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Dall’antica Grecia a oggi, riflessioni sul vino, sul consumo moderato, capace di rigenerare corpo e mente, o eccessivo che, semplicemente, fa male. Tema attualissimo, ma dibattuto fin dall’antichità, analizzato dal medico e filosofo Giorgio Cosmacini

Italia
Il vino nell’Antica Grecia

Partiamo dalla morale: spesso ciò di cui si parla può sembrare di stretta attualità, ma, in realtà, specie per una bevanda dalla storia secolare com’è il vino, è argomento dibattuto da secoli. Il vino è una bevanda complessa, complesso è il suo consumo, e complesso è imparare a conoscerla. Ecco perché, per gli esperti ma anche per chi ancora non lo è, conoscere episodi e “parabole” legate alla sua storia, e tramandati nei secoli allo scopo di trarne un insegnamento morale, oltre ad incuriosire ed affascinare, può essere più efficace e chiarificante di qualsiasi altra cosa. Anche a proposito del suo consumo moderato. “Balnea vina Venus corrumpunt corpora nostra, sed vitam faciunt balnea vina Venus” è una famosa iscrizione tombale di un certo Tito Claudio Secondo, liberto dell’Imperatore Claudio, risalente al 50 d.C., diventata un motto tra gli antichi romani, che dice a chiare lettere e semplicemente che se da un lato bagni, vino e amore corrompono i nostri corpi, dall’altro sono la nostra vita, come ha ricordato Giorgio Cosmacini, medico, filosofo e saggista dell’Università Vita-Salute del San Raffaele di Milano, tra gli esperti a convegno su “Vino: raccontare la sua storia tra cultura, religione, medicina e musica”, il 20 aprile a Milano, con il Centro Studi Comunicazione sul Farmaco dell’Università degli Studi di Milano. “Una considerazione - ha detto il filosofo - per riflettere sull’ambiguità del vino, che a seconda della quantità e del modo di consumo, come ogni farmaco (dal greco pharmakon, che vuol dire medicinale, ma anche veleno), può essere benefico oppure no”.
Nella sua storia, il vino, oltre che bevanda, ha ricordato Cosmacini, “è stato considerato come liquido rosso che il Cristianesimo ha transustanziato nel sangue di Cristo, ma anche un medicinale, veicolo dell’eccipiente di altre sostanze usate a scopo farmacologico, per potenziarne l’efficacia. Pensiamo al “vino cordiale”, tra i tanti, indicato per le affezioni cardiache, da cui derivano i cordiali, o certi vini aromatizzati, come il Barolo chinato. Oggi sappiamo che il vino, rosso in particolare, contiene sostanze benefiche, antiossidanti, che aiutano ad abbassare il colesterolo, a prevenire l’arteriosclerosi, che hanno una portata medica certamente importante. Ma sappiamo anche che un bicchiere fa bene, due sono già al limite, tre sono troppo. Conosciamo cioè i rischi del suo abuso, e del raggiungimento, specie tra le giovani generazioni, di quella che un tempo i greci chiamavano estasi, una fittizia condizione somatopsichica nella quale si elabora un senso di indipendenza, di superpotenza, di negazione del sé, di evasione dalla vita, e che talvolta porta ad un danno irreparabile e qualche volta ad una vita perduta”.
“Non è eccesso bere tanto che si possa giungere a casa senza l’aiuto del servo”, è un frammento di Senofane di Colofone, in cui il filosofo greco indica il bere con moderazione, senza esagerare, per non perdere l’autocontrollo.
Gli antichi greci, ha ricordato Giampiera Arrigoni, professore di Religioni del Mondo Classico dell’Università di Milano, conoscevano molto bene il vino: “come Omero, che ne indica anche le località di provenienza, racconta la vendemmia, spiega che i greci lo bevevano “tagliato” con l’acqua, mentre i barbari puro. Nell’Odissea sono gli esseri selvatici a berne troppo, come Polifemo, che fu accecato da Ulisse dopo averlo fatto ubriacare di vino. Ma c’è anche la maga Circe che per far dimenticare la patria ad Ulisse e compagni e trasformarli in porci, “formaggio e farina e giallognolo miele mescolò con vino di Pramno; e nell’impasto aggiunse veleni funesti”. Elena, invece, per lenire il dolore dell’esercito greco tornato in patria, dopo la presa di Troia, ma preso da sconforto e tristezza per l’assenza di Ulisse, del quale non si hanno notizie, mette di nascosto nel vino il nepente, un farmaco che ha le stesse proprietà di un sostenitore psichico”, e che è presente proprio in quell’unico passo dell’Odissea.
Nel dibattito attorno alle origini di Dioniso, di certo c’è che i Greci lo consideravano colui che, attraverso gli effetti del vino, la bevanda che aveva donato agli uomini, faceva dimenticare gli affanni, creava gioia nei banchetti, induceva al canto, all’amore, ma anche, se consumato in eccesso, portava alla follia e alla violenza.

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