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Vini imbottigliati a “destinazione”, cioè dove saranno venduti? Perché no. Il Nuovo Mondo enoico già lo sta facendo, ed il trend è in crescita. Minor impatto ambientale, facilità di conservazione e abbattimento dei costi i punti di forza

Dal tempo dei romani ai giorni nostri, il vino ha sempre viaggiato per nave. Un legame che oggi si ripropone con dinamiche in parte diverse. Dietro all’export di vino sfuso da imbottigliare nel Paese di destinazione, non ci sono solo motivazioni economiche, in grado di portare benefici sia ai produttori che agli importatori, ma anche ricadute positive sull’ambiente e sulla qualità stessa del prodotto. Se è facile capire come, eliminando il vetro e trasportando la stessa quantità di vino, si riducono le emissioni di Co2, è interessante notare anche che il vino sfuso risente in maniera minore dei grandi sbalzi di temperatura, che danneggiano l’imbottigliato accelerandone il processo di evoluzione e riducendone quindi la longevità.

Cogliendo ancora una volta uno dei vantaggi che derivano dalla completa “deregulation” che vige nei Paesi del Nuovo Mondo enoico, in Australia la quota di vino sfuso esportato è passata dal 10% degli anni ’90 al 60% del 2010, e la Nuova Zelanda ha visto crescere dal 4 al 30% la quota di Sauvignon Blanc sfuso nell’arco di pochissimi anni. E non fa specie che proprio da qui arrivi con una forza non trascurabile questa nuova tendenza. Un “escamotage” ulteriore per ridurre i prezzi dei vini di quei Paesi, che continuano ad essere quelli più a buon mercato e quindi “naturali” protagonisti del consumo di vino più largo e del suo impiego come materia prima nell’industria enologica.

Ma se fino al 1948 persino il pregiatissimo Château Margaux lasciava sfuso la cantina bordelese, per i mercati esteri, è impensabile che i fine wines di oggi possano percorrere una strada del genere. La dicitura “mis en bouteille au château”, comparsa per la prima volta sulle bottiglie del Barone Philippe de Rotschild negli anni ‘20, è nata infatti dalla necessità di garantire alti standard qualitativi e contrastare il rischio di adulterazione, una necessità che oggi è più forte che mai, tanto che l’imbottigliamento nel territorio di produzione è, per la stragrande maggioranza delle denominazioni più importanti del Vecchio Mondo, prevista dal disciplinare di produzione. Insomma, difficile pensare ad un ritorno al passato per questa tipologia.

Al contrario, per i vini di fascia media e di fascia bassa, la vendita sfusa rappresenterebbe una scelta di buon senso, soprattutto sotto l’aspetto qualitativo. C’è poi da tenere in considerazione il fatto che più tardi si imbottiglia, più tardi il vino inizia ad invecchiare e, del resto, imbottigliare direttamente a destinazione permette una maggiore flessibilità nella scelta e nella possibilità di cambiamento del packaging, anche rispetto a mercati in continuo e veloce cambiamento (la crescita delle “private label” non è che l’esempio più evidente). C’è poi l’aspetto ambientale: cambierebbe radicalmente il rapporto tra vetro verde prodotto e riciclato, evidentemente. Ma non solo. Ci sarebbe anche una drastica riduzione di Co2 prodotta. Un obbiettivo che in questo momento storico fa e farà sempre di più la differenza, visto la crescente e costante attenzione verso prodotti il più possibile “puliti”.

Certo, tanti produttori ancora non si fidano della bontà dei “flexitank”, i contenitori da 24.000 litri che, al contrario di quanto si possa immaginare, sono assolutamente sicuri dal punto di vista igienico. “La movimentazione del vino è sicuramente maggiore - spiega il MW Barry Dick che ha analizzato per “Decanter” (www.decanter.com) il fenomeno in crescita in Gran Bretagna dei vini sfusi in arrivo dal “Nuovo Mondo” che vengono poi imbottigliati sull’isola - ma la spedizione di vino sfuso fornisce una eccellente stabilità termica e un potenziale risparmio sia in termini qualitativi che economici. Sulle lunghe tratte navali oltre l’equatore è senza dubbio una grave beneficio”.

Magari lascia un po’ di amaro in bocca, ma questa tendenza potrebbe crescere nel futuro. Infatti, se guardiamo il fenomeno dal punto di vista economico, i vantaggi sono decisamente maggiori degli svantaggi. Si tratta di un portato della mondializzazione che ci riporta alla memoria quello che accadeva durante la rivoluzione industriale, quando le materie prime arrivavano da lontano per essere lavorate e/o consumate in Europa. Finito il tempo dei metalli e delle stoffe, potrebbe essere venuto il momento dei beni alimentari, che costituiscono ancora un punto fermo dell’industria dei Paesi più ricchi. E alla fine, la storia potrebbe raccontare l’imbottigliamento all’origine come una vecchia pratica del XX secolo.

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