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Denominazioni, un patrimonio straordinario difeso solo in Europa e osteggiato dai Paesi anglo-sassoni. Necessario il riordino per proteggerle a livello internazionale. La spinta del Comitato Nazionale Vini

Italia
Le Denominazioni sono troppe: il Governo vuole riordino per protezione internazionale

Aggregarsi, perché non possono essere difese tutte all’estero. E’ la strada obbligata delle denominazioni italiane, un patrimonio straordinario che però soltanto in Europa gode di una protezione legale efficace. In estrema sintesi, ecco il senso del convegno “L’origine del vino: ambiente, cultura, diritto”, di ieri nel Padiglione Vino ad Expo2015, organizzato dal Comitato Scientifico. Nonostante l’impegno a difenderle da parte di Roma e anche di Bruxelles, nel mondo sono un concetto che appartiene al Sud Europa, e anche se stanno conquistando altre culture come quella giapponese, i Paesi anglosassoni sono restii a riconoscerle. Lì predomina il marchio commerciale e l’unico modo per difendere le denominazioni è inserirle in trattati bilaterali. La legge tutela le denominazioni soltanto nell’Unione europea. Ma ci sono pochi altri strumenti legislativi a livello internazionale a protezione della nostra cultura vitivinicola e agro-alimentare in generale. Il discorso si complica ulteriormente nel commercio su Internet. E’ necessario - e se non arriverà spontaneamente dal basso lo farà il Governo dall’alto - un loro riordino. Sopravviveranno e prospereranno quelle denominazioni che si sono fatte un nome anche all’estero, mentre quelle più piccole e marginali o si aggregheranno o saranno destinate a scomparire.
Due culture a confronto
Qual è la realtà delle denominazioni a livello internazionale? “Le denominazioni di origine e le indicazioni geografiche rappresentano una tendenza mondiale, che va al di là dell’Italia e dell’Unione Europea, come dimostra il successo commerciale (e i fenomeni di contraffazione che ne conseguono) di prodotti come Napa Valley Wine o del Café de Colombia”, ha detto Massimo Vittori, direttore generale della Ong di Ginevra OriGIn. Il Giappone ha registrato la Indicazione Geografica Yamanashi. Ma se c’è un’evoluzione e una tendenza in alcune parti del mondo, la cultura predominante è un’altra. “Le denominazioni sono concetto del Sud Europa, nei Paesi anglosassoni non esistono. Conoscono - ha spiegato il presidente di FederDoc, Riccardo Ricci Curbastro - solo il trademark. Già nel 2006 ci fu una lista di 100 denominazioni che non fu applicata. Gli americani non ne hanno interesse. La loro logica è business is business”. E’ d’accordo anche Daniele Cernilli, direttore di Doctor Wine: “le denominazioni sono viste obtorto collo da un’ampia fascia di Paesi. C’è una diversa visione del mondo: chi cerca di difendere le specificità locali e artigianali e chi pensa al processo produttivo e al brand, come nei Paesi anglo-sassoni. La Cina è ancora più indietro perché non rispetta i copyright, figuriamoci le denominazioni. Le denominazioni potrebbero fare breccia solo in fascia alta, non nel mass market”. Dalla difficoltà culturale a far accettare le denominazioni, si passa alla difficoltà di farle accettare con impegni vincolanti sul piano legale. Che cosa fare per proteggerle?
I trattati bilaterali
Il professor Eugenio Pomarici, docente all’Università di Padova (e, fino a tre settimane fa, a capo della Commissione Diritto Economia dell’Office International de la Vigne e du Vin), ha ricordato le tappe internazionali dei trattati multilaterali di protezione delle denominazioni. Ma, ad oggi, che cosa abbiamo? Un Trattato di Lisbona (a cui si sta cercando di ridare vigore) a cui aderiscono solo 28 Paesi e che prevede una procedura di opposizione e il Trips (Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights), il cui registro non è ancora attivo. “E’ stato fatto molto a livello europeo, ma a livello mondiale resta ancora da fare . Da questa impasse, si sta tentando di risolvere - ha detto Massimo Vittori, direttore generale della Ong di Ginevra OriGIn - il problema della protezione internazionale all’interno di accordi bilaterali ed è per questo che l’Unione europea ha iniziato una politica di trattati bilaterali, che assicurano un approccio più efficace”. Attualmente, Bruxelles sta trattando con il Vietnam e con gli altri Paesi dell’Asean e con gli Stati Uniti, per il gigantesco accordo sul libero scambio identificato con l’acronimo Ttip. Le negoziazioni avvengono con l’Unione europea e gli interessi in campo sono tantissimi. “Nei negoziati nell’ambito di un trattato bilaterale come il Ttip - ha spiegato Ricci Curbastro - si tratta su una serie di prodotti: per esempio, l’acciaio, il gas naturale, il petrolio. E’ evidente che il vino non potrà avere molto spazio di azione. La Federdoc è, da sempre, impegnata nella tutela del patrimonio vitivinicolo a Denominazioni d’Origine d’Italia e per noi la loro protezione è strategica. Ma le 523 denominazioni sono una follia tipicamente italiana. Le 73 docg, 332 doc e 118 Igt sono una grande ricchezza in termini di diversità, ma rappresentano una difficoltà quando si tenta di applicare o di far passare la loro protezione a livello internazionale”.
Internet, un mondo a parte
Poi, c’è il mondo - tutto a parte - di Internet. Le problematiche della protezione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche sono approdate anche qui. “Il Governo, con il Ministro delle Politiche Agricole, Maurizio Martina - ha firmato un protocollo di intesa con Ebay per introdurre dei sistemi di controllo e di alert nel commercio elettronico, impedendo così la circolazione di prodotti contraffatti che traggono in inganno i consumatori e creano un danno economico e di immagine alle nostre Denominazioni”, ha detto Vittori. L’accordo permette il ritiro immediato su semplice segnalazione che parte dai Consorzi di prodotti contraffatti e vale a livello transnazionale. “Internet è più avanti delle regole fissate dai Governi”, ha commentato Ricci Curbastro. Ora tutta l’attenzione è sulla recente vicenda dei domini generici di primo livello “.wine” e “vin” accordati dalla “Internet Corporation for Assigned Names and Numbers (Icann). Chi potrà registrare “chianti.wine?” “Abbiamo fatto un’azione - ha detto Ricci Curbastro - molto forte, minacciando il sabotaggio. Alla fine abbiamo raggiunto un accordo commerciale riservato. Le clausole non possono ancora essere divulgate”.
Il riodino del Registro
Ma, anche qui, è evidente che non potranno essere protette oltre 500 denominazioni. Le conclusioni le ha tratte Paolo Castelletti, segretario generale di Unione Italiana Vini (Uiv). “Dobbiamo partire dai dati. Soltanto 82 denominazioni rappresentano l’83% di della produzione a denominazione. C’è un affollamento. Si deve riordinare il sistema delle denominazioni, di quella infinità di denominazioni che non trovano il consenso e il pubblico. Bisogna tenere conto della rinomanza, della reputazione. E’ necessaria una ripulitura dei registri. O lo faranno le denominazioni da sole o abbiamo previsto un principio che metterà la Pubblica Aministrazione nella posizione di poterlo fare. Si sta facendo un ragionamento di accorpamento dentro denominazioni più grandi, creando consorzi multi-denominazione”. “Gli aspetti comunicativi e legali sono temi - ha concluso presidente del Comitato Scientifico e di Assoenologi, Riccardo Cotarella - di estrema attualità e i produttori dovrebbero conoscerli bene. Ecco perché dobbiamo metterci d’accordo per il Testo Unico del Vino”.
Fausta Chiesa

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