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Il vigneto storico crea biodiversità: nel Soave, il progetto “Viticoltura e Biodiversità” del Consorzio, con World Biodiversity Association ha mostrato ottimi risultati per indici di aria, acqua e suolo, testati con protocollo biodiversity friend

La vite coltivata praticamente in monocoltura da decenni e decenni compromette la “salute” dell’agroecosistema? Per dare risposta a questa domanda, nell’area di produzione del Soave, il Consorzio di tutela (www.ilsoave.com) ha avviato nel 2014 il progetto “Viticoltura e Biodiversità”, in sinergia con Wba - World Biodiversity Association onlus (www.biodiversityassociation.com), oggi la più titolata al mondo per il monitoraggio ambientale sul fronte della biodiversità. “La denominazione Soave - spiega Aldo Lorenzoni, direttore del Consorzio - conta su 7.000 ettari di vigneto su una superficie totale di 12.000. Pochi altri territori hanno realtà di questo tipo, con una presenza del vigneto così importante. In queste condizioni, ci siamo chiesti: il vigneto può essere un “luogo di vitalità”, dove la biodiversità è tutelata? In particolare l’indagine si è concentrata nell’area “classica” dove sono certificati 1.500 ettari su 1.700 complessivi”.
Oggi agricoltura e viticoltura non possono che essere sostenibili a 360 gradi, garantendo al contempo livelli accettabili di reddito aziendale e mantenimento della qualità ambientale dell’agro-ecosistema. A chiederlo sono anche i consumatori sempre più sensibili alla tutela del territorio e bendisposti verso quei vini prodotti secondo pratiche colturali a basso impatto ambientale, a tutela della integrità dell’ambiente e della biodiversità.
Le indagini nel territorio del Soave Classico sono state effettuate nel 2014 e nel 2015, in 10 aziende campione, e hanno valutato la qualità ambientale dei vigneti attraverso gli indici di biodiversità di aria, acqua e suolo del protocollo “Biodiversity Friend” messo a punto da Wba nel 2010. Oltre alla qualità ambientale, sono stati valutati anche i metodi di difesa dalle avversità e di ripristino della fertilità del suolo, la gestione delle risorse idriche, la presenza di siepi e boschi, la conservazione della biodiversità agraria, l’uso di energie rinnovabili e le particolarità naturalistiche dell’area utilizzando gli ortotteri come bioindicatori (cioè degli insetti molto sensibili alle variazioni dell’ecosistema).
Nei mesi scorsi si è conclusa la prima fase delle studio e i risultati, pur con qualche criticità, risultano positivi. Lo stato di conservazione dei suoli ha raggiunto un livello complessivamente soddisfacente, riconducibile, nei casi dei valori più elevati ottenuti dall’indagine, alle condizioni riscontrabili in aree non coltivate caratterizzate da un buon livello di conservazione e naturalità.
Anche i risultati sulle acque superficiali dell’area hanno evidenziato uno stato delle comunità acquatiche generalmente buono e non mostrano alterazioni significative della qualità a causa delle attività agricole.
Nella valutazione della qualità dell’aria, le indagini hanno messo in evidenza che le comunità di licheni (utilizzati come biondicatori e bioaccumulatori per questo parametro) su gran parte del territorio monitorato presentano un grado di naturalità da elevato a modestamente alterato.

In considerazione della crescente attenzione dei viticoltori verso tutte quelle condizioni che accrescono il livello di naturalità e sostenibilità dell’azienda viticola, emerge che buona parte delle aziende che fanno parte del Consorzio del Soave sono già in grado di raggiungere i parametri minimi richiesti (60/100) per la certificazione Biodiversity Friend.
“La certificazione di singole aziende - conclude Lorenzoni - è un obiettivo praticabile già nell’immediato. La situazione nelle aree collinari impervie della denominazione è, infatti, presumibilmente migliore. L’ipotesi di una eventuale certificazione dell’intera denominazione, che stiamo valutando, merita un ulteriore approfondimento basato su un numero maggiore di aziende e su indagini documentali più dettagliate”.

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