02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024

I big del vino della Cina non si accontentano di crescere sotto la Muraglia, e guardano con attenzione ai gioielli enologici del Belpaese: i vertici di Cofco Greatwall Winery, ospiti di Guala Closures Group, a “caccia” tra Piemonte e Toscana

Italia
Il big del vino cinese di Cofco Greatwall Winery a caccia di aziende italiane tra Piemonte e Toscana

I big del vino della Cina, che si sta imponendo non solo come Paese consumatore, ma anche come produttore, grazie ad una pianificazione a dir poco ambiziosa veicolata da Pechino, non si accontentano di crescere sotto la Muraglia, e continuano a guardare con attenzione ai gioielli enologici di Francia ed Italia, dove la Cofco Greatwall Winery (100.000 dipendenti, 5 aziende vitivinicole, 140 milioni di bottiglie di vino e oltre 4 miliardi di euro di fatturato solo nel wine, www.cofco.com) ha deciso di venire a fare shopping. “Abbiamo già comprato aziende vinicole in Cile e a Bordeaux - spiega il director chief wine maker di Cofco, Li Zefu - ed ora vorremmo investire in Australia e in Italia”. A partire da Barolo, dove Li Zefu ed il technical manager Li Jin sono ospiti in questi giorni, accolti dai vertici di Guala Closures Group, azienda piemontese leader mondiale nel settore dei tappi a vite e della capsule in alluminio (14 miliardi di tappi all’anno, 495 milioni di euro di fatturato, 25 aziende nel mondo, 4.000 dipendenti, www.gualaclosures.com). Finita la “caccia” in Piemonte, insieme a due rappresentanti della Yunnan Rose Manor Winery (68 ettari di vigneti tra i 1.700 e i 3.000 metri d’altezza in un altipiano nel Sud della Cina), Jumin Wang e Ruiqi Zhang, si sposteranno in Toscana. Ma la visita allo stabilimento Guala di Spinetta Marengo, ad Alessandria, insieme al general manager dell’azienda Alessandro Bocchio, si è rivelata anche l’occasione per raccontare cosa vuol dire produrre vino in Cina.
“Noi cinesi amiamo di più i vini rossi - dice Li Zefu - ma in questo momento, in Cina, c’è il fenomeno sparkling wine: i consumatori hanno scoperto le bollicine. Per stare in Italia, dal Prosecco all’Asti spumante. Non a caso nella zona di Yantai, dove già vinifichiamo uno spumante dolce, abbiamo appena piantato 10.000 ettari di moscato”. Lo stile a cui s’ispirano i nuovi imprenditori vinicoli cinesi è, ovviamente, quello europeo: “la Francia, ma anche l’Italia. I francesi sono più bravi nel marketing, mantre gli italiani sono un po’ più confusionari, con tutte quelle differenze ... Dell’Italia ci interessano soprattutto le tecnologie molto avanzate dell’industria enologica”. Cabernet Sauvignon, Merlot, Cabernet Franc, Siraz, Chardonnay, Riesling sono i vitigni più diffusi in Cina, am esistono varietà locali, vitigni a bacca nera, dai nomi intraducibili, da cui si producono vini che “vendiamo quasi interamente in Cina, l’export rappresenta il 2% del fatturato ed è quasi tutto sul mercato di Singapore”.
E per quanto rguarda le chiusure, al centro della vsita della delegazione cinese in Piemonte? “Come da noi anche i cinesi sono legati all’idea qualità del vino uguale tappo in sughero - racconta Giorgio Vinciguerra, ceo di Guala Pechino - ci vuole un cambio di mentalità: ormai tutti i paesi emergenti, dal Cile all’Australia, alla Nuova Zelanda, utilizzano lo screw cap”. E non è solo questione di comodità, perché “in Cina c’è il grande problema della contraffazione - conclude Vinciguerra - una bottiglia vuota di vino francese sul mercato nero può valere ben oltre 20 euro. Le nostre capsule sono tutte anticontraffazione e quindi una garanzia in più per il consumatore e per l’azienda”.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Altri articoli