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2015 da record per l’export enoico di Francia, che chiude l’anno a quota 7,9 miliardi (+6,7% sul 2014), e torna a correre in Usa e Cina, trainata dallo Champagne. Ancora in negativo, invece, i volumi (-3,6%), per una quota del mercato scesa al 30%

Un 2015 da record per l’export enoico. L’abbiamo scritto per l’Italia, ma vale anche per la Francia, che, dopo due anni di calo, è tornata a crescere, mettendo a segno un ottimo +6,7% nelle spedizioni di vino, che toccano i 7,9 miliardi di euro, il massimo di sempre. Allargando l’analisi dei risultati presentati ieri dalla Fédération des Exportateurs de Vins et Spiritueux (www.fevs.com) agli spirits, il bilancio parla di un balzo complessivo dell’8,7%, a 11,7 miliardi di euro. Merito, ovviamente, dell’euro debole, che dai primi mesi 2014 ha perso il 16% nel cambio con il dollaro ed il 10% in quello con la sterlina, ma anche delle performance di Champagne e Cognac, per “una bilancia commerciale - commenta il presidente della Fevs, Christophe Navarre - in attivo di 10,4 miliardi di euro, un risultato che ci permette di superare il comparto dei profumi e cosmetici”.

Come detto, sul fronte vinicolo, è lo Champagne a mettere a segno la prestazione migliore, con una crescita del 12,1% in valore, seguito dai vini di Borgogna (+5,1%) e Bordeaux (+2,9%). Per quanto riguarda i mercati, sono gli Usa il primo partner della Francia, in aperta competizione con l’Italia, con una crescita, Cognac compreso, del 28% sul 2014, che da sola pesa per l’84% della crescita complessiva, per la prima volta sopra i 2,5 miliardi di euro (con il Belpaese a quota 1,3 miliardi di euro, ma solo grazie al vino, http://goo.gl/Ka4cz5). Rimbalzo positivo, dopo due anni no, anche per la Cina, che cresce del 23%, e torna ai livelli del 2013: “il mercato cinese - spiega Navarre - si sta normalizzando, all’insegna di un aumento della domanda della fascia entry level”.

Eppure, un dato negativo c’è, il calo, per il terzo anno consecutivo, dei volumi spediti, scesi nel 2015 del 3,6%, eccetto lo Champagne, in controtendenza con un +4,8%. A fare peggio, i vini generici, senza indicazione geografica, a -13,6% per le produzioni in cui è indicata la varietà, e -16,6% per quelle senza. Un altro aspetto negativo, decisamente più evidente, riguarda le quote di mercato del vino francese, che nel 2000 valevano il 45% ed oggi appena il 30%. La soluzione? Per il Presidente della Fevs va ricercata nella “capacità della filiera di produrre di più e competere con Paesi come Spagna, Italia e Cile, ma anche nella ricerca di accordi commerciali, da chiudere al più presto, che abbattano le barriere commerciali”.

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