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“Buy Wine” - Il vino italiano visto dai buyer: dalle grandi promesse non mantenute, come Russia, Brasile e Cina, alle certezze come Usa e Canada, fino ai mercati nuovi come Albania, Messico e Turchia, voci dal mondo raccontano il vino del Belpaese

Italia
Il vino italiano nel mondo secondo i buyer di mercati storici e nuovi

Un interesse crescente in Cina per il vino italiano, in un mercato che però è sempre più competitivo e dove il Belpaese, oltre che alla Francia, sente forte la concorrenza di Spagna e, soprattutto, di Cile e Australia, anche grazie ad accordi commerciali specifici tra il “Celeste Impero” e questi due Paesi, un Brasile in frenata, tra un economia con qualche difficoltà e tasse altissime sulle importazioni, peraltro sempre più polarizzate tra alto di gamma ed entry level, le certezze che arrivano da mercati come America e Canada, in crescita grazie ai grandi classici ma anche alla ricerca di novità e curiosità enoiche, di cui l’Italia è ricca, e nuove frontiere vicine e lontane, dall’Albania al Messico, passando per la Turchia, per esempio, dove oltre ai grandi appassionati di vini di alto lignaggio, si sta sviluppando un mercato potenzialmente importante anche nella fascia media. Ecco i sentiment dei buyer del mondo sul vino del Belpaese, incontrati a “Buy Wine” a Firenze (12-13 febbraio), promosso da Toscana Promozione, che ha fatto incontrare oltre 150 produttori di tutta la Regione con oltre 250 buyer da tutto il mondo.
Partiamo dai Brics, ed in particolare Russia, Brasile e Cina, grandi promesse per i nostri produttori che, fino ad oggi, per molti motivi diversi, non sono state mantenute. La Russia per i noti problemi economici e, soprattutto politici, di cui, a Firenze, fa notizia soprattutto la totale assenza. Tanti invece i buyer dall’Asia ed in particolare dalla Cina, come Zhou Junjie del colosso
www.yesmywines.com, uno dei player più importanti del vino del grande Paese orientale, soprattutto sull’e-commerce, con una community di 9 milioni di iscritti, ma che punta ad aprire anche tra i 300 ed i 500 negozi fisici in tutta la Cina nei prossimi 3 anni: “il mercato cinese ora è molto difficile - spiega a WineNews - perchè tutti ci vogliono entrare. Voi italiani, per esempio, avete come competitors soprattutto i francesi e gli spagnoli, i vostri vicini. I cinesi sanno poco di vino, il vino in Cina non è una cosa essenziale, non bisogna berlo ogni giorno. Per crescere dovete imparare a conoscere meglio i cinesi e i loro gusti, dovete capire quali sono i vini che in Cina si potrebbero vendere bene. E anche sul fronte delle etichette dovete impegnarvi molto, dovete imparare dal Cile, per esempio, che ha fatto veramente un buon lavoro sulle etichette e sull’estetica delle bottiglie. L’immagine è molto importante per fare subito presa sul consumatore. Col tempo poi il consumatore cinese imparerà anche ad apprezzare la qualità dei vini europei, ma per il momento è importante impegnarsi sulle etichette e sull’estetica delle bottiglie”.
Ma la Cina, spiega Zhou Junjie, sta diventando anche un importante Paese produttore. “Ci sono alcuni buoni produttori in Cina, che fanno buoni vini. Alcuni di loro hanno studiato in Francia, in Borgogna e a Bordeaux, e hanno imparato molto sulle tecniche di vinificazione, sono in grado di fare vini in stile francese. I dati ci dicono che il consumo di vino cinese tiene, ma al tempo stesso l’importazione di vino cresce, e questo mi porta a dire che nel mercato c’è spazio sia per il vino prodotto in Cina, ma anche e sempre di più per i produttori esteri”.
Ma in un Paese grande come la Cina, c’è anche chi si è focalizzato nei mercati della grandi città, come “Enoteca Shanghai”, capaci di fotografare i cambiamenti nello stile di consumo: “la gente ha cominciato - spiega Ryo Kasahara - ad apprezzare il vino; questo non si compra più, come si faceva in passato, per fare regali, ma per consumo personale. Per questo il consumatore ora è più attento alla qualità e al prezzo. Ritengo che il vino italiano abbia buone possibilità nel mercato cinese, e per questo sempre più consumatori lo acquistano. Naturalmente, visto che è un mercato giovane, occorre puntare su vini freschi, facili da bere. Per esempio, un vino che sta andando molto bene è l’Asti, dolce, facile da bere e da capire”.
Se questa è la Cina, un altro mercato potenzialmente grande, che fino ad oggi ha però tradito le aspettative, è quello del Brasile. “Negli ultimi anni in Brasile, a causa delle tasse, del tasso di cambio e delle politiche protezionistiche - spiega Tiago Soarez (Pps Importadora) - il mercato del vino d’importazione non sta vivendo un buon momento. Ma nonostante questo crediamo nel vino italiano, anche se ci rivolgiamo verso vino meno caro rispetto agli anni precedenti, perché quelli costosi sono veramente difficili da vendere in questo periodo. Noi in particolare siamo interessati al Chianti, e nello specifico al Chianti Classico, ai vini di seconda fascia di Montalcino, con il Rosso e gli Igt, ma anche su Bolgheri. Parlando di prezzi, se acquisto un vino a 2 euro in Italia, per fare un esempio, in Brasile sullo scaffale lo trovo in vendita a 16-17 euro. Il problema in Italia è che se vuoi vino di qualità lo devi pagare di più rispetto ad altri Paesi, non c’è niente da fare. È una cosa che non mi aspettavo: credevo di poter trovare vini di qualità più alta ad un prezzo più basso”.
“Penso che quello brasiliano sia potenzialmente un buon mercato per il vino italiano - aggiunge Orlando Boari (Vini Mundi Ltda) - i consumatori lo apprezzano molto. In Brasile in questo momento ci sono problemi economici e una tassazione molto alta, ma nonostante questo noi trattiamo il vino italiano di alta qualità da vendere a clientela che se lo può permettere. I vini su cui puntiamo sono, per esempio il Brunello di Montalcino e il Chianti Classico”.
Le certezze, per il vino italiano, arrivano soprattutto dal Nord America, Usa e Canada in testa. “Negli Stati Uniti il vino italiano sta crescendo molto, soprattutto grazie al cambio con il dollaro favorevole - spiega Carmine Valle (Wine Twist Import) - l’America è fuori dalla crisi e ci sono grandi prospettive. I grandi classici vanno sempre bene, e la fascia di prezzo che va per la maggiore è sempre quella sui 6-7 euro prezzo in cantina, ma c’è spazio anche per cose diverse e curiosità. Di sicuro vanno per la maggiore i vini rossi, Chianti e Brunello di Montalcino in primis, ma c’è spazio anche per nuove denominazioni”.
“Noi siamo nel sud, nel Texas - aggiunge Lazzaro Angelo Ferrari (Beviamo International) - che non è un mercato saturo. E c’è grande sviluppo e curiosità. La Toscana è sempre quella che spinge di più, ma anche il Veneto e la Sicilia stanno facendo tanto. Sui prezzi, la fascia media, quella tra i 10 ed i 20 dollari a bottiglia, è quella su cui puntiamo di più, sotto a quel prezzo c’è un po’ di difficoltà”.
“Per il vino italiano le cose vanno benissimo - rincara Antonio Pullano (Pullano Imports) - anche se la concorrenza che esiste a New York non c’è in nessun posto del mondo, ma per un vino buono, particolare, c’è sempre un mercato ed un compratore. In Italia abbiamo 450 vitigni e migliaia di vini, ho assaggiato un Fiano, uva tipica della Campania, fatto in Toscana, che è buonissimo, è questo che intendo per “particolare”. La prima cosa a cui stare attenti però è il prezzo, che è una discriminante importante perché la concorrenza è durissima: un Chianti base a 8-12 dollari si vende bene, se ti presenti a 25 è più difficile. I competitor dell’Italia? L’Italia stessa e le sue diverse Regioni, perché quello dei vini di Francia, per esempio, è un mercato totalmente diverso”.
Se dagli States, nel complesso, arrivano buone notizie, dunque, anche il Canada non è da meno - “C’è grande interesse sui vini di Toscana, Piemonte e Veneto - racconta Paul Andrew Mathews (Carpe Vinum Internationale) - anche sui vitigni autoctoni. C’è una comunità italiana molto forte che favorisce lo sviluppo del vino italiano, dei grandi vini tradizionali certamente, ma si guarda molto anche alle diverse Igt per esempio. Sicuramente c’è il limite della valuta, il dollaro canadese è debole rispetto all’euro, ma queste comunità aiutano il vino italiano, anche perché il vino francese è ormai considerato un po’ una “cosa vecchia”. E i veri competitor del vino italiano infatti sono i vini del nuovo mondo: in Ontario è particolarmente forte la California, con i Supertuscan che sentono forte la concorrenza dei grandi Cabernet della Napa Valley, ma che resistono molto bene”.
“In Ontario il vino italiano sta andando molto bene - aggiunge Eugene Codrea (C&E Worldfinds) - specialmente la Toscana con i vini rossi, Chianti in testa, che tutti conosco. C’è una grande competizione, e anche per questo i produttori italiani partecipano a tanti eventi e competizioni, ma quello canadese è un mercato importante per l’Italia. Negli ultimi 5 anni è cresciuta molto la concorrenza dei vini del Sudamerica, rossi soprattutto, perchè ci sono tante somiglianze, e tanti enologi che lavorano in Cile, Argentina, facendo vini dallo stile italiano. Per il resto direi che più che Francia contro Italia è Bordeaux contro Italia. Un produttori mi ha appena presentato un vino toscano descrivendomelo come “dallo stile bordolese”, e io gli ho detto che capivo il senso, ma secondo me devi presentare un vino toscano come un blend toscano, e non come un taglio bordolese, perché così spingi la gente a pensare alla Francia anche quando sei in Italia. La competizione c’è, ma voi dovete essere voi stessi”.
Ma al di là di questi grandi mercati, ce ne sono molti, relativamente nuovi, che stanno aprendo le loro porte al vino italiano. Come quello del Messico, dove le cose “stanno andando molto bene - dice Jorge Manrique Jaramillo (Secretos del Vino) - noi in particolare ci occupiamo di vini toscani, ma il Messico è un mercato nuovo e interessante per tutti i vini italiani. Sia per quelli entri level che per quelli più costosi: ci sono molte persone che bevono vino economico, mentre una fascia più ristretta di persone beve vino di fascia alta. In Messico si beve molto Lambrusco, per esempio, ma anche Brunello di Montalcino, Barolo, Barbaresco, Amarone della Valpolicella, e alcuni vini del sud, come Nero d’Avola e Pimitivo di Manduria, che sono molto apprezzati”.
Ma c’è anche il caso dell’Albania, raccontato da Altin Mulla Albanian (Wine & Spirit Distribution): “c’è un forte legame tra Italia ed Albania, e l’80% del vino venduto in Albania è italiano, nonostante anche la Francia stia andando bene. Forse il Chianti ha bisogno di essere promosso di più in Albania. La gente conosce il Brunello, o Bolgheri, ma non conosce abbastanza il Chianti, e noi ci stiamo impegnando per promuoverlo in Albania. I vini piemontesi, ancora, hanno una presenza più forte, grazie alla loro reputazione. E anche il Primitivo di Manduria, per esempio, sta andando bene, come l’Amarone, che è molto conosciuto. In Albania c’è posto sia per i vini di fascia alta che per quelli di fascia bassa, perchè agli albanesi, come agli italiani, piace ostentare il vino di marca, mentre altri bevono vino di fascia più bassa. Non c’era l’abitudine di comprare il vino al supermercato, perché mangiamo spesso al ristorante. Ma negli ultimi due anni questo sta cambiando, abbiamo cominciato a comprare vino al supermercato e a berlo a casa, anche se ancora il mercato non è maturo per il vino entry level”.
Tra le curiosità, anche la Turchia, Paese che unisce l’Europa all’Oriente, dove il “mercato del vino è molto giovane ma sta crescendo - dice Gur Ferit (Tib Pazarlama Icecek) - fino ad ora è stato dominato dai vini francesi, ma ora i vini italiani e spagnoli stanno diventando via via sempre più popolari. Questo vale in particolare per i vini toscani. Anche se il vino più popolare è il prosecco, poi vengono i vini rossi, mentre i vini bianchi godono di meno popolarità. Anche se devo dire che in Turchia è difficile lavorare nel mondo del vino, perchè il Governo mette molta pressione agli importatori e ai produttori, anche per motivi religiosi. Ma in maniera quasi contraddittoria, la produzione locale sta crescendo, ed è ancora più difficoltoso importare, anche se la qualità dei vini locali non è paragonabile a quella dei vini italiani, francesi e spagnoli, anche se negli ultimi 5-10 anni alcuni piccoli produttori locali hanno fatto un ottimo lavoro, hanno realizzato vini validi. Ma per gli importatori è più difficile, paghiamo molte tasse, c’è molta burocrazia, insomma, è una lotta molto dura”.

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