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I Paesi Terzi sono la meta più importante del vino italiano, non l’Ue, come dicono Istat ed Eurostat. A dirlo l’analisi sui dati delle dogane dell’Osservatorio Paesi terzi di Business Strategies e Nomisma Wine Monitor. Usa, comunque, sempre al top

L’export verso i Paesi terzi rappresenta in valore il 56% del nostro vino (e non il 48%); in Russia si registra il 154% di vendite in più rispetto alle tabelle indicate dal nostro istituto nazionale di statistica, mentre gli Stati Uniti sommano importazioni di vino made in Italy per 1,53 miliardi di euro, e non per 1,26 miliardi. Ecco, in sintesi, il quadro che emerge dall’Osservatorio Paesi terzi di Business Strategies e Nomisma Wine Monitor, che ha analizzato i dati import delle dogane di tutto il mondo e li ha confrontati con le statistiche di Istat e di Eurostat. E se il risultato complessivo non cambia - con il record di vendite di vino italiano nel mondo che rimane fissato nel 2015 a 5,35 miliardi di euro in valore - si invertono però notevolmente i fattori, con l’extra-Ue che, per la prima volta, supera e stacca la domanda di vino comunitaria, a quota 56% sul totale delle vendite e un valore di 3 miliardi di euro. Molto più di quanto si evince analizzando i dati di Eurostat secondo cui i Paesi terzi valgono il 48% delle vendite, per un valore di 2,57 miliardi di euro.
“Non solo. Se si prendono in considerazione i primi 7 Paesi buyer (Usa, Svizzera, Canada, Russia, Giappone, Norvegia, Cina), a fronte di trend più o meno invariati, i dati delle dogane, che tengono conto del Paese di origine e non di provenienza - spiega una nota - segnalano valori acquistati maggiori del 20% (la differenza è di 461 milioni di euro). La Russia in particolare - al settimo posto nelle tabelle Istat - balza al quarto posto e modifica il proprio impatto sul mercato del 154%, passando da 71 a 181 milioni di euro di prodotto italiano importato. Anche gli Stati Uniti e la Norvegia riservano un “sovrappiù” di mercato non indifferente, con il nostro top market che vale 265 milioni di euro in più (21%) rispetto ai calcoli nazionali, mentre la domanda norvegese passa da 95 milioni di euro a 126 milioni di euro (32,2% in più). La riprova per l’Osservatorio arriva analizzando i dati di alcuni Stati non proprio produttori ma soggetti a triangolazioni, come i Paesi Bassi. Qui è quasi tripla la differenza tra l’export segnalato da Eurostat (219,9 milioni di euro) e le importazioni registrate dalle dogane di vini provenienti dalle terre olandesi (74,6 milioni di euro), con risultati pressoché identici per l’imbottigliato”.

“La differenza più rilevante tra i due sistemi di rilevazione - spiega il responsabile Wine Monitor di Nomisma, Denis Pantini - è metodologica e deriva dal fatto che nel caso di Eurostat e di Istat le merci che riguardano il commercio vengono registrati secondo una metodologia chiamata Intrastat, la cui differenza principale sta nel rilevare come Paese di importazione quello di provenienza e non di origine, come invece fanno le dogane”. Così se il nostro vino per andare a Mosca passa da Rotterdam ma non viene immesso nel mercato olandese (non viene sdoganato), per il sistema Intrastat è comunque quest’ultimo il Paese buyer e non la Russia, la cui dogana tiene invece conto dell’origine e non della ultima provenienza della merce.
“Questa rilevazione conferma tutta la vivacità della domanda del nostro vino nel mondo, in particolare nei Paesi terzi - ha detto Silvana Ballotta, Ceo della società esperta in internazionalizzazione del vino, Business Strategies - grazie all’attività di promozione, realizzata da 9 anni anche attraverso gli strumenti comunitari dell’Ocm, le nostre esportazioni extra-Ue sono passate dal 2007 a fine 2015 dal 49% al 56% e rappresentano la maggior parte delle vendite di vino italiano all’estero”.

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