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Gli effetti della “Brexit”, tutti da calcolare, colpiranno anche il vino (che ha votato “Remain”), ed a pagarne le conseguenze peggiori potrebbe essere la Francia: fine wines nel mirino, a partire da quelli di Bordeaux, già in crisi sul mercato Uk

Passato qualche giorno, la dimensione del caos in cui rischia di precipitare la Gran Bretagna da qui ai prossimi mesi si fa sempre più chiaro, tanto che tra gli inglesi il sentimento che serpeggia sembra essere il pentimento, anche se la Ue non ha alcuna intenzione di regalare a Londra una seconda chance. “Non sarà un divorzio consensuale”, ha tuonato il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker il giorno dopo il successo della Brexit, e a pagare pegno saranno un po’ tutti. A partire proprio dal mondo del vino, in qualche modo didascalico di come muteranno i rapporti tra Uk e Vecchia Europa, e poco importa se i soci della Wine & Spirit Trade Association hanno votato praticamente tutti per il “Bremain”, nella consapevolezza, come ha spiegato il ceo Miles Beale a “The Drinks Business” (www.thedrinksbusiness.com), che “l’industria del vino sarebbe stata più forte rimanendo nell’Unione Europea”.

Se dall’Italia, come abbiamo raccontato su Winenews il giorno successivo al voto (http://goo.gl/sejzW4), la preoccupazione è soprattutto per la svalutazione della sterlina e l’aumento dei prezzi, ma senza panico, sono i francesi, probabilmente, ad avere più timori. Come ricorda il portale francese “Vitisphere” (www.vitisphere.com), infatti, la Gran Bretagna è di gran lunga il primo mercato per l’export francese, con 524 milioni di sterline di imbottigliato e 341 milioni di sterline di sparkling nel 2015. Numeri che rischiano di crollare sotto la scure di un potere d’acquisto che potrebbe venire eroso, nei prossimi anni, dall’aumento dei prezzi delle materie prime, dall’aumento dei prezzi e dalle politiche del Governo Uk che, in cerca di liquidità, potrebbe tassare proprio vino ed altri alcolici. Urge un ripensamento profondo delle politiche commerciali verso Londra, nella consapevolezza, però, di non brillare nel segmento degli entry level, oppure guardare ad altri mercati, ed ammortizzare così le perdite, date quasi per scontate.

Specie, appunto, sul segmento dei fine wines, con Bordeaux che, così, rischia il colpo di grazia. Se Champagne e Borgogna, infatti, hanno continuato a crescere anche nel 2015 (rispettivamente del +7,7% e del +3,2% in valore), Bordeaux ha fatto segnare appena un +1,2%, con un crollo delle quantità che sembra non conoscere fine (-7%), e le politiche di prezzo della campagna en primeur, con un aumento medio dei prezzi del 10%, non hanno certo fatto la gioia dei wine merchant britannici. Se ad una situazione di per sé tanto fragile si sommano i già citati effetti della Brexit, ecco che il quadro è completo, e non c’è niente di buono in vista. Nel dubbio e nell’incertezza, di sicuro c’è che, come ha spiegato il cofondatore del “Liv-ex” (il benchmark del vino globale), Justin Gibbs, al magazine britannico “Decanter” (www.decanter.com), “i compratori di Usa ed Hong Kong, con il dollaro forte, hanno la possibilità di chiudere ottimi affari con i mercanti britannici, e le cose si stanno già muovendo”.

Insomma, “il vino non si salverà dalle dinamiche che colpiranno qualsiasi altro settore in cui le importazioni la fanno da padrone”, come ha commentato il boss di Majestic, Rowan Gormley. Ma il mondo del vino farà di tutto, come aggiunge il ceo della Wine & Spirit Trade Association Miles Beale, per “lavorare insieme al Governo ed assisterlo con l’obiettivo di preservare l’accessibilità ai singoli mercati, sia per i nostri prodotti che quelli che importiamo”. Rispetto, per la decisione presa dai cittadini inglesi arriva da Diageo, la multinazionale americana che controlla diversi marchi di whiskey e gin britannici, pur ricordando l’importanza dell’accessibilità al grande mercato Ue. C’è poi un’altra implicazione, per gli Usa, perché la Gran Bretagna è anche il primo importatore europeo di vino made in Usa, che vale quasi 100 milioni di sterline (pari a 132 milioni di dollari, su un totale di 622 milioni di dollari di vino Usa che, ogni anno, prende la via del Vecchio Continente). Effetti minori, ma che rischiano di allontanare ancora di più la Gran Bretagna dalle dinamiche enoiche mondiali.

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