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Con 204 milioni di abitanti, il Brasile è il mercato più importante del Sudamerica ma, dopo 10 anni di crescita delle importazioni enoiche, decrescita economica, inflazione, tasse e burocrazia, rischiano di frenare le spedizioni, specie dall’Europa

Con 204 milioni di abitanti, il Brasile è, di gran lunga, il mercato principale del Sudamerica, anche per quanto riguarda il vino, con le importazioni che, negli ultimi dieci anni, sono praticamente raddoppiate, passando da 41 ad 82 milioni di litri, per un valore passato dai 100 milioni di dollari del 2005 ai 292 del 2015, che fanno del Brasile il 16esimo importare del mondo per volumi ed il 13esimo per valori. A godere di una crescita che rispecchia la straordinaria evoluzione economica e sociale vissuta dal Paese negli anni di Lula, oggi in frenata, sono soprattutto i Paesi vicini, che grazie al Mercosur, il Mercato Comune dell’America del Sud usufruiscono di tagli importanti delle tasse: il Cile, così, è il primo esportatore sul mercato brasiliano, con 36 milioni di litri, pari ad una quota del 46%, con l’Argentina che segue a 12,41 milioni di litri, il Portogallo a 10,2 milioni di litri, l’Italia a 8,2 milioni di litri, la Francia a 3,5 milioni di litri e la Spagna a 3,1 milioni di litri.

In pratica, il 96% delle importazioni arriva da 6 Paesi, ma i consumi medi sono ancora bassi: 2 litri pro capite all’anno, in un Paese che, però, vive enormi diversità, tanto che nello Stato di Rio de Janeiro, il più turistico e con maggior tradizione enoica, si arriva a 4,8 litri a testa. La maggior parte degli acquisti avviene tra gli scaffali di ipermercati e supermercati, ed il consumo, di conseguenza, è sostanzialmente domestico, con il prezzo medio che tocca i 31 reales al litro, pari a 8,5 euro. Nel calcolo del prezzo di vendita di un vino in Brasile, però, ci sono da tenere in conto diversi fattori: il primo sono le accise sull’importazione dei prodotti che arrivano dai Paesi al di fuori del Mercosur, pari al 27%, che si somma al valore della merce su cui poi andranno a gravare le altre tasse, in un meccanismo a cascata decisamente svantaggioso per il vino che arriva dall’Europa, e quindi dall’Italia: si va dal 10% di accise sui “prodotti trasformati” al 2,1% di tasse sociali, dal 9,65% di Cofins al 25% di Iva. Quindi, ci sono da tenere in conto i margini commerciali, particolarmente alti in Brasile: gli importatori, di solito, applicano un margine che va dal 70% al 90%, i negozi ricaricano almeno un 40-50% e l’horeca addirittura il 100%, per un prezzo finale al consumatore tra le 4 e le 6 volte superiore a quello di partenza.

Un altro aspetto interessante è che allo scaffale, normalmente, solo i vini francesi, italiani e portoghesi hanno uno spazio dedicato, con australiani, californiani, sudafricani e spagnoli a cui è, invece, dedicata la sezione “altri vini”. È un aspetto competitivo importante, specie adesso che le grandi catene si stanno svicolando dai grandi importatori per comprare direttamente in maniera autonoma. L’accesso al mercato brasiliano, però, come abbiamo visto è tutt’altro che semplice: oltre ad un livello di tassazione decisamente importante, ad una macchina burocratica lenta e macchinosa, c’è da mettere in conto una frenata importante dell’economia e del Pil del Paese, arretrato del 3% annuo nell’ultimo biennio che, insieme ad un inflazione del 10%, sta erodendo in maniera importante il potere di acquisto della neonata classe media carioca.

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