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Vino, ricchezza “diffusa” dell’Italia. Prima voce dell’export in 4 Province, tra le prime 10 in altre 13 e in ben 7 Regioni. A WineNews l’analisi di Marco Fortis, direttore Fondazione Edison e docente di Economia dell’Università Cattolica di Milano

Si dice spesso che il vino è la punta di diamante dell’agroalimentare made in Italy. Un “mantra” che si traduce in fatti concreti: non solo è la voce con il maggior attivo nella bilancia commerciale, con un surplus di 5 miliardi di dollari nel 2014 per i soli vini in bottiglia (dietro alla sola Francia, nel mondo, con 5,9 miliardi di dollari) e di 1 miliardo per gli spumanti (la Francia ci precede ancora, con 3,4). La caratteristica principale, è che quella del vino rappresenta una ricchezza “diffusa” nel territorio nazionale, come spiega a WineNews Marco Fortis, direttore Fondazione Edison (www.fondazioneedison.it) e docente di Economia dell’Università Cattolica di Milano.
La conferma si trova nei numeri del 2014, elaborati dalla Fondazione Edison: “vini e bevande” sono la prima voce assoluta dell’export di 4 Province italiane, Cuneo (818,7 milioni di euro), Trento (376,7), Asti (270,4) e Siena (238 milioni di euro), e tra le prime 10 voci in altre 13 Province (spicca Verona con 882 milioni di euro, dove il vino è secondo solo alla meccanica, Treviso, dove “vino e bevande” sono in posizione n. 7 dietro a mobili, macchinari, calzature e abbigliamento, con 464 milioni di euro, e poi, ancora, Firenze e Venezia, intorno ai 270 milioni di euro, e via via, Alessandria, Bolzano, Ravenna, Chieti, Livorno, Arezzo, Aosta, Trapani e Palermo) che vanno dalla Val d’Aosta alla Sicilia. E anche guardando i dati Regionali, il vino è tra le prime voci dell’Export in ben 7 Regioni, a partire dal Veneto (1,87 miliardi di euro) e dal Piemonte (1,46 miliardi), passando per Toscana (785 milioni di euro), Trentino Alto Adige (530 milioni di euro), Sicilia (107,7), Valle d’Aosta (40,8) e Sardegna (27,3).
“Un panorama diffuso ben diverso da quello di altri settori della nostra economia, in cui “ci sono Regioni che eccellono e poi quasi niente nel resto del Paese”, commenta Fortis, che aggiunge: “il vino è veramente, forse assieme all’olio di oliva e al pomodoro e sui derivati e la pasta, uno dei 4 grandi cavalieri del nostro made in Italy agroalimentare, ed uno degli aspetti più significativi è la varietà della filiera che mette in moto, che va dalla produzione agricole al commercio, alla valorizzazione della cultura, dei paesaggi e dei prodotti tipici dei territori con un impatto sull’economia nazionale che va oltre ben oltre i numeri diretti degli addetti, delle aziende, delle produzioni e dell’export di vino”.
Una diffusione ed una complessità, quella della filiera produttiva del vino italiano, che si riflette anche nella struttura del tessuto produttivo, fatto in grandissima parte da piccole e medie imprese, come del resto lo è tutto il manifatturiero italiano.
“Ma una delle ragioni del miglioramento qualitativo degli ultimi anni, che ha rilanciato le prospettive del vino italiano, è stato proprio anche l’impegno con cui tante Pmi si sono catapultate nel settore, hanno sviluppato nuove linee di produzione, marchi interessanti, anche a livello collezionistico, e per acquirenti nuovi che si sono affacciati sui mercati negli ultimi 10 anni, come i collezionisti del Nord Europa che hanno preso d’assalto zone come le Langhe, la Toscana, il Veneto o il Friuli Venezia Giulia, per fare degli esempi. Certamente - aggiunge Fortis - ci sono mercati relativamente nuovi, come quello della Cina, che richiedono forse una strategia di avvicinamento più coordinata e strutturata da parte del settore, ma bisogna anche dire che il ruolo avuto dalle Pmi in questi anni è stato fondamentale. Tra l’altro, molte imprese emergenti, anche tra le piccole e le medie aziende del vino, hanno seguito un profilo di crescita organico, valorizzando anche il turismo, la cultura delle zone vitivinicole italiane. Basta guardare i siti di queste imprese: difficile trovare in altri settori uno sforzo tanto encomiabile sulla valorizzazione delle tecniche colturali, delle tradizioni locali, dei prodotti gastronomici e del territorio. Insomma non solo il “gigantismo” delle imprese può portare al successo. E poi i numeri che abbiamo li stiamo facendo con questa struttura imprenditoriale, e non sono numeri da poco”.

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