire quindi le cose direttamente, permette, tra l’altro, di “recuperare un margine che andrebbe all’importatore americano, ma consente anche di proteggere meglio il proprio prodotto, perché si diventa così proprietari delle proprie etichette, invece di lasciarle in mano agli americani. E si contratta direttamente con la Gdo ...”.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Altri articoli