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Export, acquisizioni, classifiche, tendenze, politica: ecco cosa ha lasciato in eredità al mondo del vino italiano il 2015. Piccolo viaggio nel recente passato enoico (con un occhio al futuro) tra fatti e tendenze con la guida di Winenews

Italia
Il Chianti Classico Grigio Gran Selezione 2011 di San Felice n. 1 per Wine Enthusiast e i Brunello di Montalcino 2010 Madonna delle Grazie de Il Marroneto e Tenuta Nuova di Casanova di Neri 100 su 100 di The Wine Advoctate tra i migliori risultati italiani per la critica mondiale nel 2015

Che cosa lascia il 2015 che sta per chiudersi, al 2016 del mondo del vino italiano? Ecco un breve “viaggio nel tempo” la cui rotta è segnata dall’“Annuario di WineNews”. Partiamo dalle certezze, soprattutto in campo economico. Come l’export. Sarà nuovo record, probabilmente, quello segnato dalle esportazioni di vino italiano nel 2015, dopo quello del 2014. Le stime Wine Monitor sull’export di vino italiano per il 2015 evidenziano una crescita nei valori di circa il 6%, permettendo in tal modo di arrivare a chiudere l’anno con un nuovo record: 5,4 miliardi di euro contro i 5,1 dell’anno passato. Un successo che passa anche dal boom delle bollicine italiane all’estero che, nel complesso, si confermano le più venduti del mondo, con 2,7 milioni di ettolitri, (1,8 Francia e 1,6 Spagna, dati di Wine Monitor - Nomisma). Un successo in volume indiscutibile per gli spumanti tricolore, che tuttavia pagano ancora un divario economico enorme con quelle francesi: l’export del Belpaese “spumantizzato” vale 990 milioni di euro, e quello della Francia, 3 miliardi di euro.
Un sostegno non indifferente arriva dal rafforzamento del dollaro e della sterlina inglese che hanno così permesso ai nostri produttori non solo di essere più competitivi sui due principali mercati mondiali di importazione, ma anche di garantirsi una plusvalenza dal tasso di cambio. Per quanto riguarda invece le quantità, anche in ragione di una minor disponibilità di prodotto (la vendemmia 2014 non è stata tra le più generose degli ultimi tempi), i volumi di vino esportati nel 2015 risultano inferiori a quelli dell’anno precedente, attestandosi poco sopra ai 20 milioni di ettolitri.
E sul fronte del mercato interno? I segnali del 2015 non sono confortanti e spingono davvero nella direzione di un 2016 dove la parola d’ordine sarà necessariamente “giovani”. I dati Istat parlano abbastanza chiaramente: in Italia il 71% dei giovani non beve mai vino, mentre i consumatori regolari di vino sono in Italia il 20% in una fascia di età che va dai sessantacinque ai cinquanta. Ma questa è la fascia perdente, evidentemente, quella cioè dove i consumi di vino sono destinati a calare in modo pesante nei prossimi anni. Sarà quindi obbligatorio trovare il modo di convincere i (pochi) giovani che ci sono in Italia a farsi piacere il vino... Insomma il 2016 dovrà diventare l’anno della “caccia” al giovane consumatore di vino.
Anche nel 2015 non sono stati pochi i passaggi di proprietà nel mondo enoico tricolore. La storica griffe del Verdicchio Fazi Battaglia è stata assorbita da Bertani Domains, il gruppo vinicolo della famiglia Angelini. Antinori ha investito ancora nel Chianti Classico, acquisendo il Castello di San Sano, di proprietà del gruppo Alimenta Spa (oltre 80 ettari di vigneti a Gaiole in Chianti). Sempre nel Chianti Classico, la famiglia Cecchi ha acquistato la Tenuta Villa Rosa a Castellina in Chianti quasi 25 ettari a vigneto). La famiglia Tommasi, storica realtà della Valpolicella, ha aggiunto un altro tassello al proprio mosaico rappresentato dal progetto Tommasi Family Estates, acquistando a Montalcino la fattoria Casisano Colombaio (22 ettari a vigneto tra Brunello e Rosso di Montalcino). Anche Giovanni Carlo Sacchet ed Antonio Mario Zaccheo, proprietari di Carpineto, hanno investito a Montalcino acquisendo Il Forteto del Drago (11 ettari vitati, di cui 3,5 a Brunello). Diego Molinari, storico personaggio del vino di Montalcino, ha ceduto il suo gioiello, La Cerbaiona, all’imprenditore statunitense, Gary Rieschel, al timone della Qiming Venture Partners di Shanghai. Infine, per concludere con gli avvicendamenti toscani, in Maremma, Tua Rita, ha rilevato, per adesso in affitto, Poggio Argentiera, una delle cantine leader del Morellino di Scansano. Achille Boroli, alla guida della cantina Boroli a Castiglione Falletto, ha acquistato Cascina Sorello: 4 ettari e mezzo di vigneti coltivati a Nebbiolo da Barolo a La Morra. Sempre in Langa il cru Vigna Arione (nove ettari in tutto, di cui tre e mezzo coltivati a Nebbiolo da Barolo), è stato comprato da “Mr Monfortino” Roberto Conterno dalla cantina Gigi Rosso.
Sul fronte dei magazine internazionali il 2015 ha visto primeggiare nella “Top 100” di “Wine Spectator” l’Italia nel suo complesso, che ha portato dentro a questa speciale classifica ben 20 etichette. Ma è la Toscana a confermarsi regina con ben 11 vini presenti da 4 denominazioni diverse (5 Brunello - di cui il Brunello di Montalcino 2010 Il Poggione al n. 4 - 3 Bolgheri, 2 Supertuscan, un Chianti Classico ed un Nobile di Montepulciano) seguita dal Piemonte, che si ferma a due (entrambi Barolo), raggiunto dalla Puglia e dalla Sicilia, con Veneto, Friuli e Basilicata a quota 1. Tanta Italia anche nella “Top 100 Values”, selezione che riguarda, ricordiamolo, tutto il mondo, sempre delle magazine a stelle e strisce “Wine Spectator”. E non è un caso, vista l’ormai solidità riconosciuta dei vini italiani proprio nello strategico rapporto qualità/prezzo. Sono ben 17 infatti le etichette del Belpaese che hanno ottenuto un punteggio minimo di 88/100, ed hanno un prezzo allo scaffale, in Usa, sotto i 20 dollari. Vini che sono alla portata di tutti, che si trovano con facilità sul mercato e pronti per essere stappati.
Nella “top 100” di “Wine Enthusiast” l’Italia piazza 17 vini (con al top il Piemonte, 8 vini, seguito dalla Toscana, con5) e conquista addirittura la vetta della classifica con una propria etichetta: il Chianti Classico Grigio Gran Selezione 2011 di San Felice. Ma, per la prima volta in assoluto, un vino italiano è anche top spot per i “Top 100 Best Buys” sempre di “Wine Enthusiast” (Carignano Terre Rare Riserva 2010, Sella e Mosca). Conquistando pure il secondo posto nella “Top Cellar Selections” con il Brunello Madonna delle Grazie 2010 de Il Marroneto (già 100/100 da “The Wine Advocate”, come il Tenuta Nuova 2010 Casanova di Neri, ndr).
Nel 2015 non è mancato il classico valzer delle guide enoiche del Belpaese, e neanche il nostro ormai tradizionale “incrocio”, che quest’anno ha dovuto registrare un risultato davvero bizzarro. Il vino che mette d’accordo tutti, infatti, non c’è. Su ben 9 guide (Vini d’Italia “Gambero Rosso”, Vini d’Italia de “L’Espresso”, “I Vini di Veronelli”, Bibenda, Slow Wine, l’“Annuario dei migliori vini italiani” di Luca Maroni, “Guida Essenziale ai Vini d’Italia” di Daniele Cernilli “Vitae - La Guida dei Vini ” dell’Associazione Italiana Sommelier (Ais)”, “Vini Buoni d’Italia” by Touring Club), nessuna etichetta italiana è riuscita ad aggiudicarsi tutti e nove i riconoscimenti di queste guide. Soltanto due etichette hanno sfiorato il filotto: il Torgiano Rosso Rubesco Vigna Monticchio Riserva 2010 di Lungarotti, che solo Slow Wine non premia, e il Primitivo di Manduria Es 2013 di Gianfranco Fino, che, invece, non riesce a fare l’en plein, mancando i “Tre Bicchieri” della guida del Gambero Rosso.
Ma il 2015 è stato un anno che ha confermato la crescita delle più importanti griffe dell’Italia enoica anche sul piano degli investimenti a lungo termine. Perché se è vero che nella “Power 100” del 2015, by “Liv-ex”, il benchmark del mercato secondario, e “The Drinks Business”, i brand del Belpaese, pur ben presenti, hanno perso qualche posizione sul 2014, è altrettanto vero che, nel complesso, l’Italia è stata la seconda “regione” più scambiata, dietro a Bordeaux ma superando la Borgogna, con i vini del Belpaese che hanno raggiunto una “market share” del 7,1% nel 2015 sull’appena 0,9% del 2010. E se l’“Italy 100” (sotto indice del “Fine Wine 1000”), che raccoglie le ultime annate di 5 classici Supertuscan (Masseto, Ornellaia, Sassicaia di Tenuta San Guido, Solaia e Tignanello di Antinori) e di altre griffe dell’Italia enoica (Barbaresco e Sorì Tildìn di Gaja, Barolo Vigne di Sandrone, Messorio de Le Macchiole e Redigaffi di Tua Rita), negli ultimi 5 anni, ha visto una crescita in valore del 18,19%, performances decisamente migliore, in termini di crescita, dei vini di Bordeaux, con il “Bordeaux 500” che nello stesso periodo ha perso il 8,43%, un ulteriore segnale di quanto l’Italia possa dire la sua nel mercato del collezionismo arriva dalla “The top 10 wines on the Liv-ex 1000” 2015, che ha messo in fila i vini che hanno visto le proprie quotazioni crescere di più nell’ultimo anno. Dove per l’Italia, ci sono il Barolo Vigne 2007 di Luciano Sandrone, che ha fatto +34,1% (passando dalle 645 sterline a cassa di dicembre 2014 alle 865 di novembre 2015), ed il Tignanello 2004 di Antinori, che ha fatto +33,2% (da 764 a 1.018 sterline alla cassa), rispettivamente in posizione n. 5 e 6.
Il 2015 si è chiuso anche con un interesse sul mondo del vino da parte della politica, probabilmente mai visto. Non solo derivato dal “passaggio” di Expo, dove il Padiglione del Vino italiano, realizzato da Vinitaly e fortemente voluto dal Ministero delle Politiche Agricole, ha dato grande valore aggiunto e ha aperto riflessioni nuove su territori, paesaggio e produzioni, rappresentando per la prima volta ufficialmente il vino e, attraverso di esso, un Paese, l’Italia, in un’Esposizione Universale con tante degustazioni, convegni, percorsi sensoriali e culturali e affascinando i visitatori. Il 2016, come ha ricordato il Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina nel convegno “Pianeta Vino” andato in scena proprio a fine dicembre alla Camera, sarà anche un anno ancora più intenso del 2015, all’insegna di un’altra decisiva novità che proporio nell'anno passato è stata costruita e che in quello appena iniziato verrà concretizzata, e cioè il “Testo Unico” sul vino, una svolta importante nella semplificazione del comparto e per accrescere la sua competitività. Ma il 2016 sarà anche l’anno che porterà il riconoscimento del vino italiano come Patrimonio culturale del Paese, se andrà in porto, come sembra da tutte le premesse, la proposta di legge che vede come primo firmatario il Presidente della Commissione Agricoltura alla Camera, Luca Sani. Nel futuro del vino italiano c’è, dunque, il potenziamento di tutti questi aspetti, dal quello economico ed occupazionale, a quello culturale, con la nuova legge quadro per rendere più competitivo il comparto, il Testo Unico del vino italiano che, secondo le previsioni, sarà licenziato in prima lettura alla Camera per il Vinitaly 2016. Che la politica abbia finalmente capito l’importanza del vino?
Il vino italiano, nel 2015, ha poi dimostrato abbondantemente di avere leve fondamentali, ma deve ancora migliorare sull’internazionalizzazione per contribuire a cogliere l’obiettivo dei 50 miliardi di euro di export del nostro agroalimentare nel 2020.
Guardando a quanto accaduto nell’ultimo decennio, è chiaro che occorre mettere in atto diverse strategie, tra cui quelle di riposizionamento, anche qualitativo, in grado di spuntare prezzi medi più elevati per i nostri vini. A tale proposito basti pensare come dal 2007 al 2013 il prezzo medio all’export del vino italiano si sia apprezzato del 35%, passando da 1,83 a 2,47 euro/litro. Tale rivalutazione sottende, tra le altre cose, una riduzione dell’incidenza dello sfuso (sceso dal 33,6% al 28,5%) e un contestuale incremento del peso degli sparkling (dal 6,5% al 10,2%) e dei vini fermi (dal 59,9% al 61,3%) sui volumi totali dell’export.
Quali sono le opportunità e le criticità che influiscono su questo possibile scenario? Nel primo caso, l’appeal del made in Italy e la svalutazione dell’Euro possono darci una mano: si pensi infatti che i 2/3 delle esportazioni finiscono al di fuori dell’area Euro e le previsioni di Goldman Sachs indicano un rapporto di parità euro/dollaro entro il 2017.
Sul fronte delle criticità occorre invece ricordare come in molti mercati esteri l’Italia detenga ormai una quota di mercato significativa, rendendo più complicato prevedere dinamiche di crescita agli stessi ritmi dell’ultimo settennato. Su questo versante i casi sono due: o si amplia la presenza dei vini italiani nei mercati emergenti (l’export nei Bric pesa per meno del 5%), o si allarga la platea delle imprese esportatrici. Entrambe le direzioni di marcia richiedono però dimensioni competitive che molta parte delle nostre imprese vinicole non hanno rispetto ai competitor internazionali e, indubbiamente, le principali azioni dovrebbero prioritariamente riguardare questo ambito di intervento.
Nel breve periodo, e cioè guardando al prossimo anno, la sfida si giocherà sul valore delle esportazioni, dato che sarà difficile mantenere i volumi a 20 milioni di ettolitri. Se, da un lato emerge uno scenario di cambi favorevole, soprattutto per quanto riguarda il dollaro, dall’altro l’attuale scarsa esposizione ad alcuni mercati emergenti (ad eccezione della Russia) potrebbe costituire un buon terreno di sviluppo, fatto salvo il fatto però che in quei Paesi non si vedono segnali di miglioramento evidenti, e consistenti, per i vini italiani. Una visione a medio-lungo termine, date queste premesse, indica in modo non rimandabile una maggiore attenzione da parte dei produttori del Belpaese a giocare una partita importante sul piano del riposizionamento dei prezzi e della qualità delle etichette tricolore. Un obbiettivo che non solo riveste un’importanza sul mero piano dell’incremento di valore dell’export, ma rappresenta un ulteriore mossa strategica rispetto alla competitività di Paesi produttori quali Spagna, Cile o Argentina, più forti sul piano dei prezzi di vendita e quindi sul piano dei vini più “cheap”, dove l’Italia dovrebbe giocare un ruolo sempre meno importante, proprio a seguito di un riposizionamento della propria produzione.

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