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Analisi WineNews - I margini di crescita del vino italiano non potranno espandersi all’infinito. L’Italia del vino nei mercati del mondo è chiamata a concentrarsi non più sulla quantità, ma su posizionamento dei prezzi e valore delle esportazioni

Italia
Il vino italiano per crescere ancora alla caccia di un miglior posizionamento sugli scaffali del mondo

Non solo è un fatto sostanzialmente evidente, nei cicli economici, che un bene abbia un suo percorso di crescita, di stabilizzazione e poi di declino, ma, nello specifico dell’andamento delle performance economiche del vino tricolore, purtroppo, potrebbero addensarsi altri elementi, imprevisti o contingenti. Primo fra tutti, secondo un’analisi WineNews, una più difficoltosa espansione del vino italiano oltre confine che ha costituito l’asset fondamentale delle cantine del Belpaese per resistere e anzi dimostrarsi in controtendenza con la crisi finanziaria mondiale in atto ormai dal 2007.
Il consuntivo export del vino italiano (dati Istat) dicono di un 2014 in lievissima progressione (1,4%) sul 2013, con un valore che tocca i 5,11 miliardi di euro rispetto ai 5,04 del 2013, dopo tassi medi annui di crescita superiori al 9% tra il 2009 e il 2013. I motivi di tale frenata sono diversi ma ampiamente noti agli addetti ai lavori: dal giro di vite del Governo cinese ai rimborsi spese dei propri funzionari (il principale segmento di consumatori di vino importato nel Paese) allo “spiazzamento” subito dai nostri vini sfusi sul mercato tedesco ad opera del più competitivo prodotto spagnolo (la metà dell’export di sfuso italiano finisce in Germania e questa tipologia di vino pesa ancora per il 30% sui volumi complessivamente esportati). Ma al di là dei casi specifici, la tendenza di fondo sembra essere quella di un generale rallentamento dell’economia che sta interessando i principali mercati di consumo del nostro vino.
All’opposto, tra i principali sbocchi del nostro vino, aumentiamo negli Stati Uniti e in Germania e conteniamo il calo, peraltro noto, in Giappone. Ci avviamo ad affrontare un periodo interessante, caratterizzato da una forte turbolenza sui cambi, questa volta favorevole (vedi Rapporto Euro-Dollaro). Preoccupa invece la situazione della Russia, che sarà un osservato speciale nei prossimi mesi data la svalutazione del rublo. Il primo calo significativo è già avvenuto ad ottobre 2014 (dati Istat), -17%, guidato sia dagli spumanti che dai vini imbottigliati. C’è da aspettarsi che le cose possano ulteriormente peggiorare.
Nel 2015 c’è poi da affrontare, probabilmente, una scarsità di prodotto, vista la vendemmia 2014 molto scarsa (come segnalato sia da Assoenologi che da Ismea), che potrebbe portare ad un’ulteriore pressione sui vini sfusi, che continuano a calare a tassi compresi tra il 15% e 20%.
Nel 2014, il nostro export ha viaggiato leggermente sopra i 20 milioni di ettolitri annui, soltanto grazie al boom dei vini spumanti che crescono al ritmo del 14% e che rappresentano una fetta più importante del solito della torta. La spumantistica del Belpaese ha segnato un nuovo record, sui 12 mesi l’export è a 840 milioni di euro per un volume di 2,4 milioni di ettolitri. Dall’altro lato, le esportazioni degli spumanti Dop sono in crescita del 24%. Anche questo è un segnale che andrà seguito nel futuro.
Guardando a quanto accaduto nell’ultimo decennio è chiaro però che occorre mettere in atto diverse strategie, tra cui quelle di riposizionamento anche qualitativo in grado di spuntare prezzi medi più elevati per i nostri vini. A tale proposito basti pensare come dal 2007 al 2013 il prezzo medio all’export del vino italiano si sia apprezzato del 35%, passando da 1,83 a 2,47 euro/litro. Tale rivalutazione sottende, tra le altre cose, una riduzione dell’incidenza dello sfuso (sceso dal 33,6% al 28,5%) e un contestuale incremento del peso degli sparkling (dal 6,5% al 10,2%) e dei vini fermi (dal 59,9% al 61,3%) sui volumi totali dell’export.
Quali sono le opportunità e le criticità che influiscono su questo possibile scenario? Nel primo caso, l’appeal del made in Italy e la svalutazione dell’euro possono darci una mano: si pensi infatti che i 2/3 delle esportazioni finiscono al di fuori dell’area euro e le previsioni di Goldman Sachs indicano un rapporto di parità euro/dollaro entro il 2017.
Sul fronte delle criticità occorre invece ricordare come in molti mercati esteri l’Italia detenga ormai una quota di mercato significativa, rendendo più complicato prevedere dinamiche di crescita agli stessi ritmi dell’ultimo settennato. Su questo versante i casi sono due: o si amplia la presenza dei vini italiani nei mercati emergenti (l’export nei Bric pesa per meno del 5%), o si allarga la platea delle imprese esportatrici. Entrambe le direzioni di marcia richiedono però dimensioni competitive che molta parte delle nostre imprese vinicole non hanno rispetto ai competitor internazionali e, indubbiamente, le principali azioni dovrebbero prioritariamente riguardare questo ambito di intervento.
Nel breve periodo, e cioè guardando al 2015, la sfida si giocherà sul valore delle esportazioni, dato che sarà difficile mantenere i volumi a 20 milioni di ettolitri a partite dalla criticità della vendemmia 2014, come accennato. Se, da un lato emerge uno scenario di cambi favorevole, soprattutto per quanto riguarda il dollaro, dall’altro l’attuale scarsa esposizione ad alcuni mercati emergenti (ad eccezione della Russia) potrebbe costituire un buon terreno di sviluppo, fatto salvo il fatto però che in quei Paesi non si vedono segnali di miglioramento evidenti per i vini italiani. Una visione a medio-lungo termine, date queste premesse, indica in modo non rimandabile una maggiore attenzione da parte dei produttori del Belpaese a giocare una partita importante sul piano del riposizionamento dei prezzi e della qualità delle etichette tricolore. Un obbiettivo che non solo riveste un’importanza sul mero piano dell’incremento di valore dell’export, ma rappresenta un ulteriore mossa strategica rispetto alla competitività di Paesi produttori quali Spagna, Cile o Argentina, più forti sul piano dei prezzi di vendita e quindi sul piano dei vini più “cheap”, dove l’Italia dovrebbe giocare un ruolo sempre meno importante, proprio a seguito di un riposizionamento della propria produzione.

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