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Gli “italian young” del vino puntano al mercato cinese dove il consumo pro capite triplicherà entro il 2023 . A dirlo un’analisi di Nomisma Wine monitor e Agia-Cia sugli scenari attuali e futuri del mercato del vino mondiale, di scena a Vinitaly

Gli “italian young” del vino puntano al mercato cinese dove il consumo pro capite triplicherà entro il 2023 . A dirlo l’analisi “Focus Marketing analisi e approfondimento dell’universo giovane in agricoltura” di Nomisma Wine Monitor e Agia-Cia (Associazione giovani imprenditori della Confederazione italiana agricoltori), presentata al Vinitaly a Verona, sugli scenari attuali e futuri del mercato del vino mondiale. Gli oltre 24.000 giovani produttori di vino italiani punteranno così, secondo lo studio, alla conquista dei mercati asiatici, dove si sta rapidamente connotando il consumatore che risponde al target di riferimento: benestante e curioso. Oggi, ogni cinese consuma solo poco più di un litro di vino l’anno.

Con la questione dell’embargo russo che complica notevolmente gli spazi di mercato appetibili per i nostri vini, all’orizzonte il mercato da aggredire sarà quello asiatico, con la Cina in testa. Infatti, dopo il mercato Usa che cresce del 37% in 13 anni e, appunto, quello russo che nello stesso periodo si era sviluppato del 121%, i consumatori con “gli occhi a mandorla” sono quelli in crescita costante, segnando un più 57%. Tra l’altro, si stima che entro il 2023 aumenterà di circa il 50% il numero dei cinesi benestanti, quindi “consumatori ideali” per il nostro vino italiano di qualità.

Secondo lo studio, le aziende dei giovani produttori di vino italiani crescono in proporzione il doppio delle aziende “senior” con la metà del credito, usano la rete e i social media per promuovere le loro bottiglie dentro e fuori i confini nazionali e studiano marketing. Ma sono ancora pochi e scontano la scarsa visibilità sulle vetrine promozionali più rilevanti per il settore.

Questi nuovi produttori di vino sono necessari per favorire quell’auspicabile ricambio generazionale che nel nostro Paese stenta a decollare, sottolinea Agia-Cia, che segna il passo anche in Europa dove solo il 7,5% dei produttori ha meno di 35 anni. Quindi, nonostante oggi l’Italia vanti primati da record nel comparto (è il secondo Paese produttore e il primo Paese esportatore in volume al mondo) e conta circa 450.000 aziende, di cui 384.000 con vite e 63.000 vinificatrici, solo il 3-4% dei titolari d’impresa ha un’età inferiore ai 40 anni.

Eppure nell’immaginario collettivo, l’agricoltura non sembrerebbe più un settore “vecchio”, infatti cresce l’interesse dei giovani per il mondo agricolo e per “la cultura del mangiare e del bere”, come dimostra “l’esplosione” di iscrizioni alle Facoltà di Agraria e la preferenza per corsi che formano al “vino”, spiega Agia-Cia. Dall’inizio della crisi, infatti, c’è stato un picco di immatricolazioni ad Agraria (40%) a fronte di una flessione generalizzata delle iscrizioni all’Università (-12% in cinque anni) e oggi in Italia ci sono oltre 20 corsi di laurea, 449 corsi post-laurea e ben 5.000 corsi di specializzazione.

L’identikit dei giovani produttori di vino? Hanno tra i 25 e i 36 anni e posseggono un’istruzione medio-alta (75% diplomati e 15% laureati); parlano inglese e oltre il 90% ha un’ottima conoscenza del web, in otto casi su dieci si connettono quotidianamente a Internet, mentre in 5 casi su dieci usano la rete per promuovere i propri prodotti, in questo modo raggiungono più facilmente i consumatori, ampliando la propria clientela. Ma non solo: soprattutto con i social media, che consentono un rapporto estremamente diretto con il pubblico, possono condurre indagini di mercato per comprendere e anticipare i gusti e le esigenze dei compratori, orientando la propria offerta. Il 60% ha rilevato l’impresa di famiglia e più della metà svolge attività multifunzionali (es. degustazioni in azienda). Per il futuro, il 52% dei giovani produttori spera di espandere la sua attività e il 78% vuole ampliare i suoi canali commerciali (vendita diretta, e-commerce, etc.).

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