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“La scienza non va vista come “impresa empia e luciferina”: è a servizio della viticoltura, e grazie al progresso si può pensare ad una produzione di vino più sostenibile e sicura”. Il messaggio del Forum “Vino & Scienza” in “Padiglione Vino” di Expo

Italia
La scienza è il futuro del vino

La ricerca scientifica ed il progresso della conoscenza sono fondamentali per lo sviluppo dell’umanità. Ed il mondo del vino non fa eccezione. Ed è per questo che è necessario superare l’illogica ed irrazionale paura quando si parla di scienza nel mondo di Bacco, dove spesso, anche nella comunicazione, viene trattata come “impresa empia e luciferina”, mentre in realtà è alla base della sostenibilità, della sicurezza alimentare, della tutela dei territori e così via. Ecco, in estrema sintesi, il messaggio emerso dal Forum “Vino & Scienza” nel “Padiglione Vino” di Expo 2015, curato da Vinitaly, in cui si sono confrontati sul tema alcuni dei massimi esperti in materia. A partire da Attilio Scienza, docente dell’Università di Milano: “in viticoltura per le forti componenti simboliche portate dal vino, è ancora lontana la percezione che l’innovazione genetica attraverso la creazione di nuove varietà ed in misura minore, di nuovi portinnesti, possa essere il passo risolutivo verso una viticoltura totalmente sostenibile”. Difficile, oggi, far passare questo messaggio, visto il “modo criminalistico con cui nella comunicazione del vino la scienza viene spesso trattata”. dice il professore. Eppure, ricorda, “è verosimile che nei prossimi anni avremo a disposizione i risultati dei programmi di miglioramento genetico delle resistenze che molti Paesi europei, tra cui l’Italia, attualmente il Paese leader, stanno sviluppando: l’impatto sulla produzione e sul consumatore sarà paragonabile a quello che è avvenuto 150 anni fa con l’arrivo della fillossera. Ci aspetta una vera innovazione culturale sulla quale possiamo riflettere senza pregiudizi per trovare una risposta convincente a tutti i dubbi che ci poniamo quotidianamente e spesso risolti dalla ricerca. L’Italia è in preda ad un incantesimo ideologico che esalta il passato dal quale siamo fortunatamente usciti grazie alla sofferenza ed al lavoro delle generazioni che ci hanno preceduto. Si vuol far credere che si possa costruire una prospettiva economica alla nostra viticoltura sulla nostalgia e sull’esoterismo. La ricchezza di un Paese ed il suo benessere dipendono da molte circostanze ma due sono imprescindibili: la libertà individuale e lo sviluppo scientifico. Investire nella scienza e scommettere sull’innovazione implicano la volontà di pensare per il futuro, ed il futuro è la viticoltura integrata, dove gli aspetti cruciali della sostenibilità (il mantenimento della biodiversità tellurica, la riduzione della chimica nella lotta ai parassiti, le applicazioni della viticoltura di precisione, il miglioramento genetico per le resistenze) sono affrontati”.
Non si tratta di ragionamenti filosofici fini a se stessi, ma di pensieri ed anche investimenti che poi si traducono in realtà di successo. Come racconta la storia dei “portinnesti M”, nuovi portinnesti resistenti, realizzati con incroci ed ibridazioni non invasive o “ogm”: “600 talee di sono partite nelle scorse settimane dagli impianti della Vivai Cooperativi Rauscedo alla volta delle Università di Bordeaux e Rioja che hanno chiesto di poterli innestare con i principali vitigni delle due grandi regioni viticole europee, per avviare una nuova fase di studio e sperimentazione sui loro territori”. A dare la notizia dell’importante riconoscimento internazionale, conquistato dallo studio avviato negli anni 80 all’Università di Milano, sono stati lo stesso Attilio Scienza e Marcello Lunelli, presidente di Winegraft srl, la start-up promossa da nove primarie aziende vitivinicole di diverse regioni italiane (Ferrari, Zonin, Banfi Società Agricola, Armani Albino, Cantina Due Palme, Claudio Quarta Vignaiolo, Bertani Domains, Nettuno Castellare, Cantine Settesoli insieme a Fondazione di Venezia e Bioverde Trentino) per supportare anche finanziariamente lo sviluppo della ricerca.
“L’interesse che i nuovi 4 portinnesti della serie M hanno suscitato nelle università di Bordeaux e Rioja - ha sottolineato Scienza - conferma la validità di un progetto di studio che è tornato ad occuparsi delle “radici” della vite dopo oltre un secolo di disinteresse da parte della scienza e del mondo produttivo”. Tempranillo, in Spagna, Cabernet e Merlot in Francia saranno i vitigni che troveranno dimora nei vigneti sperimentali di prossimo impianto in autunno con la nuova generazione di portinnesti, destinati a sostituire quelli attualmente utilizzati “che stanno mostrando - continua Scienza - forti limiti alle pressioni del cambiamento climatico, oltre a dare segni di deperimento veloce. Mentre l’M1 e l’M3, per lo loro basse rese, si presentano come ottime alternative per una viticoltura di qualità in stile bordolese, così come l’eccellente capacità di resistenza alla siccità farà dell’M4 una risorsa preziosa per i vigneti del Rioja”.
L’interesse mostrato da questi centri internazionali di eccellenza nella ricerca viticola “costituisce un doppio riconoscimento di cui dobbiamo andare fieri - ha commentato Marcello Lunelli, presidente Winegraft - perché premia sia i risultati della ricerca dell’Università di Milano sia il modello virtuoso di collegamento università-impresa interpretato da Winegraft grazie al quale i prodotti della ricerca sono diventati accessibili ai produttori e disponibili sul mercato nel giro di poco tempo. Una cosa è produrre un portinnesto e lasciarlo nelle collezioni dell’Università, ma tutta un’altra storia è produrlo e renderlo disponibile per le imprese”.
Quello di “Portiinnesti M”, inoltre, è solo una delle concretizzazioni di successo di un movimento che lavora, lontano dalla luce dei riflettori, nella ricerca, come spiega Eugenio Sartori, alla guida dei Vivai Cooperativi Rauscendo: “nella ricerca abbiamo sempre creduto, e oggi, che la qualità morfologica, genetica e sanitaria delle produzioni vivaistiche ha raggiunto standard qualitativi difficilmente migliorabili, l’obiettivo si è spostato nell’ottenimento di nuovi vitigni resistenti alle malattie, in considerazione del fatto che la viticoltura è l’attività agricola più impattante sull’ambiente a livello mondiale ed europeo. In Europa si impiegano in viticoltura il 65% di tutti i pesticidi utilizzati per tutte le colture agricole in un anno, poiché la viticoltura mondiale per la produzione di uva da vino e da tavola è vincolata all’utilizzo di varietà di Vitis Vinifera sensibili a malattie come la peronospora e l’oidio. Per ridurre al minimo gli effetti di queste malattie sulla produzione si utilizzano ingenti quantità di prodotti fitosanitari che rappresentano una voce di costo notevole nella conduzione del vigneto ed hanno un forte impatto ambientale. In Italia l’Università di Udine fin dal 1998 ha dato corso ad un vasto programma di incrocio e selezione di viti resistenti alle malattie di nuova generazione, ovvero viti che presentano regioni del genoma introgresse dalle specie selvatiche donatrici della resistenza in misura del 10%, mentre il restante 90% è rappresentato da Vitis Vinifera. Si sono ottenuti 30 nuovi vitigni, di cui una decina sono oggetto di iscrizione al Catalogo Nazionale delle varietà per le loro pregevoli caratteristiche agronomiche ed enologiche. L’utilizzo di questi nuovi vitigni resistenti alle malattie permetterà di ridurre l’utilizzo di antiparassitari e di conseguire un significativo risparmio energetico ed economico, migliorando quindi in modo consistente l’impatto ambientale e garantendo produzioni più salubri per il consumatore finale”.
Per quello che cerca di fare la ricerca applicata alla viticoltura, in sostanza, è rispondere in maniera virtuosa ai cambiamenti che stanno avvenendo, come del resto è sempre successo, ha ricordato Michele Borgo, Michele Borgo, ex Direttore Crea Viticoltura: “nella millenaria storia della vite i rapporti tra ospite e parassiti si sono progressivamente inclinati. L’azione antropica per contrastare le più insidiose epidemie parassitarie solo in parte è riuscita a mitigare i danni di alcuni patogeni grazie all’uso della chimica e, secondariamente, alle tecniche colturali e al miglioramento genetico della vite. Le potenzialità genetiche di difesa della Vitis vinifera non sono sufficienti a contenere le infezioni e le epidemie di importanti malattie, quali peronospora ed oidio. Clima, suolo, agenti patogeni e suscettibilità di fanno sì che le epidemie si esprimono con diversa virulenza in un sito piuttosto che in un altro, in un continuo rincorrersi tra malattie dominanti, malattie secondarie e interventi di lotta. Studi e ricerche condotti sui patogeni di maggiore importanza pratica hanno consentito di appurare che le popolazioni di microrganismi e di parassiti si modificano in continuazione. Quindi, il progresso non deve essere rifiutato; ogni sforzo finalizzato alla sostenibilità ed a ridurre la dipendenza dagli agrofarmaci va colto con favore e va incentivato. Viti più tolleranti alle malattie sono utili per fare meno trattamenti ma, stanti gli assetti della moderna viticoltura, non sarà possibile raggiungere il traguardo di zero trattamenti. Anzi, considerati i potenziali rischi della introduzione di nuovi patogeni e della diffusione di nuove epidemie, deve essere potenziata la vigilanza fitosanitaria e servono efficienti misure di prevenzione e di controllo, onde evitare nuove occasioni di dipendenza dagli agrofarmaci”.

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