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Entrare nell’“Eldorado” enoico degli Usa non è facile, e per farlo bisogna “fare i compiti a casa”, ovvero comprendere a fondo i dettagli di un sistema da 52 mercati e tre livelli compositi: da “Wine2Wine” il vademecum di Steve Raye (Bevology Inc.)

Si fa un gran parlare del mercato enoico degli Stati Uniti, di come l’Italia sia leader in volume e in valore, dei suoi andamenti e delle sue tendenze: ma all’atto pratico un produttore italiano che voglia entrare in quel mercato, e farlo rimanendo felice del risultato, non può non mettere mano a dettagli che spesso si danno per scontati. Sbagliando, e spesso “bruciando” le proprie - magari promettenti - possibilità nei confronti di un importatore o di un distributore. Ed è per questo che Steve Raye, presidente della società di consulenza strategica Bevology Inc., ha incentrato il proprio intervento al forum b2b “Wine2Wine” proprio su quelli che lui ha definito “compiti a casa”, ovvero una fase preparatoria che nessuna azienda del vino può permettersi di non fare prima di tentare il grande salto verso l’altra sponda dell’Atlantico.
Innanzitutto, le possibilità garantite dagli strumenti digitali spesso possono garantire ottime chances, e aumenti di visibilità globali, a costo zero: “ad esempio”, ha esordito Raye, “le app sul vino, come Vivino, sono state scaricate decine di milioni di volte, a fronte di circolazioni medie di riviste come “Wine Spectator” che non superano il mezzo milione di copie, e andare sul sito di Vivino e rivendicare il proprio brand, in modo da poter fornire all’app i dati tecnici, le schede di degustazione, foto ad alta risoluzione e pareri qualificati, è assolutamente gratuito. Già questo garantisce visibilità nei confronti di una popolazione di appassionati di vino che senza alzare lo sguardo dal proprio smartphone può informarsi su 285 milioni di etichette, e che si fida molto di più di persone del proprio circuito sociale, anche virtuale, molto più che di qualsiasi votazione in numeri. Vogliono descrizioni scritte in modo leggibile, e sapere con quale cibo vada bene un dato vino”. Senza contare che questa enorme coorte di consumatori è la stessa che utilizza app di informazione e di ricerca enoiche con la stessa frequenza con la quale utilizza le app tramite le quali si ordina a domicilio vino, con consegna in un’ora: “app che sono in crescita forte negli Stati Uniti, e che”, ha puntualizzato Raye, “portano a acquisti medi di 75 dollari” - una cifra che da sola dice moltissimo delle potenzialità di queste nuove forme di utilizzo enoico delle tecnologie digitali in mobilità.
Il vero collo di bottiglia del mercato, ha comunque rimarcato Raye, “è quello rappresentato da distributori e importatori, che sono due categorie molto diverse di aziende, con compiti diversi, ed è necessario rendersi conto delle differenze prima di approcciarvisi”: gli importatori, il primo dei tre stadi del “three-tier system” americano, si occupano di comprare un vino da un produttore, trasportarlo e stoccarlo. Lì finisce il loro compito, ed entra il gioco il secondo “tier”, ovvero i distributori, che comprano il vino dagli importatori e, nella maggior parte dei casi su base statale e non federale, li rivende tramite un’apposita licenza ai retailer. Solo una volta passati questi scogli si può arrivare al terzo stadio, ovvero l’immensa platea di wine lovers americani: di conseguenza, in una frase, bisogna essere consapevoli dei bisogni e delle necessità di un importatore o di un distributore. “La frase da tener presente è “What’s in it for me?” (ovvero “E io cosa ci guadagno?”, ndr), ed è quella che ogni importatore o distributore si farà prima di ascoltarvi. Ed è compito del produttore rispondere a quella domanda, e farlo in modo convincente. Li si può convincere che il proprio prodotto riempie un vuoto nel proprio portfolio - portfolio che è pubblicato online, basta andare a cercarlo e studiarselo”, ha puntualizzato Raye, “e con questo intendo anche andare a guardare il loro raggio operativo, i loro mercati più forti e più deboli, far loro capire che parlate la lingua di quel settore, con le sue minuzie e le sue peculiarità tecniche. Non si può rischiare di giocarsi una possibilità di successo perché non si sono andate a cercare queste informazioni, che spesso sono a portata di una ricerca su Google: e con questo intendo anche la loro posizione in termini di obiettivi a medio termine, come vedono il mercato in cui operano, eccetera. Bisogna sapersi distinguere in un mercato come quello americano”, ha concluso il presidente di Bevology: “bisogna essere il più possibile differenti e unici, fare cose fuori dagli schemi - ma farlo con cognizione di causa -, dimostrare di saper parlare la lingua del mestiere per come viene parlata negli Usa, e fare i compiti a casa”. Dopotutto, “non andreste a un esame senza aver studiato”: e quando ci si vuole affacciare a un mercato unico, come quello americano, studiare anche i dettagli può essere più utile di avere chiarissimo il panorama d’insieme.

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