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La (non scontata) via per l’Eldorado statunitense: un vademecum in dieci punti per approcciare al meglio il mercato principe del vino mondiale firmato Steve Raye, Presidente e fondatore della società di consulenza enoica Bevology

Nonostante i volumi e le cifre in ballo quando si parla di Stati Uniti facciano comprensibilmente girare la testa a parecchi produttori in giro per il mondo, il sistema statunitense presenta complessità e peculiarità che vanno ben oltre la struttura federale, e la sete di vino straniero dei cittadini americani non è affatto condizione sufficiente a garantire il successo. Per questo motivo, conoscere il microcosmo al quale ci si approccia è fondamentale per massimizzare il rapporto costi/benefici - e avere una guida, in questo senso, può fare la differenza. Come quella che Steve Raye, esperto di lungo corso di marketing applicato al vino e fondatore della società di consulenza Bevology (con il quale WineNews ha avuto un colloquio sul tema durante l’edizione 2015 di Vinitaly, http://goo.gl/WjX76T) ha compilato per “Meiningen’s Wine Business International” (www.meiningen.de).
Prima di tutto, scrive Raye nel suo decalogo, il sistema a tre livelli tipico del mercato a stelle e strisce “può sembrare bizantino nella sua complessità”, e quindi investire in una guida che possa puntare un produttore nella giusta direzione - e che abbia esperienza nell'introdurre brand nuovi sul mercato - è la prima cosa da fare. La seconda è non fare il passo più lungo della gamba: almeno nel breve periodo, anche aziende di dimensioni importanti dovrebbero focalizzarsi più sul solidificare una “testa di ponte” piuttosto che cercare di essere presenti a ogni costo a livello nazionale. E la chiave per farlo, prosegue Raye, è trovare una formula che funzioni su alcune aree, e che sia replicabile su scala più vasta, tenendo sempre a mente che negli Stati Uniti le autorità regolatrici con cui fare i conti sono ben 52. Il terzo punto del vademecum è poi dedicato alle immancabili resistenze e obiezioni da parte degli importatori e dei distributori locali, che bisogna saper anticipare avendo delle risposte pronte, con una case history a supporto e con una narrazione dei motivi del proprio successo.
Trovare un importatore, poi, non è necessariamente il primo passo da fare - o meglio, quello che serve è secondo Raye un “service importer”, qualcuno che in linea di principio dirà di si a qualsiasi brand, in modo da costruire quella case history che poi potrà essere presentata ad altri soggetti. I quali, prosegue il decalogo, comunque non costruiranno il brand di un produttore per lui, e quindi l’onere di condurre la distribuzione, generando interesse e domanda, sta al fornitore. I pubblici con cui si ha a che fare sono due, e ben distinti: i soggetti commerciali, ai quali il brand deve portare soldi, margini e quote di mercato, e i consumatori, che cercano fascino e una storia autentica, che possano voler condividere con i loro pari (magari proprio con una bottiglia dell’azienda in questione davanti). Settimo punto, non avere fretta: lanciare un brand mentre è ancora un “lavoro in corso” è un errore fatale, perché elementi come bottiglie, prodotto, etichette, marketing, brand ambassadors e stock nei magazzini devono essere tutti completi e disponibili sul terreno. Muoversi troppo presto vuol dire potenzialmente perdere un punto di introduzione al mercato fondamentale. Ottavo punto, e molto importante a detta di Raye, mai pensare che la crescita sul mercato statunitense si possa finanziare con profitti generati in loco: un investimento è essenziale prima di poter contare sui volumi o sulla redditività, perché questi verranno solo a valle della creazione di una credibilità del brand e della sua “trazione” sul mercato. Mercato che, sottolinea il nono punto del decalogo, ha una sua forte unicità, che non deve essere mai ignorata o presa sottogamba, sia dal punto di vista normativo - statale o federale che sia - che da quello dei numeri veri e propri. In ultimo, nessun brand può fare a meno di forze sul campo - “boots on the ground”, se si vuole; che si chiamino brand ambassador, marketing manager o rappresentanti, un produttore non può fare a meno di avere effettivi pronti a battere il territorio ventre a terra per assicurarsi che il prodotto finisca nella distribuzione, sia on- che off-premise. In ultima analisi, conclude Raye, anche se la strada può sembrare lunga e intricata, i veri “comandamenti” da seguire sono tre: compiere una fase di ricerca e pianificazione accurata, capire il mercato, e costruire un’immagine e una storia forti per il proprio brand.

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