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Tralci di vite nascosti nella gabbie delle galline per superare i controlli, il ruolo de Missionari, le pergole di vigna fatte con tubi del gas dismessi in Canada: ecco il libro “Nel solco degli emigranti. I vitigni italiani alla conquista del mondo”

Il tema delle migrazioni è uno di quelli che accompagna da sempre la storia dell’umanità. E se oggi la cronaca ne parla soprattutto, gioco forza, in chiave tragica, il passato più o meno recenti ha scritto anche pagine dal sapore decisamente diverso sul tema. Come quelle raccontate nel libro “Nel solco degli emigranti. I vitigni italiani alla conquista del mondo”, a cura di Flavia Cristaldi e Delfina Licata (Edizioni Bruno Mondadori), in uscita in questi giorni e presentato al Museo dell’Emigrazione italiana al Vittoriano di Roma, che nasce da uno studio coordinato dall’Università “La Sapienza” di Roma, dalla fondazione Migrantes e dalla Società Geografica Italiana, che ha voluto tracciare la strada e l’influenza sul paesaggio dei vitigni nostrani portati dagli emigranti in giro per il mondo. Una ricerca che si sposta in 19 paesi, dall’America all’Africa, dall’Australia alla più vicina Europa, raccogliendo storie, testimonianze e immagini di un percorso eno-culturale ampio e variegato, accomunate dal cliché degli italiani con la valigia di cartone, ma arricchito dall’insolito particolare di “tralci e talee di vite ben saldi sotto il braccio”.
Le storie e gli aneddoti che si intrecciano nel volume, spiega una nota Ansa, sono tra i più vari: dalle donne che mimetizzavano i tralci nelle gabbie delle galline per superare i controlli in Tunisia - dove forte era la resistenza francese ad avere concorrenza in materia enologica - alle pergole fatte dai nostri connazionali coi tubi del gas dismessi nella città di Toronto e al ruolo inedito dei missionari come divulgatori del sapere vinicolo, indotti dalla necessità di celebrare Messa e confezionare vino in ogni dove. Portare un tralcio di vite dall’Italia ha significato portare con sé la propria cultura e la propria tradizione, un segno tangibile della identità in un luogo altro. La ricerca nasce da un’idea di Flavia Cristaldi, docente di Geografia delle Migrazioni, e si avvale della competenza di geografi, sociologi, agronomi, winemakers, demografi, architetti e giornalisti. “Il nostro obiettivo - spiega Flavia Cristaldi - è quello di rintracciare i vitigni italiani sul territorio e considerare gli effetti che la sapienza vitivinicola, partita dalle diverse regioni italiane prima con i sacchi di iuta e le valige di cartone poi, ha depositato sul territorio, sia a livello paesaggistico che architettonico e toponomastico, trasformandolo anche profondamente”.
“Ad esempio nel mio soggiorno in Brasile - continua - mi sono imbattuta in una cittadina dove la toponomastica stradale “racconta” la colonizzazione italiana attraverso i nomi dei vitigni arrivati con i migranti già sul finire dell’Ottocento, Rue Uva Italia o Rue Moscato, o ancora Rue Barbera e dove un’improbabile statua del leone di San Marco troneggia nella piazza principale”.
“Rileggere l’emigrazione italiana - spiega Delfina Licata - è ciò di cui si ha maggiormente bisogno, ma bisogna farlo attraverso lenti nuove e prospettive diverse: attraverso la riflessione su specifici contesti e sulle attività legate al settore vinicolo abbiamo scelto di raccontare l’emigrazione di ieri e di oggi, i successi e gli insuccessi, le difficoltà superate e i fallimenti dei migranti italiani. E lo abbiamo fatto - sottolinea - creando un gruppo di lavoro multidisciplinare che ha messo insieme le proprie specificità lavorando armoniosamente alla pubblicazione di un volume che sia il racconto di un impegno, della tenacia di donne e di uomini, della storia e delle storie personali e delle famiglie italiane, che, mossi dalle motivazioni più varie, sono approdati all’estero portando con sé ciò che di più prezioso possedevano, la loro identità e la loro cultura, rappresentata da un tralcio di vite o da conoscenze secolari di come si costruisce un territorio e di come si produce un ottimo vino”.
Ma ancora oggi c’è molto da scoprire e da esportare, come ci mostrano le storie e le foto dei nuovi migranti del vino, come i nostri enologi ricercatissimi in India e in Cina, che stanno contribuendo a diffondere un tratto così identitario della nostra cultura. Affinare il palato di consumatori impensati è la scommessa del futuro, che, come evidenziato nella ricerca, giocheranno un ruolo non marginale verso i nuovi mercati.

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