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A due anni dall’annessione della Crimea da parte della Russia Massandra, storica cantina della regione, riprende a esportare - nello specifico, in Bielorussia. Ancora off-limits causa sanzioni i tradizionali mercati (Usa, UK, Europa)

Italia
La cantina Massandra in Crimea

Sono passati due anni da quando la Crimea, dopo un referendum quantomeno dubbio e una repentina azione manu militari da parte della Russia - a cui ha fatto seguito la prevedibile installazione di di un governo filorusso indipendente dall’Ucraina - è di fatto divenuta uno dei distretti federali del paese asiatico. E anche se non è cosa poi così nota, la “perla del Mar Nero”, oltre a un valore geostrategico indiscusso, ha un curriculum storico di tutto rispetto in termini di produzione vinicola. Linea di confine tra Europa dell’est e Asia profonda, non è solo terra di gasdotti e basi navali - come Sebastopoli - ma anche di rispettabilissime aziende enoiche, e conosce storicamente la coltivazione della vite fin dall’undicesimo secolo - con l’industria vitivinicola che al 2013 occupava circa il 10% della forza lavoro totale della regione.

E forse nessun’altra cantina può esemplificare la produzione della Crimea come Massandra, la cui istituzione fu voluta dallo zar Nicola II per fornire un suo vicino palazzo: fu costruita alla fine dell’Ottocento, e oggi si specializza nella produzione di vini da tavola, dolci e liquorosi - e infatti vi si trovano, tra gli altri, Moscato Bianco, Rosa e Nero, Tokaji, Madera, Lacryma Christi, Xérès, Malaga, Sherry e Marsala, oltre a un corposo numero di vitigni autoctoni, per una produzione annuale che si misura oggi in circa dieci milioni di bottiglie. L’azienda fu coinvolta nelle polemiche “eno-diplomatiche” conseguenti alla visita dell’ex Premier Berlusconi e di Vladimir Putin nel settembre 2015, con la Direttrice (filorussa) della cantina formalmente accusata dai procuratori ucraini di appropriazione indebita e peculato per il suo aver stappato, in onore dei due ospiti, una bottiglia di Jerez de la Frontera 1775 dal valore compreso tra i 100 e i 150.000 dollari. E, purtroppo, non sarebbe l’unica bottiglia resa unica dal tempo che, in un modo o nell’altro, è sparita nel nulla dopo l’annessione, decimando le collezioni storiche dello zar Nicola II e del “padre nobile” dell’enologia della regione, il Principe Galitsyn. Da allora, però, complici le sanzioni incrociate di Russia e UE alle rispettive esportazioni di vino e mosti, Massandra non è più salita agli onori delle cronache.

Fino ad oggi, dato che l’azienda avrebbe ripreso le sue esportazioni, con il primo lotto di 15.600 bottiglie che ha lasciato i confini della penisola per finire in Bielorussia - dando così corpo a chi prevedeva una svolta “eno-autarchica” del regime russo, visto l’ascendente storico di Mosca sui suoi fu stati satelliti e sudditi. Inoltre, Massandra intenderebbe allargare il raggio delle proprie esportazioni al sud-est asiatico, e alle repubbliche secessioniste separatiste di Donetsk e Lugansk. Un deciso cambio di prospettiva, per usare un eufemismo, rispetto ai mercati “coperti” dalle esportazioni della cantina di Yalta prima dell’annessione e delle conseguenti sanzioni - quando Massandra dedicava il 55% del proprio output produttivo a Usa, Regno Unito, Polonia, Europa e Russia.

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