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“NextInWine 2015”, il premio firmato “Simonit & Sirch” per i talenti under 35 della Vigna Italia va a Nicola Biasi per il suo progetto “Vin de la Neu”, che, in Trentino, al posto del melo, ha riportato la vigna oltre gli 800 metri

Italia
A Nicola Biasi il Premio Next in Wine 2015 by Simonit e Sirch

Spiantare i meli in uno dei territori d’Italia e forse del mondo dove rendono di più, il Trentino, per lanciarsi in un progetto di viticoltura di alta montagna (oltre gli 800 metri), e dove le temperature vanno da -8 a +35 gradi centigradi, per il “Vin de la Neu” (http://goo.gl/7q0FPB), che unisce conoscenza del territorio, storia ed innovazione: è la filosofia che ha consentitno al giovane enolgo Nicola Biasi, 34 anni ma già con esperienza in importanti realtà vinicole del Belpaese, di aggiudicarsi il premio “NextInWine 2015”, riservato ai giovani talenti under 35 della Vigna Italia Simonit & Sirch Preparatori d’Uva e la Scuola Italiana di Potatura della Vite (www.preparatoriuva.it), in collaborazione con Bibenda e Fondazione Italiana Sommelier, e già andato negli anni a nomi come Pierpaolo Di Franco e Davide Fasolini di Dirupi, Arianna Occhipinti, Roberto Matzeu.
“Nicola ha voluto riproporre la viticoltura di qualità in un’area oggi totalmente dedicata alla coltivazione della mela, ma un tempo rifugio ideale per la vite, Còredo in Val di Non. Un progetto inedito, sia per il territorio in cui è stato concretizzato, sia per la scelta di coltivare varietà resistenti alle malattie, con l’obiettivo dichiarato di produrre vini sani e di rispettare l’ambiente”, si legge nella motivazione del premio, consegnato nella presentazione della Guida Bibenda 2016.
Il secondo classificato, Paolo Giuseppe Mancino, pugliese,
è un “bancario mancato” che colto da un amore improvviso ed irresistibile per la vite, recupera un vecchio palmento a Sava, patria del Primitivo di Manduria, e riesce a trovare una sintesi perfetta tra tradizione e innovazione, con la vinificazione in acciaio, la maturazione in legno piccolo e la conservazione nei capasoni, anfore di terracotta, una vera rarità di archeologia contadina. Il terzo classificato, Gabriele di Mare di Cirò si affida alla millenaria tradizione delle sua terra di Calabria, dove i vincitori delle Olimpiadi in età classica venivano premiati con il vino di Cirò e coltiva il Gaglioppo e Greco Bianco assieme a vitigni internazionali come il Merlot ed il Sauvignon. Con il fratello pratica una viticoltura sostenibile e valorizza la qualità delle uve con una cantina di recente costruzione.
Ora, per il vincitore e per gli altri due finalisti, ci sarà anche un tour in alcune fra le più blasonate aziende della penisola per un’esperienza formativa unica. Ad accoglierli per una settimana saranno Bellavista, Ceretto, Ferrari, Feudi San Gregorio, Petra, Planeta, Schiopetto, partner dei Preparatori d’Uva, in questo progetto.

Focus - Il Progetto “Vin de la Neu”
Vin de la Neu nasce da un’intuizione di Nicola Biasi, dalla combinazione di grande determinazione, passione per l’enologia e voglia di sperimentare. Un progetto inedito, sia per il territorio in cui è stato concretizzato, sia per la scelta varietale. Trentino, comune di Còredo, nel cuore della Valle di Non. Qui, nella particella 209, è stato piantato il primo vigneto in una zona nota per la produzione delle mele. La varietà selezionata è Johanniter, un ibrido in cui troviamo geni di Riesling e Pinot Grigio, la cui peculiarità è la naturale resistenza alle principali malattie fungine della vite. L’obiettivo è ottenere un vino originale e di alta qualità, nel pieno rispetto del territorio delle Dolomiti e dell’ambiente.
Territorio
La Valle di Non - in tempi remoti chiamata Anaunia - si presenta come un vasto altipiano circondato da montagne, che si apre a occidente della Valle dell’Adige, all’altezza della confluenza del Noce nell’Adige. Si tratta di una valle con orientamento predominante Nord-Sud, che si sviluppa tra le quote di 400 e 1.200 metri sul livello del mare per la parte coltivata, ma può raggiungere altitudini di oltre 2.000 metri risalendo i versanti delle montagne che le fanno corona. La Valle ha la forma di un’ampia conca allungata, che mostra fianchi molto ripidi sul lato occidentale. Il lato orientale - su cui è posizionato il Comune di Còredo - digrada a balze verso la parte interna, con struttura monoclinale molto estesa, a lieve pendenza, ed è limitato da una dorsale di monti tondeggianti, che separano la Val di Non dalla Val d’Adige. Geologicamente, l’anfiteatro della valle corrisponde a una depressione tettonica e lungo la linea di faglia vengono a contatto formazioni rocciose diverse. Gli strati sottostanti sono costituiti da porfido quarzifero; per quanto riguarda i suoli, i terreni della zona sono costituiti prevalentemente da dolomia principale, su cui si collocano strati sedimentari formati da marne, argille e calcari. Si possono distinguere zone a prevalenza sabbiosa (caratteristica di depositi fluvio-glaciali) e zone a prevalenza limosa (tipica dei depositi prettamente glaciali). In generale i terreni hanno una composizione sabbiosa e solamente una piccola parte ricade nella categoria argillosa, a testimonianza di depositi lacustri di origine glaciale.
Complesso il sistema idrografico. Il fiume Noce, che nasce nel gruppo del Cevedale, entra in valle alla stretta di Mostizzolo - dove muta seccamente di direzione - e la attraversa sprofondando in una lunga gola. All’altezza di Cles la diga di Santa Giustina, alta 152,50 metri, forma il lago di sbarramento omonimo con una superficie di quattro chilometri quadrati, per 172 milioni di mc.
Altri laghi artificiali sono quello formato - all’altezza di Taio - da una seconda diga, che crea tra i burroni un piccolo serbatoio; quelli gemelli di Tavón e di Còredo, il lago Smeraldo di Fondo e quello di santa Maria a Trét. Scarsi sono, invece, i laghi naturali, anche se la valle può vantarne uno dei più famosi, il “Lago Rosso” di Tovel.
Clima
L’ambiente climatico è differenziato, soprattutto dalle quote, in più sezioni. Gli estremi termici vanno da valori annui di – 8º a + 35º. Le precipitazioni medie annue non sono molto elevate - tanto è vero che si è dato vita sin dal XVIII secolo a una rete di canali di irrigazione - e oscillano tra i 700 e gli 800 mm. A Còredo si contano mediamente 75 giorni di pioggia all’anno (statistiche meteorologiche Istat). I fenomeni di grandine sono rari, come quelli delle gelate, ma temuti per i possibili danni ai frutteti. Variazioni microclimatiche sono state apportate dal grande bacino di Santa Giustina, che peraltro si è inserito gradevolmente nel paesaggio vallivo.
Il clima relativamente temperato della Valle di Non, aggiunto a un suolo agrario generalmente buono, ha consentito da sempre un’agricoltura ricca, oggi specializzata per la produzione di frutta di qualità. Il paesaggio vegetale è dominato nella parte bassa della valle da vaste estensioni di meleti e pereti.
Storia ed economia
L’economia della Valle di Non si basa sul sistema della cooperazione, che ha consentito alla zona, fin dall’inizio del secolo scorso, di riscattarsi da una situazione di depressione, sfruttando al meglio le potenzialità del proprio territorio.
Nata nel 1890 a opera di un curato di campagna della Val Giudicarie - don Lorenzo Guetti - a distanza di oltre un secolo, la cooperazione costituisce, nella Valle di Non, la forza trainante dell’economia e ancor oggi garantisce la sopravvivenza a numerose imprese agricole di piccole o piccolissime dimensioni, favorendo una produzione di qualità.
L’economia della vallata è principalmente di tipo agricolo (frutticolo): la valle è resa famosa dalla vastissima produzione delle mele, in particolare delle Golden Delicious conosciute commercialmente con il marchio Melinda (primo marchio Dop concesso per un prodotto del settore frutticolo). Procedendo da Cles verso Tres, infatti, si ripercorre la celebre via dei pomi, itinerario dell’economia trentina.
Ben prima di trasformarsi nel “Regno delle Mele”, però, la Valle di Non era nota per la sua fiorente attività viticola: la vite era infatti la coltivazione principale quando la valle apparteneva all’Austria. Già nel 1852 Agostino Perini, nel suo Dizionario Geografico statistico del Trentino, cita i vitigni di questa valle tra i quali, il più prestigioso, il Groppello di Revò, piccolo comune a pochi chilometri da Còredo: “Il Clima vi è mite e in tutta la sua estensione, meno le parti più elevate, si coltivano i gelsi e le viti. Il vino più pregiato di tutto il distretto è quello di Revò, ove si coltivano le viti con diligenza particolare sui colli sottoposti al villaggio rivolti a mezzodì e difesi dal monte a settentrione”.
Idea
L’ambizione è quella di riproporre la viticoltura di qualità in un’area oggi dedicata alla coltivazione della mela, ma un tempo rifugio ideale per la vite. La salubrità dell’aria a queste quote rende più concreta la fattibilità di un progetto sperimentale con le nuove varietà resistenti. Inoltre, in un panorama di generale innalzamento delle temperature, che sta purtroppo suscitando non poche preoccupazioni e mutamenti anche in ambito agricolo, è di particolare interesse l’analisi di nuove opportunità riguardo a potenziali aree da dedicare alla viticoltura.
Varietà
Le varietà di vite resistenti alle crittogame trovano origine negli incroci effettuati tra le varietà di vite da vino e le varietà di viti americane o resistenti alle malattie fungine. La maggioranza delle varietà - che ancora oggi vengono erroneamente chiamate ibrido, produttore diretto o varietà interspecifica - furono sviluppate dal 1880 al 1935 in Francia. L’obiettivo era quello di combinare la resistenza delle varietà americane alle crittogame ed alla fillossera alla qualità dei vini ottenuti dalle varietà europee. La speranza che tali nuove varietà potessero essere coltivate anche senza portainnesto - per cui “franche di piede” - purtroppo non si realizzò. Gli incroci più recenti (dal 1950) sono di gran lunga più complessi e in essi si posso trovare anche specie asiatiche; queste ultime sono il risultato di un processo di selezione in atto da vari decenni, nel corso del quale sono stati effettuati anche vari e molteplici re-incroci con cultivar europee. Da un punto di vista tassonomico non si differenziano più dalla specie “Vitis Vinifera”, ecco perché ormai ad oggi fanno appunto parte a tutti gli effetti della specie “Vinifera”. E’ importante sottolineare questo punto, in quanto - in una comparazione varietale - i buoni risultati ottenuti nelle prove di vinificazione ne fanno delle varietà ammesse per la produzione di “Vini di Qualità” nell’ambito della legge della Comunità Europea.
Johanniter è una varietà bianca costituita nel 1968 da Johannes Zimmerman presso l’Istituto Statale di viticoltura di Friburgo, in Germania. Si tratta di un incrocio così ottenuto: padre= incrocio tra Riesling e Seyve Villard 12481; madre = incrocio tra Pinot Grigio e Chasselas In Italia è pressoché sconosciuta - così come le altre varietà resistenti - e solo recentemente è stata autorizzata alla coltivazione.
Il grappolo è di dimensioni medio-grandi e compatto, molto simile al Riesling, anche se leggermente più allungato. L’acino si presenta di media grandezza, con forma tondeggiante e buccia di colore giallo dorato con sfumature verdognole. Il sapore della bacca è molto fruttato, con spiccate note di agrumi. Ha alta resistenza all’Oidio e alla Peronospora. Epoca di raccolta tardiva.
Vigneto
Altitudine: 832 metri slm
Superficie: 1.000 mq
Sesto d’impianto: 1.00 m x 0.60 m
Ceppi per ettaro: 16.600
Il vigneto è stato ideato con l’obiettivo di ottenere uve di alta qualità. L’alta densità d’impianto permettere di ridurre al minimo la produzione di grappoli per ogni ceppo e quindi di portarli con maggiore facilità a maturazione, nonostante l’altitudine e la latitudine. Il sistema di allevamento scelto è l’alberello a ventaglio (o palmetta), che consente lo sviluppo della vite senza forzarla più del minimo indispensabile. Il clone è il Fr 340. Sono stati scelti due diversi porta innesti in base alla tipologia di suolo: Kober 5BB, leggermente più vigoroso e quindi piantato su suolo più debole, e 125 AA, collocato nella parte più bassa della parcella.
L’attenzione per il territorio è stata un fattore determinante nella scelte relative all’impianto: i pali, ad esempio, sono in larice non trattato. Il larice è parte del naturale patrimonio boschivo della zona e la facile reperibilità dei materiali ha quindi ridotto l’impatto ambientale in fase di trasporto. Oltre alla totale assenza di trattamenti anticrittogamici non viene effettuato alcun diserbo e tutte le operazioni in vigneto vengono effettuate manualmente senza alcun intervento di mezzi a motore.
Futuro
Questo progetto è animato dalla volontà di dimostrare come la conoscenza e la scienza ci permettano oggi di produrre vini ad altitudini ed esposizioni diverse rispetto al passato. Ma l’obiettivo più rilevante è quello di praticare una viticoltura ed enologia veramente “sostenibili”, che in nessun modo turbino l’equilibrio dell’ecosistema in cui il vigneto è inserito. Lo studio delle varietà resistenti è senz’altro un importante passo avanti della viticoltura moderna: le caratteristiche agronomiche di queste tipologie sono ormai ampiamente riconosciute e segnano un passo promettente verso un maggiore rispetto ambientale.
Oggi non è più sufficiente fare vino di qualità: il mercato è fortunatamente sempre più sensibile al tema dell’inquinamento e all’approccio che il produttore ha nei confronti del territorio. Queste nuove spinte contribuiranno a limitare la pressione degli interessi commerciali che ad oggi parzialmente frenano la concretizzazione di un approccio realmente sostenibile. È dovere dell’enologo produrre vini di qualità, fedeli al carattere e rispettosi del territorio da cui provengono. È questa l’unica strada che permetterà di esaltare la straordinaria diversità di terroir che il nostro Paese ci offre.

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