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Archiviato un biennio terribile, la Cina torna ad attirare l’interesse e gli investimenti dei big del vino, dalla Vecchia Europa al Nuovo Mondo. L’import vola al +40% nel 2015, con i prezzi medi in calo ed i wine lover a quota 38 milioni

Archiviato un biennio terribile che, tra il 2013 ed il 2014 ha gettato nello sconforto la maggior parte dei produttori di Bordeaux, la Cina torna ad essere quell’Eldorado capace di attirare l’interesse e gli investimenti di tutti i big del vino, dalla Vecchia Europa al Nuovo Mondo. Passata la “sbornia” per le grandi bottiglie, che in realtà ha riguardato solo gli alti funzionari di Stato, non necessariamente appassionati, da Shanghai a Pechino crescono la consapevolezza e la conoscenza della cultura enoica: nel giro di 3 anni, è raddoppiato il numero di wine lover che consumano vino importato (ossia vino di qualità superiore, come si evince dall’analisi di “Wine Intelligence”, www.wineintelligence.com) almeno due volte l’anno, arrivato a 38 milioni di individui.
Si tratta, nella stragrande maggioranza dei casi, di quella nuova generazione di professionisti, che vivono nelle grandi città ed hanno la possibilità di spendere, per una discreta bottiglia, una media di 28 euro.: è soprattutto grazie a loro se le importazioni, nel 2015, chiuderanno con un balzo del 40% in termini di volumi sul 2014. A goderne, però, grazie agli accordi bilaterali di libero scambio sottoscritti dai rispettivi governi, sono soprattutto Cile ed Australia (con il Sudafrica in crescita costante), che adesso minacciano persino il primato francese.
La tendenza più importante, come si capisce dalla crescita dei Paesi del Nuovo Mondo, riguarda l’andamento dei prezzi, con il vertice della piramide (Bordeaux, Borgogna) che ha sempre minor peso, ed un prezzo medio in calo costante. Un aspetto che potrebbe essere considerato come negativo, ma che invece sta aprendo il mercato a tanti nuovi consumatori, soprattutto giovani, che nella loro ricerca preferiscono l’e-commerce alle enoteche vetuste in cui le grandi bottiglie rischiano di prendere polvere ancora per tanti anni. Certo, come sottolinea giustamente l’analisi di “Wine Intelligence”, non può bastare il web a creare una vera e solida cultura enoica, c’è bisogno d’altro, di impegno, pazienza e progetti.

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