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Bottiglie dalla cantina di Napoleone, Chateau Lafite 1904, Barolo di Fontanafredda donato dalla Bela Rosin, Brunello 1888 di Biondi Santi, Sassicaia 1968: dalla collezione di 5.000 vini rari e pregiati della famiglia Ronchi nasce un “Museo” a Milano

“Ci sono bottiglie che venivano dalla cantina di Napoleone, arrivatemi in eredità; uno Château Lafite 1904, e tutti i Premiers Crus di Bordeaux classificati nel 1855, Château Mouton, Latour, Margaux e Haut-Brion, accanto ai grandi rossi di Borgogna. I Barolo? Da quello di Fontanafredda regalato alla mia famiglia dalla Bela Rosin, ad alcuni del 1889, anno di nascita di mio nonno. Di Bartolo Mascarello ho tutte le etichette disegnate da lui. Del Barone Ricasoli ho bottiglie che vanno dal 1918 in poi. Il primo Brunello di Montalcino è un Biondi Santi del 1888, e poi Tignanello, Solaia, Masseto, e Sassicaia, il primo, del 1968”. In tutto, di bottiglie così, di vecchie e rare annate, ambite e ricercate, ce sono 5.000, tutti rossi, dal 1820 al 2000: oltre 180 anni di storia del vino. A collezionarle e custodirle fino ad oggi, la storica famiglia Ronchi, in oltre un secolo di vicende che arrivano fino all’Enoteca Ronchi a Milano, e che, dalla fine di settembre, formeranno quello che “sarà un Museo sì, ma anche una scuola per la conoscenza del vino”, privati, nel cuore della città. Lo racconta a WineNews Maria Luisa Ronchi, che porta avanti una tradizione “iniziata nel 1865 con Giovanni Ronchi e arriva fino a me che sono la quinta generazione. Producevamo vino in Piemonte, poi mio nonno Virginio ha aperto un’osteria ed una bottiglieria a Milano che, con mio padre Edoardo, è diventata un “Antiquario di vini”, un cenacolo per conoscitori. Era un antesignano, e un grande esperto con una clientela esigente, per cui andava in Francia a comprare vini. Sono nata in un convento del Cinquecento a due passi dal Duomo, con una cantina di 45.000 bottiglie collezionate da mio padre. Se n’è andato presto, nel 1966, e io ho dovuto interrompere gli studi di scenografia e dedicarmi al vino, prima la Scuola di enologia applicata in Borgogna, poi prima sommelier donna d’Europa a fine anni Sessanta. Negli anni Ottanta ho creato il mio “Salotto del vino”: per me l’enoteca era un luogo di incontro, in cui la gente doveva venire non solo per comprare, ma per assaggiare, conoscere, rilassarsi”.

Sono nati così i pomeriggi del giovedì, in cui, racconta ancora Maria Luisa Ronchi, “invitavo i miei clienti per assaggiare le nuove proposte enologiche. In tanti ci sono passati, molti politici. Da quando mi chiamò il segretario del PCI Alessandro Natta per allestire lo spazio vini alla Festa nazionale de L’Unità a Milano nel 1986 e vi portai 234 etichette, al sindaco di Milano Paolo Pillitteri e il suo cognato, Bettino Craxi, quando era Presidente del Consiglio, fino a Silvio Berlusconi. Una volta il segretario di Giulio Andreotti mi chiamò in cerca di una bottiglia di Porto da regalargli del 1919, anno della sua nascita. Gliela inviai direttamente a Roma. Non ho mai venduto quello che è di moda, ho creato la moda su certi di vini, perché erano vini che lo meritavano: ho lanciato il vino di Milano, il San Colombano, un vino quotidiano che costava poco più dell’acqua. Ne ho vendute milioni di bottiglie”.

Con passione e una lunga tradizione di collezionismo, la famiglia Ronchi è arrivata a custodire “12.000 bottiglie di vini tra più rari al mondo. Ma una parte le ho vendute, erano troppe per il mio Museo. L’Enoteca Ronchi oggi è in gestione, mentre il Museo sorgerà in via Gian Giacomo Mora al numero 7, in una casa di ringhiera del Settecento, con l’antica cantina con soffitto a nicchia in mattoni. Circondati dalla collezione di bottiglie, sarà aperto ai miei ospiti ed ai soci della mia Associazione per la Conoscenza del Vino. Associarsi è possibile, ma ci sono dei dei criteri selettivi da rispettare”.

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