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Cibo e arte sono il vero “unicum” dell’Italia: “è quello che credo da sempre e che Oscar Farinetti ha capito”. Così a WineNews Vittorio Sgarbi, che ha portato ed esposto a Expo per Eataly 350 opere d’arte italiana. Farinetti: “un dono agli italiani”

Italia
Oscar Farinetti e Vittorio Sgarbi ciceroni della mostra sui capolavori artistici italiani divisi per Regione nei padiglioni di Eataly ad Expo

Raccontare l’Italia, attraverso le sue “grandi bellezze”, il cibo da un lato e l’arte dall’altro, che insieme rappresentano il nostro vero “unicum”. “È quello che credo da sempre e che Farinetti ha capito e colto: al buono che lui ha selezionato nel suo percorso dei luoghi d’Italia, si affianca il bello, che è più alto a livello intellettuale, ma possono convivere benissimo. Qui c’è il buono ed il bello, che mostrano la tipicità del cibo, ma anche delle scuole d’arte”. Questo è quello in cui crede Vittorio Sgarbi, come ha detto a WineNews. E questo è proprio ciò che il celebre critico italiano ha fatto per un “committente” d’eccezione: il patron di Eataly Oscar Farinetti, che per raccontare la biodiversità italiana all’Expo 2015 a Milano, accanto al cibo, ha promosso la mostra “Il Tesoro d’Italia” per la quale il curatore Vittorio Sgarbi è riuscito a portare all’Esposizione qualcosa come 350 opere d’arte dal ’300 al ’900 (200 già esposte, altre 100 circa arriveranno), selezionandole da tutte le Regioni italiane, dai più grandi artisti a quelli meno noti che si occupa di riscoprire. Insieme, il “duo” Sgarbi-Farinetti ha tagliato oggi il nastro e fatto da guida alla mostra, con Giuseppe Sala, Commissario unico Expo della quale “questa è la Pinacoteca di Brera, il
suo Louvre” ha detto Sgarbi, definendola “un’importante iniziativa della cultura italiana”. Farinetti parla a WineNews di “un dono agli italiani, una mostra mai vista in Italia, sia per la somma dei capolavori, sia per questa la novità di esporli per Regioni, cioè attraverso la biodiversità”. Il suo modo per dare un contributo all’Expo - per vedere tutti i capolavori nei loro luoghi originari non basterebbero due anni, secondo Sgarbi - dove, dice, “i contenuti ci sono, forse devono essere comunicati e raccontati meglio”.

“In qualunque città - ha aggiunto Sgarbi a WineNews a proposito di Expo - e questa è una città, ci deve essere un museo”, rappresentato dalla mostra curata per Eataly, progetto “lodato da Carlo Petrini, come esempio di democrazia civile attraverso tutta l’arte che verrà esposta nei padiglioni di Farinetti. Qui è un museo concentratissimo con tutte le Scuole d’Italia divise per Regioni con capolavori anche poco conosciuti, e che rappresentano la qualità dell’arte italiana, a partire dall’“Albero della Vita” (raro reliquiario trecentesco, per l’altezza di circa 2 metri, di Ugolino da Vieri e Gabriello D’Antonio, dal Museo Civico di Lucignano in Toscana, ndr)”.La mostra è ispirata alla serie dei volumi del critico “Il tesoro d’Italia”, una vera e propria storia e geografia dell’arte italiana dalle origini ad oggi, e presenta una ricca selezione di opere, tra pitture e sculture - potenzialmente visibili da 10.000 persone al giorno, tante quanti i visitatori stimati per il padiglione di Eataly all’Expo - per “far emergere - spiega Sgarbi - lo spirito dei luoghi e il gusto espresso nelle forme. Anche ad occhi inesperti apparirà evidente la diversità di un piemontese da un lombardo, di un veneto da un toscano, di un marchigiano da un pugliese, e mai come in questa occasione il confronto apparirà tanto evidente da far riconoscere ogni differenza in un coro che restituisce l’immagine dell’Italia”. Dalla biodiversità dell’arte, a quella dei paesaggi che Eataly racconta a Expo con l’Università di Pollenzo di Slow Food, accanto a quella umana con la Scuola Holden di Alessandro Baricco.
Ancora di dono parla Farinetti a proposito di Etaly. “La mia idea era di fare un dono all’Italia e agli italiani, perché se non c’era questa biodiversità incredibile - spiega a WineNews - se non c’erano gli italiani prima di me che hanno fatto questo Paese straordinario, Eataly non poteva andare nel mondo e avere il successo che sta avendo. Martedì scorso abbiamo aperto a San Paolo del Brasile e siamo già invasi dai brasiliani. È l’Eataly n. 29, numero destinato ad aumentare tra breve con le nuove aperture indicate da Farinetti: “20 agosto Seoul confermato, tra settembre e dicembre Monaco di Baviera e Mosca, nei primi due mesi del 2016 il secondo Eataly a New York, slittato per ritardi delle costruzioni, che non sono solo italiani”.
“No”, è invece la risposta di Sgarbi a proposito di altri progetti con Farinetti: “stiamo lavorando con Roberto Maroni per altre iniziative nella Regione Lombardia e a Milano coordinate con Expo, che è molto difficile, perché chi viene qui va all’Esposizione, e anche le altre mostre fatte per esempio alla Triennale non hanno avuto il successo sperato”.

Focus - “Il Tesoro d’Italia”, la mostra-capolavoro curata da Vittorio Sgarbi per Eataly all’Expo 2015 Milano (fino al 31 ottobre)
Nello spazio espositivo museale del padiglione Eataly è presentata una ricca selezione di opere d’arte dal Trecento al secolo scorso provenienti da chiese, musei, istituzioni e importanti collezioni private. I capolavori scelti sono articolati in sezioni regionali e compongono quello che riconosciamo come “Il Tesoro d’Italia”. L’ambizione della mostra è quella di segmentare una materia vasta e complessa come la “geografia artistica italiana” in episodi coerenti tali da far emergere le peculiarità della produzione artistica di ogni Regione italiana. La mostra è stata concepita avendo come punto di riferimento il metodo indicato nel secolo scorso dallo storico dell’arte Roberto Longhi, nato, come Oscar Farinetti, ad Alba. Da quella città partono due rivoluzioni nella considerazione di un grande patrimonio di tradizioni e produzioni variamente rappresentate. Quello che oggi Farinetti chiama la “biodiversità dei prodotti italiani”, Roberto Longhi lo articolava nello studio della storia dell’arte come geografia e storia dell’arte italiana. Si è così inteso documentare dalla Valle d’Aosta alla Sicilia la varietà genetica di alcuni grandi capolavori concepiti da intelligenze, stati d’animo, emozioni che indicano la natura dei luoghi, le terre, le acque, i venti che li hanno generati.
Roberto Longhi iniziò la sua nuova lettura, senza gerarchie e primati, dell’arte emiliana, in quell’area da lui definita Padanìa, riconoscendo i caratteri distintivi della “Officina ferrarese”, e dei “momenti della pittura bolognese”, nel 1934. S’iniziò così a cancellare ogni pregiudizio sul prevalere dell’arte toscana, su cui si era costruita la storiografia a partire da Giorgio Vasari, e a riconoscere in ogni regione caratteristiche proprie e originali. Questo criterio ispira, oggi, la scelta di opere d’arte, pitture, sculture e oggetti nelle diverse regioni d’Italia. E apparirà, con grande chiarezza, lo spirito dei luoghi e il gusto espresso nelle forme. Anche ad occhi inesperti sarà facile avvertire la diversità di un piemontese da un lombardo, di un veneto da un toscano, di un marchigiano da un pugliese; e mai, come in questa occasione, il confronto apparirà tanto evidente da far riconoscere ogni differenza in un coro che restituisce l’immagine dell’Italia. Un mosaico da cui esce una unità costruita sulla varietà, perché l’Italia è una e divisibile, e così si mostra in una esposizione senza precedenti.
D’altra parte, l’idea dell’Italia nella sua unità geografica e politica si forma ben prima del Risorgimento, attraverso due motori unificanti: la lingua e lo stile italiano. Dove c’è una lingua c’è uno Stato. L’italiano, il “volgare”, si definisce a partire dal XII secolo, e si configura come lingua nella letteratura e nei testi dei poeti siciliani prima, nella civiltà letteraria generata alla corte di Federico II; con i poeti dello Stilnovo, in Toscana, e infine con Dante, Petrarca e Boccaccio. Nel Rinascimento, sui testi degli ultimi due, si stabilisce quella lingua letteraria codificata da Pietro Bembo nelle “Prose della volgar lingua” del 1525. Per il veneto Bembo, la poesia di Petrarca e la prosa di Boccaccio, entrambi toscani, sono i modelli per la scrittura di opere letterarie italiane. Nel 1520, cinque anni prima, era morto Raffaello. E il Rinascimento aveva trovato il coronamento nella sua opera. Nel Cinquecento, dunque, si definisce un’idea dell’Italia oltre le divisioni territoriali e i dialetti locali, in una unità che vede protagonisti, con i primi grandi scrittori, gli artisti, da Giotto a Michelangelo, pittori e scultori che parlano italiano. E il Rinascimento delimita un’Italia unita prima del Risorgimento. Piero della Francesca e Raffaello sono i Mazzini e i Garibaldi del Risorgimento artistico; Michelangelo ne è il Cavour. Ma in questo processo ciò che unisce nella visione non cancella le differenze che si manifestano nelle diverse interpretazioni. E, dopo il lungo processo di unificazione, che vede il primato, come modello di riferimento, della lingua e dell’arte toscana, iniziano le ricerche che identificano i caratteri distinti delle diverse aree geografiche sul piano formale ed espressivo. Così nasce, ad esempio, la Padanìa (poi volgarmente registrata con l’accento sulla seconda a, in una banalizzazione rispetto ai modelli omologhi). Proprio a Bologna, nel Trecento, la sensibilità vivace, espressionistica, colorita di Vitale degli Equi definisce un linguaggio sapido e quasi umoristico rispetto a quello di Giotto e dei suoi seguaci. E così sarà anche nei secoli successivi, sempre a Bologna, con la scultura drammatica e dolente di Niccoló dell’Arca rispetto ai grandi scultori fiorentini. E questo umore troveremo in Amico Aspertini rispetto Raffaello.
Sempre di più gli studi definiranno le caratteristiche genetiche delle diverse aree culturali. Così sarà per i veneti, per i piemontesi, per i lombardi, per i romagnoli, per i marchigiani, per i romani, per i meridionali, per i sardi, per i siciliani, ognuno con lessici e inflessioni diverse. Per questo s’illustra il “Tesoro d’Italia” attraverso l’esposizione di campioni dal Trecento al Novecento, Regione per Regione, sottolineandone le peculiarità e i segni distintivi anche nell’evidente aspirazione se non a uno stile, a uno spirito unitario. Nei grandi musei internazionali le numerose opere italiane sono registrate come “Italian School”. Sono veneziani padovani ferraresi bresciani bergamaschi liguri piemontesi toscani marchigiani abruzzesi umbri napoletani romani siciliani. Le diversità contano meno delle affinità. Il loro variegato insieme è l’Italia. Farinetti sottolinea la biodiversità dei prodotti italiani; e questo trova puntuale riscontro nei prodotti più alti della creatività italiana.

Focus – Le opere de “Il Tesoro d’Italia”
A significative opere prestate da prestigiosi musei e istituzioni italiane, tra cui, solo per fare alcuni esempi, la Galleria degli Uffizi di Firenze, il Museo di Capodimonte di Napoli, l’Accademia Nazionale di San Luca di Roma, la Galleria Nazionale di Parma e la Galleria Nazionale delle Marche di Urbino, si affiancano “tesori segreti” provenienti da importanti collezioni private (collezione Molinari Pradelli; collezione Koelliker; collezione Franco Maria Ricci; collezione Gianfranco Luzzetti; collezione Di Persio) e luoghi meno accessibili (tra cui piccoli borghi, con le loro preziose raccolte civiche e le loro chiese); opere, dunque, poco frequentate, in percorsi meno battuti, che documentano, in modo ancor più significativo, la densità della trama artistica del Bel Paese.
La storia della Valle d’Aosta è raccontata attraverso la Cassa reliquiario della mandibola di san Grato del Museo del Tesoro della Cattedrale di Aosta e un dipinto di Italo Mus. Il Piemonte attraverso le opere di Macrino d’Alba, Defendente Ferrari, Tanzio da Varallo, Ignazio e Filippo Collino, Giuseppe Maria Bonzanigo, Angelo Morbelli, Felice Carena. La Liguria attraverso le opere di Barnaba da Modena, Bernardo Strozzi, Luigi Miradori detto Genovesino, Alessandro Magnasco, Domenico Guidobono, Giovanni Benedetto Castiglione detto Grechetto, Gioacchino Assereto. La Lombardia attraverso le opere di Agostino da Lodi, Andrea Solario, Giacomo Ceruti, Gaspare Landi, Gianfranco Ferroni, Piero Ghizzardi. L’Emilia attraverso le opere di Vitale da Bologna, Cosmè Tura, Josaphat Araldi, Dosso Dossi, Bastianino, Carlo Bononi, Bartolomeo Passerotti, Ludovico Carracci, Paolo Antonio Barbieri, Guido Reni, Giuseppe Maria Crespi, Giorgio Morandi, Antonio Ligabue. La Romagna attraverso le opere di Giovanni da Rimini, Francesco Zaganelli, Ferraù Fenzoni, Guido Cagnacci, Maestro della fiasca di Forlì.
Il Veneto attraverso le opere Giovanni Bellini, Cima da Conegliano, Bartolomeo Montagna, Tiziano, Veronese, Giovanni Battista Piazzetta, Giovanni Battista Pittoni, Canaletto, Virgilio Guidi, Cagnaccio di San Pietro. Il Trentino e l’Alto Adige attraverso le opere di Michele Pacher, Alessandro Vittoria, Luigi Bonazza, Pietro Ricchi, Roberto Iras Baldessari, Umberto Moggioli, Tullio Garbari, Gigiotti Zannini, Karl Plattner. Il Friuli Venezia Giulia attraverso le opere di Antonio Carneo, Arturo Nathan, Carlo Sbisà, Vittorio Bolaffio, Francesco Asco, Mario Montececcon, Afro. La Toscana attraverso le opere di Masaccio, Sassetta, Luca Signorelli, Donatello, Neroccio di Bartolomeo de’ Landi, Andrea Sansovino, Giorgio Vasari, Bartolomeo della Gatta, Pontormo, Bernardino Mei, Pietro Paolini, Francesco Montelatici detto Cecco Bravo, Francesco Botti, Sebastiano Mazzoni, Rutilio Manetti, Livio Mehus, Vittorio Corcos, Gino Severini. Le Marche attraverso le opere di Pietro Alemanno, Lorenzo Lotto, Nicola di Maestro Antonio d’Ancona, Vincenzo Pagani, Carlo Magini, Giovanni Francesco Guerrieri, Quirino Ruggeri, Anselmo Bucci. L’Umbria attraverso le opere di Matteo da Gualdo, Benedetto Bonfigli, Perugino,Giovanni Domenico Cerrini detto il cavalier Perugino, Alberto Burri, Riccardo Francalancia.
Il Lazio attraverso le opere di Antoniazzo Romano, Liberale da Verona, Cristoforo Scacco, Gian Lorenzo Bernini e Antonio Chicari, Alessandro Algardi, Giovan Battista Gaulli detto Baciccio, Mario de Fiori e Carlo Maratta, Filippo Lauri, Pier Francesco Mola, Pietro da Cortona, Antonio Gherardi, Pompeo Batoni, Giuseppe Cades, Giacomo Balla, Alberto Savinio, Scipione. Il Molise attraverso le opere di Teodoro D’Errico, Michele Greco da Valona. L’Abruzzo attraverso le opere di Giacomo da Campli, Nicola da Guardiagele, Saturnino Gatti, Pedro de Aponte, Francesco Paolo Michetti, Costantino Barbella, Michele Cascella, Teofilo Patini. La Campania attraverso le opere di Polidoro da Caravaggio, Maestro del Giudizio di Salomone, Battistello Caracciolo, Francesco Guarino, Bernardo Cavallino, Giovanni Do, Filippo Angeli detto Filippo Napoletano, Filippo Falciatore, Gaspare Traversi, Antoon Pitloo, Raffaele Belliazzi, Gioacchino Toma, Attilio Pratella, Antonio Mancini, Michele Cammarano, Salvatore Fergola. La Puglia attraverso opere come la Colomba eucaristica del XII secolo della Basilica Santo Sepolcro di Barletta e i capolavori di Bartolomeo Vivarini, Lorenzo Lotto, Paolo Finoglio, Giuseppe De Nittis, Gaetano Martinez, Giuseppe Ar. La Basilicata attraverso le opere di Giovanni da Nola, Andrea Mantegna, Maestro di Palazzo San Gervasio, Michele Tedesco. La Calabria attraverso le opere di Francesco Cozza, Mattia Preti, Francesco Solimena, Umberto Boccioni. La Sicilia attraverso le opere di Matthias Stom Giacomo Serpotta, Renato Guttuso, Fausto Pirandello. La Sardegna attraverso le opere di Brancaleone Cugusi da Romana, Giuseppe Biasi, Francesco Ciusa, Mario Sironi, Costantino Nivola.

Focus - “Il Tesoro d’Italia” & le altre esposizioni
In coincidenza con “Il Tesoro d’Italia” sono allestite tre mostre. La prima è situata nelle aree condivise del Nord e Sud Italia dentro Eataly. Sono esposti artisti contemporanei di ogni Regione d’Italia. Dalla Valle d’Aosta: Marco Jaccond; dal Piemonte: Carol Rama, Santo Alligo, Franco Giletta e Ezio Gribaudo; dal Trentino: Paolo Vallorz, Paolo Colombini, Franco Chiarani, Luigi Prevedel, Luciano e Ivan Zanoni; dalla Lombardia: Giuseppe Bergomi, Ugo Riva, Livio Scarpella, Antonio Pedretti, Maurizio Bottoni, Claudio Baroni, Luigi Serafini e Mr. Savethewall; dal Friuli: Getulio Alviani; dal Venezia Giulia: Franco Dugo; dalla Liguria: Alessandro Gallo, Paola Nizzoli e Gaetano Pesce; dall’Emilia: Sergio Monari, Lauro Neri, Bertozzi & Casoni e Enrico Robusti; dall’Alto Adige: Peter Demetz, Aron Demetz e Willy Verginer; dalle Marche: Claudio Sacchi, Massimo Mariano, Giuliano Giuliani, Gió Pomodoro e Enzo Cucchi; dal Molise: Antonio Finelli; dall’Abruzzo: Alberto di Fabio; dalla Campania: Elio Waschimps, Onofrio Pepe e Antonio Nocera; dalla Basilicata: Mimmo Centonze; dal Veneto: Enrico Castellani, Alessio Tasca, Cesare Sartori e Marzio Tamer; dalla Toscana: Andrea Martinelli, Luca Crocicchi, Savina Amodeo, Manlio Amodeo, Filippo Dobrilla, Giuliano Vangi e Patty Nicoli; dalla Romagna: Margherita Manzelli; dalla Puglia: Roberto Ferri; dalla Sardegna: Lino Frongia e Anna Gardu; dalla Sicilia:  Piero Guccione, Girolamo Ciulla, Giacinto Bosco, Paolo Amico, Giovanni Iudice, Giuseppe Veneziano e Carmine Susinni; dal Lazio: Piero Pizzi Cannella e Renato Mambor; dalla Calabria: Giuseppe Gallo e Luca Viapiana. Da Berlino è presente il ferrarese Adelchi Riccardo Mantovani.
Oltre agli artisti viventi sono esposti alcuni recentemente scomparsi (Alberto Burri, Alberto Sughi, Mario Schifano, Angelo Davoli, Federico Bonaldi, Mimmo Rotella, Salvatore Emblema, Michelangelo Antonioni, Balthus, Gino Severini e Ilario Fioravanti).
Il riferimento a Balthus e ad Antonioni introduce al secondo percorso della mostra: quella delle sculture all’aperto, una parte delle quali realizzate con la tecnica del mosaico e ospitate in spazi coperti e semi coperti. Oltre alla “Stanza turca” di Balthus e alla “Montagna incantata” di Antonioni sono realizzate in mosaico, nei laboratori di Ravenna, le opere di Paolo Schmidlin, Nicola Bolla, Giuseppe Ducrot, Roberto Barni, Giuseppe Bergomi, Girolamo Ciulla, Antonello Paladino Santè, Leonardo Pivi, Nicola Samorì, Livio Scarpella e Sergio Zanni e Athos Ongaro, che da tempo realizza le sue sculture in mosaico. Un’altra mostra, organicamente legata alla sezione degli scultori in mosaico è quella della scultura all’aperto, in un denso percorso che parte dai Cavalli di Messina per l’Esposizione Universale di Roma del 1942 (E-42) e dalla grandiosa Maternità di Melotti sempre per (E-42) fino ad oggi mai uscita dal laboratorio Nicoli di Carrara dove fu realizzata e presente anche con una scultura di Patty Nicoli. L’esposizione continua con una grande scultura come l’allegoria di un naufragio di Giuseppe Maraniello in collisione con le due navi (“Oltre il mare”) di Antonio Nocera. Da lì si snoda con opere di Luciano Zanoni, Gaetano Pesce, Ivan Zanoni, Giacinto Bosco Giuseppe Bergomi, Ugo Riva, Onofrio Pepe, Giò Pomodoro, Marco Lodola, Luigi Prevedel, Paolo Colombini, Ilario Fioravanti, Filippo Dobrilla, Giuliano Giuliani, Sergio Monari e Carmine Susinni. Al centro del parco domina la Macchina di Santa Rosa di Viterbo alta circa 30 metri, bene immateriale tutelato dall’Unesco con riferimento alle feste popolari e religiose.
La terza mostra che inaugura contestualmente è relativa all’“Immagine dell’Italia attraverso la fotografia” a cura di Italo Zannier e Vittorio Sgarbi, anch’essa ripartita per regioni con una scelta di autori che indicano l’essenza dei luoghi, delle persone e dei costumi: Vittorio Sella per la Valle d’ Aosta; dal Piemonte Riccardo Moncalvo; dalla Lombardia Cesare Colombo, Giovanni Gastel, Giorgio Lotti e Theo Volpatti; dal Trentino Floriano Menapace; dal Veneto Fulvio Roiter; dal Friuli Venezia Giulia Donato Riccesi e Ulderica Da Pozzo; dalla Liguria Sergio Fregoso e Giuliana Traverso; dall’Emilia Romagna Nino Migliori, Guido Guidi e Luigi Ghirri; dalla Toscana George Tatge e Max Laudadio; dall’Umbria Franco Fontana; dalle Marche Mariano Andreani e Guido Guidi; dalla Campania Cesare Gerolimetto; dall’Abruzzo Nicola Smerilli; dal Molise Nicola Smerilli, Mario e Giuseppe Folchi; dalla Puglia Giuseppe Cavalli; dalla Basilicata Pino Settanni; dalla Calabria Roberto Salbitani; dalla Sicilia Giovanni Chiaramonte; dalla Sardegna Franco Pinna e Chiara Samugheo; dal Lazio il Conte Primoli.
All’ingresso del “Il Tesoro d’Italia” vi sono alcune opere simbolo come la “Persephone alias Donna Carota” dell’autore enciclopedico del “Codex seraphinianus”, conosciuto in tutto il mondo, Luigi Serafini; e come il tavolo intarsiato con circa 2000 figure di Lampridio Giovanardi, realizzato intorno all’immagine del palazzo di Cristallo per la prima Esposizione Universale di Londra del 1851. Segue e apre la mostra un abito che interpreta la canestra di frutta di Caravaggio di Lella Curiel. Introduce alla mostra la decorazione del pavimento, ispirata ai mosaici di Piazza Armerina, di Gaetano Pesce. Nell’anti-sala vi sono alcune opere simbolo dell’Italia: la Divina Commedia illustrata da Amos Nattini, entro il monumentale mobile di Eugenio Quarti, i ritratti di Anita e Giuseppe Garibaldi di Girolamo Induno, il ritratto di Manzoni giovane, il busto di Verdi di Vincenzo Gemito e la portatrice di Domenico Rambelli.

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