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Nel 2015 il Pil dell’Italia ha segnato il +0,8%, ma quello dell’agroalimentare il +4,6%: a dirlo il Food Industry Monitor, dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (Unisg) con il supporto di Bsi Europe. Bene il vino

In molti, negli anni più duri della crisi, hanno evidenziato a più ripresa come il settore agroalimentare sia stato più forte di altri, anche in virtù della suo essere in qualche modo anticiclico rispetto all’economia in generale. Dato che si è confermato anche in un 2015 che ha visto gli indicatori dare qualche piccolo segnale di miglioramento della situazione economica: il Pil totale ha segnato +0,8%, quello dell’agroalimentare il +4,6%, e nella creazione di valore aggiunto l’incremento è stato addirittura dell’8%, “grazie alla capacità di sviluppare prodotti unici, spesso caratterizzati da brand forti e distribuiti sui mercati internazionali”. E la redditività commerciale è passata dal 5% del 2012 al 6,8% del 2015. Lo rivela il Food Industry Monitor, l’osservatorio sulle performance delle aziende dell’agroalimentare, realizzato dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (Unisg) con il supporto di Bsi Europe (http://goo.gl/f9LUdU).
La ricerca ha analizzato i risultati di 807 aziende, il 70% di società di capitali del settore, per un totale di 54,8 miliardi di euro di ricavi aggregati, nel periodo 2009-2015. Sono stati selezionati 13 comparti rappresentativi: acqua, caffè, conserve, distillati, dolci, farine, macchine per la produzione di alimenti, latte e derivati, olio, packaging, pasta, salumeria e vino. Vino che, sottolinea la ricerca, nel 2015 ha visto crescere crescere il suo fatturato, arrivato a quota 14 milioni di euro, e l’export, al record di 5,4 miliardi di euro, ma non può non guardare con attenzione ad un rallentamento della crescita dei ricavi, seppur accompagnata da un aumento della redditività dei prodotti venduti.
Sul fronte vino, spiega la ricerca, l’analisi dei ricavi aggregati del campione evidenzia, nel 2014, una significativa contrazione della crescita e una possibile inversione del trend positivo che perdurava, seppur con alcune oscillazioni, dal 2009. La crescita, in valore assoluto, nel 2013 sul 2012, era stata di oltre 330 milioni di euro (+8%), mentre nel 2014 il risultato è stato di appena +40 milioni di euro (+1,3%). Un risultato, secondo lo studio, per il quale è stata determinante la ulteriore contrazione dei consumi interni (dai 24,1 milioni di ettolitri del 2009 ai 20,4 del 2014) e dalla contrazione dei prezzi alla distribuzione, che hanno interessato i vini di media e bassa qualità e hanno colpito principalmente le cooperative e i trader (imbottigliatori) non particolarmente attivi sui mercati esteri. Dai numeri, inoltre, emerge che sul fronte dei ricavi, cresciuti nel complesso del 5,4% tra il 2009 ed il 2014 (per 4,6 miliardi di euro), quelli che sono cresciuti di più sono stati gli imbottigliatori, che hanno visto una crescita del 7% (per 1,2 miliardi di euro), seguiti dalle cooperative (+5,1%, a 1,4 miliardi di euro), e poi dai produttori “tout court” (4,6%, per 2,02 miliardi di euro).
Diverso il discorso sulla redditività delle vendite (Ros), che nel 2014 sul 2013 ha segnato il +5,5% nel complesso, la crescita maggiore del periodo in esame, grazie alle “performance di alcuni produttori di media e alta gamma che sono riusciti a puntare su prezzi superiori, specialmente nei mercati internazionali, mantenendo invariata la struttura dei costi”. A vantaggio soprattutto dei produttori (+6,5%), che hanno fatto meglio di imbottigliatori (+3,6%) e cooperative (+2,3%). E stessa dinamica ha seguito la redditività sul capitale investito (Roic), a +5,6% nel 2014 sul 2013. Dati che dicono che “i produttori, soprattutto quelli integrati, hanno subito una contrazione della crescita, ma sono riusciti a preservare la qualità dell’offerta e la marginalità”. E tra le buone notizie che emergono dalla ricerca, analizzando la struttura dell’attivo degli operatori, c’è anche una crescita importante della liquidità (dal 3,4% del 2009 al 6,3% del 2014), a fronte di una sostanziale stabilità delle rimanenze (dal 22,4% del 2009 al 23,5% del 2014), e ad una diminuzioni dei crediti verso i clienti (dal 26,5% del 2009 al 23,3% del 2014), che può significare “che si è venduto a clienti più liquidi che pagano prima e meglio, con una conseguente riduzione della tensione finanziaria”.

Ma, nel complesso, si è registrata anche una diminuzione della attività fisse (dal 47% del 2009 al 45,6% del 2014), “in primo luogo per la diminuzione degli investimenti intangibili, tipicamente legati al marketing. Un segnale non positivo dal momento che di solito esiste una discreta correlazione tra questi investimenti e la crescita”.

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