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Se l’Italia ha stanziato 21 milioni di euro per lo studio del genoma della vite e di altre piante, in Champagne il Comité incrocia le 7 varietà ammesse dalla denominazione con super varietà resistenti, per avere, entro il 2030, i cloni del futuro

Italia
Lo Champagne al microscopio

Il futuro della viticoltura, così come quello di tante altre colture minacciate dai cambiamenti climatici, è nell’evoluzione, e nella creazione di varietà resistenti non solo al caldo, ma anche alle malattie che, con il riscaldamento globale, hanno vita sempre più facile, senza contare che varietà resistenti permetterebbero una gestione green del vigneto senza troppi sforzi. La strada è quella del genoma editing, mutuata dalla medicina umana, con la quale, in estrema sintesi, non si fa altro che accelerare il processo di selezione naturale di varietà di uva più resistenti alle malattie e ai cambiamenti climatici, senza alterarne le qualità organolettiche, che consentirebbero così un minor uso di agro farmaci e trattamenti, con ricadute positive sull’ambiente, sulla salute di chi vive e lavora in vigna, e sul futuro e sull’economie delle aziende.

Ci crede l’Italia, che nella Legge di Stabilità 2016 ha stanziato un fondo di 21 milioni di euro, per quello che è stato definito “il più importante progetto di ricerca pubblica mai fatto in Italia su un argomento tanto attuale quanto delicato”. E ci punta la Francia, a partire dai produttori di Champagne, che stanno lavorando ad un programma su nuovi vitigni, capaci comunque di mantenere la tipicità del re delle bollicine. “Stiamo lavorando da tempo ad un progetto che potrebbe cambiare dalle fondamenta i vitigni alla base della denominazione”, spiega a “Le Figaro”
(www.lefigaro.fr) Thibaut Le Mailloux del Comité Champagne. In partnership con l’Inra - Institut National de la Recherche Agronomique e l’Institut français de la vigne et du vin di Montpellier, il programma, della durata di 15 anni, mira a creare quattro o cinque nuove varietà capaci di anticipare i cambiamenti climatici.
In sostanza, come precisa il Comité Champagne, “si tratta di incrociare le varietà ammesse in Champagne con delle varietà naturalmente resistenti a certe malattie, o che presentino delle peculiarità interessanti come, ad esempio, una maturazione tardiva, per ottenere una resistenza naturale al riscaldamento globale”. E non c’è molto tempo da perdere, perché l’evoluzione delle condizioni climatiche ha già comportato un anticipo della fioritura, dagli anni Novanta ad oggi, di quasi due settimane, con grappoli più grandi e tassi d’alcol più alti di un grado, e le cose non potranno che peggiorare, visto che da qui al 2100 si registrerà un aumento medio delle temperature di 1-5 gradi.
La base è quella dei sette vitigni ammessi, Pinot Noir, Pinot Meunier, Chardonnay, i più utilizzati, Arbane, Petit Meslier, Pinot Gris e Pinot Blanc, da incrociare con super varietà resistenti a oidio ed altre malattie, che genereranno qualcosa come 4.000 semi, da cui, chissà, potrebbero nascondersi i cloni del futuro. Non si tratta, come del resto negli studi in Italia, di Ogm, ed entro il 2030 potrebbero venire iscritte le prime varietà, pronte a scrivere il futuro dello Champagne.

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