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Un approccio umanistico al cibo, analizzato nelle sue dinamiche più profonde all’incontro “Cibus Vivendi - Come studiare l’alimentazione dal punto di vista umanistico: filosofia, educazione, comunicazione”, di scena a “Terra Madre Salone del Gusto”

Tra i mille approcci al cibo e all’alimentazione se ne fa largo uno nuovo, puramente umanistico, che prova a leggere ed analizzare le dinamiche legate al mondo del food attraverso le discipline più classiche del mondo umanistico, dalla filosofia alla semiotica, con le ricerche e gli studi dei docenti dell’Università di Torino, protagonisti del confronto “Cibus Vivendi - Come studiare l’alimentazione dal punto di vista umanistico: filosofia, educazione, comunicazione”, all’Università di Torino, nella cornice di “Terra Madre - Salone del Gusto”, nel capoluogo piemontese fino al 26 settembre (www.salonedelgusto.it).

Il cibo, così, si scopre fonte inesauribile di stimoli e chiavi di lettura, a partire dall’analisi semiotica che ne ha fatto la professoressa di Filosofia e Teoria dei Linguaggi Simona Stano, che al cibo ha dedicato tutti i suoi ultimi lavori: “possiamo considerare l’alimentazione come un codice, con una sua grammatica ed un suo linguaggio. Il cibo, in questo senso, esprime la propria identità e la propria appartenenza culturale, e come tale non è un linguaggio statico, perché molte tradizioni non sono tali ed altre prendono piede o evolvono, portandoci, ad esempio, ad includere o escludere determinati cibi dalle nostre diete”.

Se il cibo è un linguaggio, sa parlare perfettamente la lingua dell’inclusione (o dell’esclusione) sociale, come racconta nel suo intervento il professor Cristian Campagnaro, docente di Disegno Industriale al Politecnico di Torino. “Abbiamo portato avanti un progetto, con il Politecnico di Torino, di reinserimento delle persone senza fissa dimora, ed il loro rapporto con l’alimentazione si è rivelato paradigmatico: chi esce dalla società, infatti, per prima cosa perde l’abitudine a scegliere cosa mangiare, rifugiandosi nei piatti pronti ed iperproteici, rivelando come, ancora una volta, il cibo racconti, in qualche modo, la realtà. Reinserire persone senza fissa dimora nella società civile e nel mondo del lavoro, così, passa anche per la riscoperta del cibo e della cucina”.

Il rapporto tra uomo e produzione agricola, inoltre, ha influito anche su un altro aspetto, quello della geografia del mondo: “in geologia - racconta il professor Cristiano Giorda, docente di geografia dell’Università di Torino - è in voga un concetto nuovo, quello di “antropocene”, ossia una nuova era, quella che stiamo vivendo, segnata dall’antropizzazione della geografia. Questo è il momento in cui la specie umana è più presente ed incisiva che mai, ovunque, basti pensare ai cambiamenti climatici che, nell’indifferenza generale, stanno portando l’umanità verso il disastro. Al centro della storia, ovviamente, c’è proprio il cibo, a partire dall’agricoltura, che ha rivoluzionato il paesaggio, mentre più di recente l’evoluzione delle reti distributive ha cambiato radicalmente la geografia delle città. In certi casi, inoltre, si assiste a territori modellati dalle proprie produzione enogastronomiche, basti pensare alle Langhe, dove il vigneto è la cifra distintiva”.

Inevitabilmente, il cibo suscita l’interesse anche del mondo filosofico, in particolare stuzzicando la curiosità del professor Gianluca Cuozzo, docente, tra le altre materie, di Filosofia della Natura all’Università di Torino. “Il cibo offre una vasta gamma di interpretazioni e significati, in termini semantici. È prima di tutto “bisogno”, quindi “desiderio”, ma anche “arte”, inteso come luogo in cui esercitare la nostra arte, come ha fatto l’artista svizzero Daniel Spoerri nel suo ciclo di opere “Eat Art”, in cui ha messo al centro gli avanzi. E ancora, il cibo è “metafora”, “diritto vitale”, pensiamo all’accesso alle risorse primarie, o anche al valore che diamo al cibo nella società Occidentale, in cui paghiamo dietisti per farci dire di mangiare meno. Ma è anche “ossessione”, pensiamo alla presenza esasperante del cibo nei social network, “conoscenza toponomastica”, perché colleghiamo piatti a luoghi, come l’amatriciana ad Amatrice. E poi è “politica” e “geopolitica”, come ci raccontano gli ultimi eventi sul controllo di semi e colture da parte di multinazionali come la Monsanto. Interessante anche il concetto di “utopia alimentare”, con l’uomo che ormai pensa che il mondo sia a suo esclusivo uso e consumo, che nasconde un altro concetto, assai più reale e grave, quello di “avanzo”, inteso appunto come mondo alimentare reale dietro all’utopia”.

Si parla tanto di estetica del cibo, dimenticando a volte l’importanza del valore etico delle nostre scelte. “È strano - spiega il professor Maurizio Balistreri, docente di Filosofia Morale all’Università di Torino - pensare di criticare le scelte di chi va al supermercato a fare la spesa, magari consigliandogli le scelte giuste. Eppure, dobbiamo sempre considerare che quando scegliamo cosa mangiamo compiamo sempre una scelta etica, che comporta conseguenze importanti nella vita delle persone, che magari sono sfruttate nel circolo produttivo, e ancor di più, ovviamente, in quelle degli animali. Che non si risolvono neanche rivoluzionando il modo di allevarli, magari puntando esclusivamente su allevamenti biologici, su cui comunque ci sarebbero enormi difficoltà per la loro completa realizzazione su larga scala. Il problema morale dell’uccisione degli animali per la nostra alimentazione, invece, potrebbe essere risolto, paradossalmente, dalla ricerca sugli Ogm, magari creando carne sintetica da cellule staminali”.

Implicazioni etiche che hanno un peso ancora maggiore nell’analisi del giovane, quanto famoso, filosofo, scrittore ed attivista Leonardo Caffaro, anche lui docente, di Ontologia e Teoria del Progetto, al Politecnico di Torino. “Il nostro rapporto con il cibo è ormai ossessivo, ma si rischia d confondere due mondi assai distanti: il gusto ed il cibo, infatti, non vanno di pari passo, perché il cibo è essenzialmente necessità, e non c’è la reale necessità di mangiare così tanta carne e di distruggere il mondo con allevamenti intensivi che, ad analizzare i dati reali, sono i maggiori responsabili dell’inquinamento e del riscaldamento globale. Il cibo, inoltre, è diventato ormai un sistema valoriale capace di sostituirsi all’ecologia, ed in questo senso dovremmo riappropriarci del piacere di sfidare noi stessi, mettendo al centro le reali necessità della terra, perché tra qualche anno saremo 10 miliardi di persone, ed il piacere del mangiare bene dovrà passare necessariamente in secondo piano, con gli insetti che, volenti o nolenti, sono in grado di fornirci le stesse proprietà della carne inquinando, per allevarli, infinitamente meno”.

Infine, il secolare rapporto tra cibo ed arte, ma da un punto di vista prettamente filosofico, indagato dalla professoressa Carola Barbero, docente di Filosofia della Letteratura all’Università di Torino, insieme al collega Alberto Voltolini, docente di Filosofia e Teoria dei Linguaggi sempre all’Università di Torino. “Ci sono due aspetti interessanti, a livello filosofico, del cibo, uno relativo al suo consumo ed uno al suo rapporto con l’arte. Per prima cosa, il fatto che compriamo molto più cibo di quanto ne consumiamo ci racconta molto di quanto ragioniamo male. Viviamo, in effetti, una sorta di “autoinganno”, perché sappiamo, ad esempio, che il junk food è dannoso e fa male, ma lo mangiamo lo stesso, pensando che, almeno da un punto di vista morale, possa farci bene. È un vero e proprio paradosso, una contraddizione, il cibo ci fa comportare come non vorremmo. Ma possiamo considerarlo arte? Secondo le considerazioni sull’estetica di due grandi della storia della filosofia, come Kant e Hegel, no. Per Kant non si può parlare d’arte quando viviamo un interesse troppo forte per l’oggetto che abbiamo di fronte, come appunto il cibo. Per Hegel, invece, trattandosi di un oggetto di consumo, destinato a sparire, non è giudicabile con i canoni estetici. In realtà, il cibo è simile ad oggetti artistici accettati storicamente, come le performance, siano esse teatrali, musicali o di danza. Inoltre, siamo ben in grado di eliminare le proprietà strumentali di un piatto: il fatto che soddisfi un nostro piacere non inficia la nostra capacità di giudizio. Quindi, sì, il cibo può essere arte”.

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