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Gelardini & Romani, Hong Kong una scelta che paga. Anche nell’ultima vendita all’incanto, di scena al “Giando Restaurant”: 980 lotti sotto il martello, per un 98% di aggiudicazioni ad un totale di 500.000 euro. Al top Romanée-Conti e Masseto

Gelardini & Romani, su Hong Kong, ci hanno puntato da anni, dal 2010, quando l’epicentro delle aste di fine wine si stava inesorabilmente spostando verso Oriente. Una scelta lungimirante, e ripagata anche dall’ultima vendita all’incanto, di scena al “Giando Restaurant”, ristorante ovviamente italiano dello chef Giandomenico Caprioli, dove sono stati battuti i 980 lotti di “Grands Crus of Italy”. Alla fine, il 98% delle bottiglie è stato aggiudicato, per un totale di 500.000 euro. Tanto, specie se si pensa che la strategia della casa d’aste italiana non è quella di puntare sui big di Borgogna e Bordeaux, quanto proporre qualcosa di nuovo e diverso, a prezzi accessibili (www.grwineauction.com).
L’80% dei lotti, infatti, era rigorosamente tricolore, anche se al top delle assegnazioni, insieme a Masseto, Sassicaia e Brunello, ci sono proprio le bottiglie di Borgogna e Bordeaux: in testa una bottiglia di Romanée-Conti Drc 1986 (8.275,86 euro), quindi 6 bottiglie di Masseto 2001 (5.517,24 euro), bottiglie di Château Lafite Rothschild 1961 (3.448,28 euro), 6 bottiglie di Château Lafite Rothschild 1995 (3.448,28 euro). E ancora, 2 bottiglie di La Tâche Drc 1994 (3.448,28 euro), un Imperiale di Sassicaia 2001 (3.103,45 euro), 6 bottiglie di Château Ausone 1995 (2.758,62 euro), 2 bottiglie di Richebourg Drc 1989 (2.758,62 euro), 6 bottiglie di Brunello di Montalcino Riserva Soldera 1998 (2.482,76 euro) e 3 bottiglie di Grands Échezeaux Drc (2.482,76 euro).

“È un ottimo risultato - commenta Raimondo Romani a WineNews - che ripaga il lavoro di anni di promozione faccia a faccia con il pubblico asiatico, anni nel corso dei quali è cresciuta la credibilità e l’affidabilità del nostro brand ai loro occhi. D’altra parte analizzando nel dettaglio i risultati delle singole etichette in quest’ultima asta, appare evidente che a fare la differenza, ai fini della vendita, è stata l’attività di promozione pre-asta, piuttosto che la presenza in catalogo dei soliti nomi del vino italiano a cui sono legate le aste in Italia ma che, in Asia, non sono altrettanto noti”.
“La perdita di appeal dei Bordeaux - continua Romani - dovuto ai prezzi eccessivi, nell’immaginario collettivo dell’Estremo Oriente, è ormai una realtà concreta ed il pubblico ora ricerca qualità a prezzi competitivi. Questo fenomeno sta già avvantaggiando le nostre eccellenze con quotazioni attorno ai 50 euro (come Tignanello, Le Pergole Torte, Fiorano Boncompagni Ludovisi, Oreno, Barolo Giuseppe Rinaldi, Terra di Lavoro Galardi, solo per fare alcuni nomi) mentre faticano le etichette di impostazione “bordolese” oltre i 100 euro, come Ornellaia, Sassicaia, Solaia ... Gli “aia” oltre ad aver perso competitività sul prezzo rispetto ai Bordeaux, i quali dopo il crollo, sono diventati più abbordabili, non hanno rafforzato i propri brand attraverso un’adeguata promozione. Forse perché all’Asia sono stati privilegiati altri mercati più tradizionali e “comprensibili” come Usa, Canada, Svizzera; piuttosto che rischiare nell’esplorazione di un mercato lontano, dove però già si sta concentrando la maggior parte della ricchezza del pianeta e dove non tutti hanno gli strumenti per distinguere la qualità, pertanto è la promozione a fare la vera differenza. E se il marchio Italia può certamente rappresentare un plus nella promozione di un vino - conclude Romani - senza adeguati investimenti, in Asia il rischio di cedere posizioni importanti, anche nella fascia alta del mercato, alla Spagna, così come all’Australia o al Cile, non è poi così remoto”.

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