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Il protocollo 2010 sulle zone produttive del Prosecco, prossimo alla scadenza, non ha funzionato proprio per il paese di Prosecco. I produttori del Carso e la Regione Friuli chiedono un lifting all’accordo, ma il Ministro Martina è cauto sul da farsi

All’inizio fu “il protocollo del 2010”. Il documento sul riconoscimento della tutela delle zone produttive del Prosecco venne firmato l’8 aprile 2010 a Verona (a Vinitaly) dall’allora Ministro per le Politiche Agricole Ministro Luca Zaia, Coldiretti Friuli, Confagricoltura e sottoscritto dalla Regione Friuli Venezia Giulia. Allora i produttori triestini si erano presentati come associati al neo Consorzio di Tutela dei Vini del Collio e del Carso.
Il documento includeva diversi progetti per il territorio di Trieste, ma, e questa è storia di oggi, secondo i vignaioli carsici (perché il Prosecco triestino, ovvero carsolino, agglomerato nella mega area del Prosecco doc arriva, appunto, alla provincia di Trieste), il vantaggio è andato tutto ai grandi produttori del Veneto, e di riflesso soltanto qualcosa a quelli del Friuli, dove i viticoltori hanno 3.500 ettari a disposizione contro i non si sa quanti dei 15 Comuni del Consorzio nel Veneto (20.000 fissati nel Disciplinare della Regione Veneto o 18.000 misurati nel 2015, o 28.000 destinati alla produzione di Prosecco come sostenuto quest’anno, mirando a 60.000 ettari per soddisfare entro il 2030 la domanda di Prosecco nel mondo di un miliardo di bottiglie?). Ma al di là delle dispute sui numeri, pure importanti, il famigerato protocollo del 2010 avrebbe, secondo i produttori del Carso e la regione Friuli Venezia Giulia, bisogno di un energico lifting.
La prima cosa che è venuta in mente ai produttori del Carso è una royalty per utilizzare il nome del borgo carsico di Prosecco, visto lo scarso successo per i viticoltori triestini del protocollo del 2010. Un’ipotesi che, però, non convince il ministro Maurizio Martina, che ha dichiarato: “è legittimo che qualcuno voglia chiedere royalties, non deve chiederle a me, ma a chi detiene in particolare quella Doc. Io metto a disposizione strumenti praticabili che riguardano le mie responsabilità e le mie competenze. Dobbiamo lavorare a un progetto avanzato per la viticoltura di questi territori e per massimizzare il più possibile la forza che questa viticoltura esprime. Ci sono delle occasioni. Invito a concentrare tutti i nostri sforzi sulle leve possibili, sapendo che queste straordinarie esperienze riusciranno a essere più forti se uniranno le forze, non se si dividono. Non perdiamo tempo a guardare cosa è accaduto anni addietro - ha sottolineato il ministro - ma sviluppiamo nuovi strumenti soprattutto per il futuro”.
Ma gli strumenti che ha in mente Martina quali sono? “Propongo un piano di lavoro in alcuni punti stringenti, con obiettivi seri e più precisi. Non discuto - ha proseguito il Ministro - il perché fu fatto quel protocollo, ma dico soltanto che nel 2016 ci sono nuovi strumenti di finanziamento per aree preziose come il Carso, e non serve una “fotocopia” di quello che è stato”.
Il Ministro ha, in particolare, indicato la via dei fondi comunitari per l’Ocm internazionale, per una sperimentazione tra Friuli Venezia Giulia e Slovenia, e interregionale, tra Friuli e Veneto “con budget disponibili - ha ricordato Martina - che andranno ad aggiungersi alle quote regionali già disponibili. Il contesto del Carso è l’ideale per sfruttare questi fondi”.
La Regione Friuli Venezia Giulia, dal canto suo, propone la valorizzazione della Doc interregionale Prosecco, ma anche del suo territorio storico di provenienza attraverso una serie di azioni tra le quali proprio la realizzazione di un progetto di sviluppo specifico del Carso.
Intanto, i produttori vinicoli del Carso chiedono anche la rimozione dei vincoli sul Costone carsico (lo sblocco di impianto per almeno 50 ettari), interessato per l’80% da vincoli legati alle aree Sic e Natura 2000 (le prime siti di interesse comunitario e le seconde strumento di politica dell’Ue per la conservazione delle biodiversità), per le quali Martina ha indicato la possibilità di attingere progetti e fondi nel Programma operativo nazionale (Pon) della Commissione Europea, e la riconversione delle aree demaniali dismesse dall’Esercito, per destinarle all’attività agricola. Questi punti, per Martina, rientrano nella strategia ministeriale che ha già portato alla riapertura del dossier sulla Doc transfrontaliera italo-slovena del vino Terrano e la chiusura del dossier relativo alla Doc Friuli Venezia Giulia.
Speriamo che queste nuove intenzioni non restino tali come quelle contenute nel protocollo del 2010, che sembrava già tutto su carta, dagli stanziamenti ai masterplan. Una carta che, però, è rimasta in giacenza nei meandri della burocrazia di Trieste e di Roma e ora sta per scadere.

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