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Vino & cucina, Vizzari a WineNews: “ristoratori e clienti sono consapevoli della qualità dei vini, ma consumi scendono”. Cotarella: “altri Paesi compensano, ma vanno acculturati”. Marchi: “il problema? Gli stranieri non conoscono la nostra geografia”

Italia
Ad Expo per parlare del rapporto tra vino e ristorazione in Italia e nel mondo

Per capire come va, oggi, il rapporto tra cibo e vino, partiamo da un breve excursus storico sulla ristorazione italiana di qualità: “i primi nuclei risalgono al Dopoguerra, negli anni ’50-’60, con locali come Cantarelli e Guido Alciati. Dopo il San Domenico a Imola e Paracucchi, a fine anni ’70 arriva Marchesi, e la svolta si ha con la sua affermazione. Nella cucina italiana c’è un pre e un post Marchesi, che ha portato in Italia l’esempio della nouvelle cuisine francese. Sono anni in cui nasce Pinchiorri e si affermano ristoranti come Il Pescatore, e matura una diversa consapevolezza del vino, con la comparsa delle carte e del sommelier. Nel 2000 i ristoranti italiani di qualità sono un corpus importante, e non si può ambire ad un riconoscimento senza una cantina adeguata, non sconfinata, ma pertinente alla proposta gastronomica. Crescono la qualità dei vini (si affermano certe denominazioni), la cultura del ristoratore e del cuoco e la curiosità/competenza del cliente: la sfida è tenerle insieme”. Dall’excursus, tracciato a WineNews da Enzo Vizzari, al paradosso secondo lo stesso direttore delle Guide de “L’Espresso”: “il problema è che il consumo di vino in Italia continua a diminuire: su questo bisogna riflettere”. Prima contava la quantità, “oggi si gusta per apprezzare meglio tutto. È vero che è diminuito il consumo di vino, ma siamo ancora a 40 litri pro capite, tra i più alti al mondo. Per fortuna c’è chi compensa. Ci sono Paesi che non consumavano vino, che cominciano a berlo. Ma sta a noi acculturarli ed appassionarli: spiegare il vino da dove viene, il vitigno, la stagione, le proprietà, l’enologo, attrarre cioè l’attenzione del consumatore affinché possa gioire prima ancora con la mente che con i sensi”, dice a WineNews l’enologo Riccardo Cotarella, alla guida del Comitato Scientifico del Padiglione Vino a Expo, che ha dedicato il primo incontro in calendario all’Esposizione Universale proprio al legame vino-cucina (il 23 maggio, nell’opening day). Dall’incontro “Il vino nella tradizione gastronomica italiana” all’Expo 2015 a Milano è emerso che la cucina italiana è famosa in tutto il mondo, ma deve fare più sistema, perché i personaggi da soli non bastano, che il vino deve svecchiarsi, ricercare un rapporto più stretto con le cucine di territorio e che al ristorante l’integrazione piatti-vini è sempre più vincente e il sommelier la professionalità più importante perché ne determina la redditività.
In Italia, sottolinea a WineNews il tristellato Antonio Santini del “Dal Pescatore” a Canneto sull’Oglio, “il vino lo conosciamo, lo beviamo, lo apprezziamo. Sappiamo distinguere le varie provenienze e storie. E credo che pensare di non bere per paura dell’etilometro, è sbagliato. Il vino bevuto con logica ed intelligenza, non può fare male. Il vino al ristorante è importante, quasi quanto il cibo. Bisogna solo abituarci a berlo anche a casa e quindi berlo quotidianamente, non solo quando abbiamo dei buoni vini. Certo al ristornate si sta bevendo meno. E questa è un’abitudine che si sta affermando”. Allo stesso tempo, dice a WineNews, Niko Romito del “Ristorante Reale” a Castel di Sangro, “cresce sempre di più nell’alta ristorazione, nei luoghi dove c’è una grande ricerca sul piatto, l’abbinamento del vino alla portata. Il 90% delle persone che scelgono il menu degustazione, segue il percorso al calice, e i piatti dei cuochi sono talmente tanto diversi tra loro, che è impossibile accompagnarli con la stessa bottiglia di vino: è un modo intelligente per far conoscere i vini e per far girare la carta. Il consumatore vuole conoscere la storia che c’è dietro ad un vino. Anche se le informazioni si possono trovare sul web, quando un sommelier racconta un vino è tutta un’altra sensazione. Il ruolo del sommelier diventa così centrale anche al ristorante. Anche per gli abbinamenti. La formula buon rapporto “qualità/prezzo” si sente sempre meno. Perché un vino buono, con un gran lavoro alle spalle, va pagato il prezzo che vale”.
Ma, soprattutto, dall’incontro è emerso quello che, all’estero in particolare, è il problema n. 1, ribadito a WineNews dall’ideatore di Identità Golose Paolo Marchi: “gli stranieri non conoscono geograficamente l’Italia. Mentre la Francia è partita nettamente in anticipo rispetto a noi, e nessuno metterebbe Bordeaux al posto di Reims, quando parli dell’Italia devi spiegare tutto con minuziosità di particolari. La differenza tra uno Chardonnay nostro, cileno, australiano e americano è poco caratterizzante, ma la richiesta di vini autoctoni è fortissima. E torniamo al punto di prima: le nostre istituzioni dovrebbero insegnare meglio la nostra geografia all’estero”. Perché non è sempre un problema di “chi non sa”, quanto anche di “chi spiega”.
Eppure non esiste, forse, un altro prodotto territorialmente trasversale come il vino, l’unico che può rappresentare tutta l’Italia. “Con i nostri 544 vitigni siamo la vera patria della biodiversità anche a livello vitivinicolo - ha ricordato il Ministro delle Politiche Agricole, Maurizio Martina - un settore che vale 14 miliardi di euro e che assicura un flusso esportativo di oltre 5 milioni di euro. Il vino rappresenta la metafora perfetta della capacità italiana di reagire alla crisi e di vincere la sfida globale. Se pensiamo al percorso fatto dagli anni ‘80 ad oggi capiamo appieno la potenza dell’esperienza vitivinicola italiana e una conferma viene proprio visitando “Vino-A taste of Italy””, primo Padiglione dedicato al vino nella storia delle Esposizioni Universali, “che racconta storia, tradizione, innovazione di questo mondo”. Nel quale, insomma, c’è, secondo Martina, “tutta la forza del vino, il legame tra saper fare e bellezza dei paesaggi viticoli, tra innovazione e sguardo al futuro”. E poi c’è la cucina.

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