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Per emergere nel grande mondo del vino, ci vuole una storia, avvincente e credibile: a Wine2Wine “L’arte dello storytelling del vino” secondo Felicity Carter, redattore capo del magazine tedesco Meininger, e Rebecca Hopkins di Folio Wine Partners

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Per emergere nel grande mondo del vino, ci vuole una storia, avvincente e credibile

Se c’è un mercato concorrenziale, è quello del vino, dagli Usa alla Germania, allo scaffale sono migliaia le etichette che sgomitano per trovare spazio. Diventa fondamentale, così, emergere, diventare in un certo senso memorabili. Come? Attraverso la narrazione, o meglio lo storytelling, e quindi la capacità di raccontare una storia, che molto ha a che vedere con il marketing o con il branding, ma che vive dinamiche del tutto diverse, come hanno raccontato Felicity Carter, redattore capo della rivista Wine Business International di Meininger e Rebecca Hopkins, vice president communications & partners dell’azienda di importazione Usa Folio Fine Wine Partners, al convegno “L’arte dello storytelling del vino”, di scena a “Wine2Wine”, il forum sul business del vino by Vinitaly e Veronafiere di scena a Verona fino a domani (www.wine2wine.net).
Per capire le dinamiche dello storytelling bisogna capire dalle basi, e quindi dalla struttura della storia, qualunque essa sia. “Un romanzo come “Cinquanta sfumature di Grigio” è stato capace di vendere più di cento milioni di copie in tutto il mondo - racconta Felicity Carter - nonostante le critiche ricevute da ogni lato. Sarebbe incredibile saper replicare la stessa dinamica nel racconto di una cantina, perché saper raccontare una storia è fondamentale se si vuol essere ricordati, ma avere qualcosa da raccontare è ancora più importante, specie per chi vive in questo mondo, visitando decine di aziende e bevendo centinaia di vini. Cos’è la narrazione? Non è branding, non dobbiamo attribuire un significato ad un prodotto, come fa da sempre la Coca Cola con il concetto di felicità. L’uomo, del resto, racconta storie da sempre, in un’epoca pre letteraria la narrazione orale sostituiva giornali e libri. Secondo il neuro economista Paul J. Zak - continua il redattore capo di Wine Business International di Meininger - c’è una sostanza, la ossitocina, il cui livello crescere al crescere dell’empatia tra persone, che a sua volta aumenta quando le persone si raccontano delle storie. Il cervello non riesce a distinguere tra realtà e personaggi fittizi quando c’è empatia, funziona come l’adrenalina in situazione di stress. La struttura della storia, in questa dinamica ha una rilevanza fondamentale, tanto da interessare gli studiosi sin dagli anni Cinquanta: le storie hanno tutte una struttura simile, racchiusa in sette schemi narrativi diversi. Per Gustav Freytag (politico e scrittore tedesco del XIX secolo, ndr) ci sono 5 elementi, esposizione, fatto scatenante, climax, rallentamento, risoluzione. Vale per tutto, per un film come per una narrazione di marketing. Kurt Vonnegut (scrittore e saggista statunitense, ndr) , invece, dice che una storia non è fatta solo di una trama, ma di coinvolgimento emotivo, senza il quale non c’è narrazione, e perché il lettore si senta coinvolto, ci vuole sempre una dinamica di ascesa e caduta, come Cenerentola, una storia il cui modello è rispecchiato nelle favole di ogni civiltà, pare che sia stata tramandata sin dall’Antico Egitto, ma la ritroviamo in Cina, in Francia ed in Italia. Tornando a “Cinquanta Sfumature di Grigio” - aggiunge Felicity Carter- si parla di una storia banalissima, la teoria dominante è che le donne fossero interessate all’aspetto erotico, ma il pattern emotivo invece, fatto di un’ascesa ed una caduta, era molto più pregnante, alla fine a tanti non è piaciuto, ma tutti volevano sapere come sarebbe andato a finire, perché la trama ci porta su e giù come su un’altalena”.
E questo vale anche quando si parla, o meglio si racconta, la storia di un vino o di un’azienda. “Ci sono cantine con storie che vanno solo in ascesa, sempre in crescita, senza eventi importanti, senza drammi, e questo non le rende molto interessanti. Invece - spiega il redattore capo di Wine Business International di Meininger - se si vivono drammi come la Fillossera, bisogna saperlo raccontare, se si supera la Seconda Guerra Mondiale, va raccontato, la storia è fatta di luci ed ombre, e quando di attraversano, specie quando si parla di eventi storici, rendono più interessante anche la storia della cantina. Ci sono narrazioni persino più piatte e noiose, ma è sempre bene tenere a mente che la gente non ricorda gli oggetti, ma le persone. Nella storia reale, appunto, ci sono luci ed ombre, e forse il Nuovo Mondo le sa raccontare meglio. Ne è un esempio Babich, un croato emigrato in Nuova Zelanda un secolo fa, vissuto in semi povertà fino al secondo Dopo Guerra, per poi diventare, negli anni Settanta, una delle migliori aziende del Paese. È una storia di cui non c’è nulla di cui vergognarsi, anzi, è un’epopea bellissima, raccontata nel loro sito con “100 Years 100 Stories”, un lungo cammino per immagini che attraversa un secolo di storia, capace di appassionare wine lovers e consumatori”.
Chi non ha una grande storia alle spalle, probabilmente la gran parte dei produttori, può sempre attingere nell’immaginario, come “fanno tanti grandi marchi, pensiamo al brand di Treasury Wines “19 Crimes”, che ha optato per una scelta non convenzionale, legando il nome di un’etichetta al racconto di un lontano quanto evocativo mondo criminale . A proposito di racconti inventati - conclude Felicity Carter - pensiamo alle bufale circolate durante la campagna elettorale in Usa, e a come il racconto di Donald Trump, per quanto poco credibile, sia stato vincente ed affascinante, e quanta presa ha avuto sulle masse”.
Vista dal punto di vista delle aziende, “il vino - dice Rebecca Hopkins - è un prodotto che la gente vuole scoprire attraverso una storia, perché la gente ama ascoltare. In Usa, primo mercato al mondo, la storia che raccontiamo è quella di un Paese in continua evoluzione, grande, complesso, con migliaia di etichette nuove ogni anno, fatto del 25% di vino importato e migliaia di aziende solo in Usa. I dati ci dicono di 160 milioni di wine drinkers, di cui 76 milioni fidelizzati. Si beve vino per molti motivi, il primo è per piacere, e per piacere raccontiamo ed ascoltiamo storie. John Steinbeck (uno dei più grandi scrittori americani del XX secolo, ndr) diceva che una grande storia, fatta per durare, deve saper parlare a tutti. Quindi, una storia del vino deve superare le cifre, e poggiare su una narrativa interessante, che porti l’appassionato sulle montagne russe, emozionando, creando un legame tra vino e bevitore, dobbiamo portare il consumatore a sentirsi parte della storia stessa”.
Un altro aspetto da tenere costantemente in considerazione sono “le differenze culturali: gli Usa vivono di enormi distinzioni, specie tra Stati rurali e aree metropolitane. Leslie Sbrocco, volto tv del vino Usa, dice invece che non è sufficiente che un vino, come una birra o un sidro, sia spettacolare, per entrare nel mio bicchiere deve essere qualcosa in grado di emozionarmi. Tutto è racconto, dall’etichetta al tappo, passando per chi lavora in azienda, dal Ceo al giardiniere. E poi ci sono i brand ambassador, che devono saper raccontare l’azienda che rappresentano - continua la Hopkins - a patto che si tratti di una storia credibile, specie quando ci si rapporta con i giornalisti, sono loro poi a decidere cosa riportare e cosa no. Bisogna cercare di individuare la propria storia, ci vuole un grande oratore nella comunicazione diretta, una buona comunicazione scritta, la capacità di stare nel modo giusto sia sull’online che sui canali social, da Facebook a YouTube, e ancora, cura per l’aspetto grafico, video, immagini, infografiche, e poi la capacità di puntare sulla piattaforma giusta per coinvolgere il target giusto. Se un’immagine vale più di mille parole, un video ne vale migliaia, specie negli Stati Uniti. Dobbiamo far venire la voglia di Italia - conclude la vice president communications & partners di Folio Wine Partners - e dei suoi luoghi solo attraverso la narrazione, fatta di immagini e racconto. E poi, ci vuole coerenza con la storia che si decide di raccontare. Un esempio di questa capacità è quello di Susana Balbo, una produttrice argentina diventata enologa contro il volere della famiglia, e poi presidentessa di Wine of Argentina, l’associazione dei produttori del Paese. Lei, specie con la linea “Crios”, è stata capace di raccontare sé stessa in maniera autentica ed avvincente”.

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