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Tanti passi avanti in tutte le fasi produttive, ma anche l’“etica” entrata nel settore, e che si traduce nella tutela del paesaggio e nell’agricoltura sociale: ecco il punto sulla sostenibilità delle cantine italiane, con Confagricoltura a Milano

Italia

A sentir raccontare le esperienze di produzioni sostenibili di tanti vignaioli italiani c’è da stupirsi di quanti passi avanti siano stati fatti e quanta “etica” sia entrata nel settore. Antico Podere di Pomaio, Guido Berlucchi, Distilleria Bonollo, Planeta e Arnaldo Caprai, sono le aziende che, questa volta, hanno raccontato le loro case history alla Casa degli Atellani, dove è custodita “La Vigna di Leonardo”, a Milano, negli “Appuntamenti con la sostenibilità” che Confagricoltura, che riunisce tutte le ha promosso in occasione di Expo 2015.
Un seminario dedicato al percorso di sostenibilità intrapreso dalla filiera vitivinicola, dalla raccolta dell’uva alla distillazione, che rientra nel progetto di Confagricoltura “Ecocloud: la rete delle buone pratiche sostenibili”. Dalle loro storie emerge l’attenzione alla riduzione delle emissioni di Co2, dei consumi di acqua e di sostanze chimiche, alla produzione di energia rinnovabile, alla valorizzazione dei sottoprodotti, ma anche alla tutela del paesaggio e dell’agricoltura sociale. Ma sono sempre più numerose le imprese vitivinicole che stanno adottando buone pratiche sostenibili nei loro cicli produttivi.
Sostenibilità ambientale, ovviamente. “Ma come la mettiamo con la sostenibilità economica?” ha chiesto il giornalista Antonio Paolini, per introdurre un argomento da cui non può prescindere chi fa impresa e con il quale è stato aperto il seminario. I dati li ha forniti il professor Eugenio Pomarici, dell’Università di Padova, che prosegue un filone di ricerca iniziato dall’Università di Napoli, dove insegnava fino a poco tempo fa. “La sostenibilità ambientale aumenta i costi fissi, per i costi di investimenti, e riduce i costi variabili”, ha sintetizzato. Poi se il bilancio sia vantaggioso dal punto di vista economico dipende. Ricerche hanno dimostrato che hanno un vantaggio soprattutto le grandi aziende e che il vantaggio è tanto maggiore quanto l’approccio sostenibile dura nel tempo. Anche l’orientamento all’export favorisce il bilancio positivo tra investimenti e ritorni, perché il valore della sostenibilità è capito soprattutto dagli stranieri. “In base a una ricerca che abbiamo condotto nel 2013 negli Stati Uniti emerge che i consumatori sono disposti a riconoscere un premio di prezzo per la sostenibilità, ma a patto che non diminuisca il valore sensoriale”, ha precisato Pomarici.
“Rilevanti i risultati che si ottengono per favorire le vendite - ha sottolineato Confagricoltura - la presentazione sul mercato di vini che prestano particolare attenzione ai temi della sostenibilità consente di accrescere il loro valore agli occhi degli acquirenti, sempre più attenti a queste tematiche nelle loro scelte d’acquisto. In particolare, dalle indagini effettuate dal Dipartimento di Agraria dell’Università di Napoli emerge che i vini certificati sostenibili possono influenzare positivamente la percezione sensoriale e spuntare incrementi di quotazioni superiori al 20%. Comunicare questi risultati è importante e i sistemi di certificazione attuali, tra cui Viva e Tergeo, sono dei punti di riferimento”.
Viva è il progetto del Ministero dell’Ambiente, come ha ricordato Pieter Ravaglia: “il sistema prevede di misurare la sostenibilità attraverso quattro indicatori: aria, acqua, vigneto e territorio”. I risultati emersi con le sperimentazioni delle aziende pilota hanno mostrato per la carbon footprint, che l’impatto maggiore (tra il 45 e il 72%) viene dall’imballaggio, poi dalla distribuzione (dal 13 al 46%) e in misura minore (tra lo 0,2 e il 20%) dall’energia utilizzata per la produzione di vino e (tra lo 0,5 e il 18%) per quanto riguarda la coltivazione. Per quanto riguarda la water footprint, è emerso che i vigneti italiani vanno prevalentemente (76%) ad acqua verde (cioè quella piovana) e utilizzano poco l’acqua blu (potabile).
Poi c’è il progetto Tergeo dell’Unione Italiana Vini. “È nato quattro anni fa per divulgare tecnologie innovative e diffondere sistemi di sostenibilità in vigneto e in cantina”, ha ricordato Giovanni Rizzotti. Ad oggi hanno aderito 280 aziende e l’adesione è gratuita.
Le tre case history Antico Podere di Pomaio, Guido Berlucchi e Distilleria Bonollo rientrano tra le aziende pilota del progetto Viva. L’Antico Podere di Pomaio (Arezzo) ha realizzato la cantina in bioedilizia, utilizza bottiglie con meno vetro e tappi da foreste sostenibili. Arturo Ziliani, della storica cantina Guido Berlucchi, ha mostrato il rigore scientifico con il quale stanno vagliando la coltivazione della vigna in biologico, facendo una prova su cinque ettari. “Le uve del 2014, un’annata complicata, hanno fatto bene e hanno convinto nostri fornitori a passare al biologico”, ha detto. Oggi il 25% dei vigneti della Franciacorta sono bio. Maria Carla Bonollo, della Distilleria Bonollo, ha dimostrato quanto si possa ancora ricavare dai sottoprodotti della fase di vinificazione (fecce e vinacce) sia per la produzione di distillati, sia per nuovi prodotti destinati a diversi mercati, in un’ottica di economia circolare.
La sostenibilità economica ambientale e sociale della filiera vitivinicola è anche fortemente legata allo sviluppo del territorio, nel rispetto delle sue tradizioni e della sua cultura, come hanno raccontato e testimoniano, dall’Umbria alla Sicilia, le case history di due tra le cantine italiane più famosi, come Arnaldo Caprai e Planeta.
“Siamo impegnati - ha concluso Confagricoltura - a rilanciare ancor più le pratiche sostenibili presso le aziende associate e a dare visibilità ad esse attraverso il sistema di Ecocloud. Favoriamo i processi che vedranno le nostre aziende sempre più virtuose e attente a ambiente, sociale, territori e innovazione”.
Fausta Chiesa

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