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Il punto di vista di Caviro: dal mercato interno all’estero, dal calo dei consumi alle nuove tendenze di consumo, dalla sfida della Brexit alla concorrenza spagnola, le strategie del più grande gruppo cooperativo d’Italia, a 50 anni dalla nascita

Italia
Sergio Dagnino, direttore generale Caviro

Con una galassia di 33.000 ettari vitati, divisi tra 12.000 viticoltori associati di 7 regioni diverse, che conferiscono 6 milioni di quintali di uve (il 10% della produzione nazionale), 31 cantine in 8 regioni che conferiscono fra il 17% ed il 60% della loro produzione di vino, per un totale di 2 milioni di ettolitri imbottigliati nel 2015, Caviro (www.caviro.com), primo gruppo vinicolo sul mercato interno, sia in volume che in valore, gode di una posizione privilegiata nell’osservazione del panorama dei consumi. Specie di quelli interni, con una fetta di mercato delle vendite in gdo (dove si acquista l’80% del vino) del 14,5% in volume e dell’8,3% in valore, pari al 72% delle vendite totali del gruppo cooperativo più grande del Belpaese enoico. Che, con un’offerta divisa tra consumo daily (con il Tavernello a farla da padrone, è ancora il vino più venduto, e l’unico a comparire tra le prime referenze in gdo, con il bianco che ha fatturato, nel 2015, 34 milioni di euro, ed il rosso a quota 24 milioni di euro), premium e super premium (con i brand Cantine Leonardo da Vinci, nel Chianti, Cantina di Montalcino, nel territorio del Brunello, e Cesari, in Valpolicella), guarda con spiccato senso critico al futuro.
Perché è vero che il vino in brik vale il 30% delle vendite al supermercato, con una competizione decisamente scarsa (si contano, in totale, 210 referenze), ma i consumi di vino sotto i 3 euro al litro, tra il 2012 ed il 2015, sono calati del 7,7%. Al contrario, cresce l’imbottigliato sopra i 7 euro al litro, del +8,6% nello stesso periodo, pur rappresentando una quota ancora marginale, nella quale la competizione è enorme, basti pensare che in totale, nel formato da 0,75 litri, ci sono 17.946 etichette diverse sugli scaffali della grande distribuzione italiana, che si dividono il 49% del mercato. Come se non bastasse, ad aumentare la complessità, c’è da fare i conti con un calo dei consumi che non accenna a frenarsi (nel 2015 sono scesi, secondo le stime, a 35 litri pro capite). Diventa fondamentale, allora, riuscire ad anticipare o comunque a rispondere in breve tempo al cambio dei gusti dei consumatori, sempre più rivolti verso vini freschi, aromatici, semplici: si spiega così il boom commerciale, tra il 2011 ed il 2015, vissuto da Pignoletto (+53%), Traminer (+50,3%), Negroamaro (l’unico che non segue la tendenza generale, +42,3%) e Grillo (+33,5%).
Ma rispondere alle dinamiche interne non basta neanche ad un big come Caviro che, a 50 anni dalla sua nascita (festeggiata proprio ieri a Faenza, con il concerto gratuito di Elio e le Storie Tese), ha già chiaro l’obiettivo per il 2020: “portare la quota dell’export dall’attuale 28% al 40% - come racconta a WineNews il dg di Caviro, Sergio Dagnino - senza intaccare le quantità vendute sul mercato interno. Anche perché, per noi, a differenza di un qualsiasi gruppo privato, la crescita è l’unica opzione, non possiamo vendere, ma solo crescere per continuare ad esistere per le generazioni future”. Obiettivo ambizioso ma fattibile, per chi è riuscito a passare dai 12,6 milioni di euro di fatturato estero del 2000, quando Germania e Giappone erano le meta privilegiate, con una quota, rispettivamente, del 32% e del 31%, ai 68,5 milioni di euro del 2015, con al top i mercati di Uk (20%), Germania (19%) e Usa (17%). L’estero, del resto, è così, è un mondo complesso pieno di opportunità e di ostacoli, superabili, a patto di conoscerli. I più insidiosi? “La lobby antialcol - spiega ancora Dagnino - che fa pressione sulle istituzioni europee per aumentare le accise; la concorrenza della Spagna, capace, come ha dimostrato nelle filiere dell’olio e della frutta negli anni passati, di sviluppare una potenza di fuoco invidiabile; i continui cambi di gusto dei consumatori; i cambiamenti climatici, che influiscono sulla qualità dell’annata e sulla stessa sopravvivenza di determinate varietà; il calo generalizzato dei consumi, sia a livello interno che globale; gli effetti della Brexit che, per forza di cose porterà ad una ridiscussione degli accordi commerciali in UK; e, tornando al mercato interno, la mancanza di fiducia dei consumatori - conclude Dagnino - in calo in questo inizio di 2016, che si è tradotta in un crollo degli acquisti di vino del -4,1% nel primo trimestre dell’anno”.

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