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Il fenomeno Prosecco, secondo il wine consultant Mike Paul: “è il più grande fenomeno del decennio, ma la fama del brand, che supera persino quella della sua Regione di produzione, ha ormai offuscato qualsiasi marchio aziendale”

Quella del Prosecco è, senza dubbio, una delle più grandi storie di successo del decennio, al punto che la popolarità della denominazione, almeno all’estero, è persino superiore a quella della Regione da cui arriva, e la forza del brand Prosecco è ormai capace di offuscare qualsiasi brand aziendale. A dirlo, dall’“International Cool Climate Wine Symposium” (www.iccws2016.com), il simposio sui vini da climi freddi, di scena a Brighton, in Inghilterra, è Mike Paul, consulente aziendale per il mercato britannico dei più grandi brand del vino, da Penfolds a Romanée-Conti, e oggi firma del magazine “Harpers”. “Quando si guarda al marchio Prosecco - spiega Mike Paul - basta chiedere a 100 consumatori di dire il nome del proprio vino preferito per rendersi conto che in tantissimi citerebbero proprio le bollicine venete. Ma provate a chiedere il nome di un marchio del Prosecco, saranno ben pochi a saper rispondere”.

Un brand territoriale, da un certo punto di vista, eccessivamente forte, di cui, secondo Paul, si rischia di perdere il controllo, come suggerisce l’ampliamento delle superfici vitate di altri 3.000 ettari deciso dal Consorzio del Prosecco Doc. Inoltre, “il Prosecco è più uno stile di vino che piace alla gente che un vino di una regione produttiva tipica, il che vuol dire che può facilmente essere copiato da altre regioni, in Italia come all’estero”. Dinamiche che fanno del Prosecco “un bene di grande successo, ma ad un prezzo ben definito: provare a vendere un Prosecco al doppio del prezzo medio diventa difficilissimo. E questo perché non esiste una gerarchia di marchi conosciuti dai consumatori, come succede invece nello Champagne, che segnano un confine ed una differenza con il resto della produzione”.

Se lo Champagne è l’esempio da seguire, il “pericolo” è quello di fare la fine del Malbec di Mendoza o della Rioja, dove, spiega ancora Mike Paul, “il successo dei brand regionali ha portato a dinamiche non certo edificanti, con produttori pigri e poco motivati, che si nascondono dietro alla forza del brand territoriale invece che lavorare per far emergere il proprio”.
La situazione ideale, insomma, “è quella in cui una forte identità regionale crea un “effetto alone” nel quale sommuovono produttori abbastanza forti da emergere come marchi - conclude Paul - in una visione a lungo termine concordata con il territorio”.

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