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Vini frizzanti, per l’Italia rappresentano il 15% dell’imbottigliato esportato, per un giro d’affari di 347 milioni di euro, con una bottiglia su tre che finisce in Germania. Ecco i numeri del “Focus Frizzanti 2016” de Il Corriere Vinicolo - Uiv

I vini frizzanti rappresentano il 15% dell’imbottigliato esportato dal Belpaese, leader europeo con un giro d’affari di 347 milioni di euro, pari all’80% di quanto mossa dall’Europa intera (420 milioni di euro), pari a 1,6 milioni di ettolitri, il 75% del totale (2 milioni di ettolitri), ed una quota valore del 10%, con una posizione di monopolista in Paesi come Germania, Spagna, Austria, Francia, Repubblica Ceca, Finlandia, Paesi Baltici, e con quote tra il 30% ed il 50% in quasi tutti gli altri mercati della Vecchia Europa. Ecco i numeri del “Focus Frizzanti 2016” de Il Corriere Vinicolo - Uiv (www.uiv.it).
Un predominio, quello italiano, che poggia su territori come quello del Lambrusco, dell’Oltrepò, del Monferrato e del Veneto, specie con le uve Glera, da cui si producono Prosecco ed altri vini frizzanti, anche se dal 2011 il comparto ha smesso di crescere, attestandosi ad 1,6 milioni di ettolitri prodotti nel 2015 (stessi livelli del 2014), con i valori sotto i 350 milioni di euro, mentre i prezzi medi sono riusciti a confermarsi sopra la quota dei 2 euro al litro, per la precisione 2,16, record di sempre per la categoria, che dimostra un miglioramento qualitativo tangibile, nonostante la competizione con gli spumanti, che hanno ovviamente eroso quote di mercato ai frizzanti (che nel 2011 rappresentavano il 16% dell’export).

Ma non si creda che vino frizzante faccia rima con bassa qualità, perché l’80% delle bottiglie è a denominazione d’origine o a indicazione geografica (44%), mentre i vini frizzanti comuni valgono il 17%, con la presenza dei varietali praticamente impalpabili. I frizzanti Igp, comunque, tra il 2011 ed il 2015 hanno perso ben 20 milioni di litri, spesso andati ad accrescere le quote dei frizzanti Dop (specialmente il Prosecco).

Analizzando i singoli mercati, la Germania è il Paese di riferimento, capace di assorbire un terzo delle spedizioni, ma 15 anni fa la quota arrivava addirittura al 60%, mentre sono cresciuti Stati Uniti (20%) e Regno Unito (4%). Dietro, una serie di mercati in crescita, che permettono di diversificare il portafoglio dei produttori italiani: nel 2001, le prime 10 destinazioni contavano per il 95% del totale export, peso sceso oggi all’80%. In questo panorama, le tendenze sono decisamente diverse: nell’Ue, la Germania si conferma mercato stabile, mentre chi ha perso spinta propulsiva sono i Paesi Bassi (-7%) e Spagna, passata dal +37% del periodo 2000-2007 al -7% del periodo 2008-2015. Sette punti in meno di crescita anche per l’Austria, mentre UK, Francia e Repubblica Ceca restano in terreno positivo. Bene l’Irlanda, cresciuta del 30% negli ultimi 7 anni, mentre sul fronte extra Ue, ci sono il calo della Russia e del Brasile, passato da +12% a -5%. Scende anche la Cina, che comunque nel 2008-2015 macina una crescita del 30%. In espansione il mercato americano (+2% nei due periodi), il Canada (+5% e +10%) e il Giappone, che passa da un periodo 2000-2007 in calo (-4%) alla crescita del periodo successivo, chiudendo il bilancio al 2015 a +20%.

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