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Fondazione Mach: scoperte le differenze tra i vitigni europei e quelli americani. Grazie alle analisi metaboliche queste differenze potranno generare incroci di successo. Lo studio pubblicato sul Journal of Agricoltural & Food Chemistry

Dagli incroci tra viti “americane” e vitigni europei, grazie a nuovi studi, potrebbero nascere nuovi incroci di successo per la vinificazione. Finora per viti “americane” s’intendeva quelle varietà usate come portainnesto (dopo il disastro della fillossera), cioè viti delle specie Vitis riparia, rupestris, berlandieri e labrusca, non adatte alla fruttificazione. La vite europea, invece, “vitis vinifera”, è quella che storicamente fruttifica le uve per tutti i vini del mondo o quasi. Ma le analisi metabolomiche ora sono diventate uno strumento molto utile per diminuire il rischio di insuccessi nei futuri programmi di “breeding” (allevamento selezionato) della vite ed i ricercatori della Fondazione Mach (www.fmach.it), in uno studio appena pubblicato sul “Journal of Agricoltural & Food Chemistry”, edito dall’American Chemical Society, hanno comparato alcune specie di vite americana con quelle europee ed hanno analizzato un migliaio di composti, dei quali alcune centinaia non ancora noti. Con in mano questi dati sono riusciti a evidenziare le differenze tra vitigni, mettendo a disposizione dei “breeders” informazioni preziose per ottenere incroci di successo.
È stata indagata la composizione delle uve rosse di quattro specie native americane, nel confronto con un gruppo di sette vitigni europei, contenenti sia varietà a bacca bianca sia rossa, e inoltre un ulteriore gruppo composto da tre vitigni ibridi interspecifici, mantenuti in condizioni agronomiche identiche nelle collezioni ampelografiche della Fondazione Mach.
Grazie alle analisi metabolomiche effettuate sulla buccia, sui semi e sulla polpa delle bacche mature, gli studiosi del Centro Ricerca e Innovazione sono riusciti a confrontare in profondità le caratteristiche compositive delle diverse specie. Con questa tecnica, infatti, è stato possibile studiare un numero di composti enormi in un’unica analisi, comparando anche le concentrazioni di quelli la cui presenza non era stata preventivata.
Questo nuovo approccio è stato messo a punto sotto il coordinamento di Fulvio Mattivi ed ha permesso di evidenziare che le viti americane sono quasi completamente sprovviste di procianidine oligomere, ossia i tannini delle uve e dei vini rossi, la cui presenza nelle bucce e nei semi è essenziale perché conferisce gusto e conservabilità. Questo può spiegare le difficoltà di produzione di vini rossi di qualità quando negli incroci si ricorre a specie provenienti dal Nuovo Continente.
I vitigni nativi del Nord America, inoltre, sono risultati essere privi di terpeni, un’importante classe di aromi. Al contrario, per la prima volta, nella buccia e nei semi di questo gruppo di vitigni americani è stata riscontrata la presenza di ben 14 composti della classe degli ellagitannini. Si tratta di una classe di composti la cui presenza potrebbe essere desiderabile: solitamente essi non sono presenti nelle bacche delle vite europea, mentre si trovano nei vini invecchiati estratti dalle botti di rovere.

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