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Salone del Gusto: la verticale di Sassicaia organizzata divide Slow Food. Tra chi attacca definendolo un “Parkerized super-tuscan wine” e chi per il prezzo troppo alto. Uno scontro tutto ideologico, ma il re di Bolgheri merita tutt’altro rispetto

Italia
Il mitico Sassicaia 1985

Lo diciamo da sempre, la contrapposizione ideologica, nel mondo del vino, non porta alcun giovamento. Anzi, spesso e volentieri crea delle vere e proprie storture, difficile da digerire e persino da comprendere. L’ultima, è la polemica piombata su Slow Food, attaccata da più parti per aver organizzato un laboratorio, nel Salone del Gusto di Torino (22-26 settembre), dedicato ad uno dei vini più rappresentativi del Belpaese enoico, il Sassicaia. Simbolo di un intero territorio, quello di Bolgheri, ormai tra i più conosciuti al mondo, ha, per i suoi detrattori, un enorme difetto: quello di piacere a Robert Parker, il re dei critici, inviso a molti. Mike Tommasi, francese, per anni fiduciario di Slow Food, molto attivo a Marsiglia, l’ha infatti definito “Parkerized super-tuscan wine”.

Una definizione limitante, svilente e figlia evidentemente di una scarsa conoscenza del Sassicaia. Nato da un’intuizione dei Marchesi Mario e Niccolò Incisa della Rocchetta, è grazie a Giacomo Tachis, uno dei più grandi enologi della storia enoica d’Italia, che ha visto la luce, portando all’attenzione del mondo un intero pezzo di costa toscana, quella Bolgheri oggi meta di investimenti e turismo, e fino a 30 anni fa praticamente inesistente sulle mappe del vino mondiale. Difficile capire come la celebrazione di un vino, amato praticamente da qualsiasi wine lover al mondo, possa tradursi in un attacco frontale del genere. Segno che, a Tenuta San Guido, con ogni probabilità, qualcuno non è neanche mai stato, perché il Sassicaia non è nato certo per conquistare Robert Parker, ma per dare il meglio di un territorio, riuscendoci. E non finisce qui, perché, come scrive la stessa Slow Food, ci si è messo il portavoce della condotta di Bruxelles, Patrick Böttcher, dal suo blog (http://goo.gl/5Vmu7V) a rincarare la dose, definendo la degustazione addirittura “un’onta”, raccontando Tenuta San Guido come un big della produzione italiana, una sorta di grande industria del vino e puntando il dito proprio sui capisaldi del Sassicaia: il Cabernet Sauvignon, definito “l’unico vitigno non mediterranea al mondo”, e l’utilizzo della barrique, che “il vostro Paese (l’Italia, ndr) 100 anni fa non sapeva neanche usare”. Per non parlare della più pretestuosa delle critiche, quella che riguarda il costo della degustazione: 70 euro. Troppo? Dipende dai punti di vista. Considerato che ci saranno 6 annate in degustazione (1989, 1993, 1999, 2007, 2011 e 2013) e che i prezzi, in enoteca, partono da 120 euro a bottiglia, no, non è troppo, è il giusto prezzo. Del resto se Slow Food avesse organizzato una verticale di Château Margaux qualcuno avrebbe mai pensato di dire cose del genere? Immaginiamo di no. Ecco, per noi, il Sassicaia è allo stesso livello, ci rappresenta nel mondo, e che piaccia a Robert Parker non può essere certo considerato un limite.

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