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Vino “pop” per eccellenza, “bollicina” rossa amatissima anche d’estate, il Lambrusco oggi cerca una nuova svolta qualitativa. A WineNews, Ermi Bagni, direttore del Consorzio del Lambrusco di Modena, e Anselmo Chiarli (Chiarli 1860 e Cleto Chiarli)

Italia
Le bollicine di Lambrusco

Vino “pop” per eccellenza, alternativa “frizzante” rossa amatissima anche in estate, tipologia che negli anni 60 del secolo scorso ha aperto mercati fondamentali all’Italia enoica, come quello Usa, e oggi vino tra i più venduti nella grande distribuzione del Belpaese (per 44,28 milioni di euro nel 2015, secondo solo al Chianti con 60, secondo Iri), il Lambrusco, la cui produzione si concentra soprattutto tra Modena e Reggio Emilia, toccando anche le province di Bologna, Parma e Mantova, in Lombardia, è motore di un distretto economico dove il vino frizzante italiano più esportato dopo il Prosecco muove un giro d’affari di oltre 570 milioni di euro, grazie ad oltre 180 milioni di bottiglie complessive tra le 110 del Lambrusco Emilia Igp e le altre divise tra le diverse Dop (Sorbara, Grasparossa di Castelvetro, Salamino di Santa Croce, Modena, Reggiano Lambrusco, Colli di Parma e Mantovano), che finiscono per oltre il 63% all’estero. Nome di grande successo, Lambrusco, in crescita sul mercato nazionali e su quelli stranieri, al punto che c’è chi in Europa ne ha proposto la liberalizzazione per ora sventata, dopo la levata di scudi dell’Italia, che nasconde una grande pluralità di vitigni (la prima classificazione è di Francesco Agazzotti, nel 1867), ed un tessuto produttivo che vede il dominio assoluto delle cantine sociali e cooperative, che producono il 90% delle uve destinate a Lambrusco, e dove alcune di queste realtà illuminate, e soprattutto le cantine privante, hanno dato vita ad una svolta qualitativa nel territorio, con tanti riconoscimenti arrivati anche dalla critica, italiana ed internazionale, che sta riscrivendo il presente e, forse, anche il futuro, del più celebre dei vini dell’Emilia Romagna.

“Un futuro che dobbiamo riscrivere perché sono cambiati gli scenari e le esigenze dei consumatori”, spiega a WineNews Ermi Bagni, direttore del Consorzio di Tutela del Lambrusco di Modena (che riunisce sotto il suo ombrello tutte le Dop della provincia di Modena, Lambrusco di Sorbara, Lambrusco Salamino di Santa Croce, Lambrusco Grasparossa di Castelvetro, Lambrusco di Modena, per oltre 30 milioni di bottiglie, www.tutelalambrusco.it), e del Consorzio Marchio Storico dei Lambruschi Modenesi (www.lambruscovalley.it).
“Informazione ai consumatori, soprattutto sull’origine, innovazione per la qualità e la sostenibilità della produzione del territorio, con un occhio particolare all’impronta idrica e carbonica sono le linee guida su cui dobbiamo muoverci. Facendo dialogare in maniera virtuosa cantine private e cooperative. Tenendo conto - sottolinea Ermi - che da noi la cooperazione ha un ruolo storico fondamentale. Oggi in media la proprietà di un viticoltore è sui 5-6 ettari, ma bisogna tenere conto che fino a non molto anni fa era anche sotto il mezzo ettaro, e la cooperazione è servita a tutelare il reddito di questi agricoltori. Di certo è che c’è un equilibrio complesso da trovare: dobbiamo puntare sulla qualità e sul valore delle nostre bottiglie, senza pensare però di alzare troppo l’asticella, perché la vocazione principale del Lambrusco è quella di essere un vino genuino, adatto al consumo quotidiano”. Insomma, crescere rispetto ai poco più di 2,5 euro a bottiglia di oggi, in grande distribuzione, ma senza puntare, almeno nei grandi numeri, a prodotti da oltre 10 euro a bottiglia.
Una visione che, in qualche modo, è la stessa di Anselmo Chiarli, quarta generazione di una famiglia leader nel territorio che da oltre 150 anni ha legato inscindibilmente il proprio nome a quello del Lambrusco, con la Chiarli 1860 (realtà da oltre 20 milioni di bottiglie complessive) e la Cleto Chiarli, fondata nel 2001 e dedicata ai prodotti di più alta gamma (www.chiarli.it), a cui dal 2014 si è affiancata anche la “Quinto Passo”, azienda ad hoc dedicata alla spumantizzazione del Lambrusco con il metodo classico (in purezza o con altri vitigni come lo Chardonnay, www.quintopasso.it).
“Noi abbiamo iniziato a produrre Lambrusco 150 anni fa, già ad inizio secolo era un vino molto diffuso anche fuori dalle proprie zone di produzione, e negli anni 60 ha aperto un mercato importante come gli Usa, e poi è arrivato anche in tanti altri Paesi che si sono affacciati pian piano al consumo di vino. Un successo che è arrivato grazie alle sue caratteristiche di prodotto fresco, piacevole, di facile approccio, e anche ai costi accessibili. E su questo però oggi dobbiamo fare un ragionamento importante, perché se un prodotto diventa troppo accessibile (o, tradotto, costa troppo poco, ndr), si perde la percezione di quanto vale, non solo dal punto di vista economico. Intendiamoci - spiega Anselmo Chiarli - il Lambrusco non è il Brunello o il Barolo, che vivono di grandi valori fatti su pochi milioni di bottiglie. Il nostro vino deve saper coniugare quantità importanti e qualità, ed è una sfida possibile, che noi viviamo in prima persona: con la Cleto Chiarli facciamo 1 milione di bottiglie di altissima gamma, con la Chiarli 1860 facciamo vini di prezzo più contenuto ma comunque di qualità, anche perchè le uve di Lambrusco consentono di produrre volumi importanti di prodotti di buon livello. E di certo una evoluzione qualitativa c’è stata, ed in parte è stata capita, almeno sul mercato italiano, dove la stratificazione delle Doc è più facile da raccontare e da far comprendere, ed il consumatore ha accompagnato un percorso che le cantine hanno fatto verso lambruschi più aderenti alla loro tipicità storica e alla diversità delle loro espressioni. Discorso più difficile all’estero, invece, dove il prodotto che va ancora per la maggiore è sostanzialmente lo stesso degli anni 70-80, e qualche segno di stanchezza, senza fare drammi, si nota, dovuto soprattutto alla sostituzione demografica dei consumatori, con i giovani che non conoscono il Lambrusco. Insomma - sintetizza Chiarli - non abbiamo ancora capito quale sia il Lambrusco più adatto per iniziare a conquistare i Millennias”.
Eppure la filiera del Lambrusco è in salute, e anche nei mercati stranieri qualche piccolo segnale da cui partire, per una nuova crescita, si intravede: “in mercati come gli Stati Uniti ed il Nord Europa si sta lavorando per affiancare al prodotto “old style”, che comunque aiuta a fare i numeri e a tenere in piedi le aziende, le tipologie più tipiche che in Italia già hanno fatto prese, e che non solo sono più remunerative, ma aiutano anche a far crescere l’immagine del Lambrusco”.
Un nodo cruciale, secondo Chiarli, è l’evoluzione delle cooperative: “la cooperazione è una forza importantissima, indispensabile, lo dico da produttore privato. Per le nostre linee top facciamo tutto dai 140 ettari di proprietà, ma parte delle uve o del vino lo compriamo anche, e devo dire che guardando alla qualità anche la cooperazione si è molto evoluta, ed oggi è difficile trovare un lambrusco non buono o con caratteristiche non idonee. Il problema è che non tutte, ma alcune cooperative ancora non lavorano bene sul fronte della commercializzazione: spesso si ragiona con la logica di svuotare le cantine ad ogni costo, facendo confusione, e spesso svendendo il prodotto, soprattutto per l’imbottigliamento all’estero, e così si distrugge valore, con queste realtà che prima fanno danno a loro stesse, e poi al territorio. Un problema che chi lavora in un certo modo supera, noi lo viviamo in prima persona. Ma la questione è che si chiama tutto “Lambrusco”, dalle Dop all’Ipo, e finché si trovano sul mercato prodotti da 80 centesimi al litro si fa più fatica ad affermare il concetto della qualità e a farsi riconoscere il giusto lavoro. Ma non è una situazione negativa, e anche sul fronte della commercializzazione ci sono cooperative che lavorano bene, come la Cantine Riunite per fare un esempio. E anche il Consorzio sta lavorando bene (il marchio collettivo “Lambrusco”, per esempio, è stato depositato in mercati importanti come Brasile e Giappone, ma anche in Argentina, Cile, India ed Ucraina, per esempio, ndr). Diciamo che il sistema Lambrusco è in una fase di transizione e sta cercando la strada per il futuro, ma lo fa con ottimismo e con basi solide”.
Che permettono anche di sperimentare e di creare delle chicche che, a livello di numeri, non fanno la differenza, ma aiutano a far parlare del Lambrusco come prodotto di qualità. “È quello che stiamo facendo anche con la Quinto Passo - spiega Chiarli - progetto che abbiamo affrontato con la convinzione che il Lambrusco, soprattutto quello di Sorbara, ha caratteristiche importanti, come una buona acidità, per essere spumantizzato in metodo classico. Lo abbiamo fatto sia un purezza che in blend con lo Chardonnay. È un progetto piccolo nei numeri, siamo sulle 20.000 bottiglie, ma sta dando buoni risultati, ed è una di quelle esperienze che può contribuire a fare crescere l’immagine del Lambrusco come vino di alta qualità”.

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