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“Ci sono molte violenze e ferite sulle colline delle Langhe che continuano nonostante l’Unesco. Se chi arriva da fuori è più accorto ben venga”: così a WineNews il barolista Giuseppe Rinaldi. “La monocoltura è impoverimento paesaggistico e culturale”

Italia
Il barolista Giuseppe Rinaldi

“Ci sono molte violenze e ferite su queste colline, che continuano nonostante l’Unesco. Mi auguro che nasca una sensibilità di tutela maggiore su queste colline, richieste ed ambite da tutto il mondo, che dovrebbero avere in ambito locale più persone, amministratori, noi stessi, più attenti a non ferirle”. Così a WineNews, senza peli sulla lingua, uno dei produttori di Barolo più amati, Giuseppe “Citrico” Rinaldi, riserva parole fuori dal coro al suo territorio, quelle Langhe che sono da sempre un prestigio dell’Italia del vino e, come ricorda lui stesso, Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. E diverso è anche il suo punto di vista sugli investimenti sul territorio, ma che vengono da fuori: “siamo passati da una vita agra, riservata ed umile, nell’immediato dopo Guerra, ad un violento ed improvviso benessere come diceva mio cugino Bartolo Mascarello. E se l’uomo non matura in contemporanea e non sedimenta, non fa la feccia, si rischia. È bene che venga gente da fuori: il langhetto è sempre stato estremamente restio a vendere terreni e proprietà, molto legato a queste colline. Per cui forse l’immobilismo è dovuto al fatto che non c’è stato un grande interesse da fuori perché non c’era niente in vendita ed era difficilissimo comprare. Ma credo che una ventata di novità dal di fuori sia positiva. La nascita recentissima di interessi economici per questa zona la trovo scontata e normalissima: se chi arriva porta novità positive e magari è più accorto di noi a preservare questi profili collinari, non c’è che da pensar bene”.
Ma Rinaldi si cimenta anche in un parallelismo tra i due grandi rossi italiani sempre più spesso sulla bocca di molti, ma in un’ottica decisamente diversa: quello tra il suo Barolo ed il Brunello di Montalcino. “Sono stato alcune volte nella zona del Brunello ed è molto diversa da qua - racconta a WineNews - è rimasta con note più agresti e bucoliche, che qui si sono perse. E non esiste là una monocoltura così imperante come è arrivata su queste colline: ci sono ancora olivo, seminativo, tanti boschi. Purtroppo qua c’è stato un assalto alle colline, con la perdita di tante essenze e specie del bosco, del noccioleto, del frutteto, del prato, che considero molto grave. La monocoltura esasperata è un impoverimento, paesaggistico, ma anche culturale, perché si perdono esperienze nell’avere più cose, oltre che biologico. Penso che la zona del Brunello sia più meritevole della nostra”. Ma perché le sue parole sono meno dure per il territorio del rosso toscano? “Perché forse ha avuto fortune più recenti - spiega Rinaldi - noi abbiamo più storie dal punto di vista enologico e viticolo. Ma prima di augurarci tanto turismo e di costruire tanta immagine, forse bisognerebbe avere più senso di tutela. Perché il paesaggio ha un grande valore, e accanto alla monocoltura esasperata, qui sono nate anche architetture blasfeme”.
Tornando ai due grandi rossi italiani, “penso che in giro per il mondo - dice ancora Rinaldi - non ci siano molti vini che invecchiando acquisiscono un valore aggiunto, che migliorino, diventino più nobili, con profumi e bouquet più affascinanti, nei gusti e nei colori. Dire Barolo e Brunello insieme è una cosa assolutamente positiva”. Ma non sono gli unici, secondo Giuseppe Rinaldi, “ci sono anche altri vini, ma non tanti nel mondo, che migliorano invecchiando, come il Nobile di Montepulciano, il Sagrantino di Montefalco, il Barbaresco, i Pinot della Borgogna, gli Châteauneuf-du-Pape - dico quelli che mi piacciono di più - i Bordeaux, ma anche, per tornare in Italia il Nerello Mascalese, che a volte con il Barolo ha delle assonanze notevoli”.

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