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Il futuro del vino passa per la biodiversità, che garantisce sostenibilità e vocazionalità. Così il convegno “Dalla biodiversità del suolo alla qualità dei vini, strategie e pratiche agronomiche per un futuro sostenibile”, di scena a Vinitaly

Italia
La biodiversità del terreno ricchezza del vino

Nel panorama della viticoltura, il tema della biodiversità è sicuramente tra i più attuali, dibattuti e sviscerati, capace ormai di coinvolgere, secondo il primo Rapporto sulla sostenibilità dei vini del “Forum per la sostenibilità del vino” 2014, un terzo del prodotto interno lordo del vino, per un valore stimato di 3,1 miliardi di euro di fatturato, con la partecipazione di oltre 500 aziende e 31 tra Università e Centri di ricerca. Un trend considerato strategico dall’80% delle aziende coinvolte nel Forum per lo sviluppo del proprio business, ed è in aumento costante anche il gradimento dei consumatori per i vini sostenibili, capaci di arrivare sullo scaffale ad un prezzo maggiore. Ecco le premesse del convegno “Dalla biodiversità del suolo alla qualità dei vini, strategie e pratiche agronomiche per un futuro sostenibile”, organizzato da “L’Informatore Agrario” nella cornice di Vinitaly, di scena a Verona fino a domani (www.vinitaly.com).
Ma la biodiversità non è certo un concetto astratto, tutt’altro, è prima di tutto il risultato di una pratica agronomica ed infatti, se le radici sono il “cervello” della vite, è il terreno a giocare un ruolo fondamentale, ed è proprio la biodiversità ad esaltarne la vocazionalità, e la scelta di pratiche sostenibili a migliorarne le condizioni, come dimostrano i risultati dello studio sviluppato su 17 aziende da Nord a Sud del Belpaese (Pradio, San Giovanni, Barone Pizzini, Bosio, Ca’ del Bosco, Castello di Gussago, Cavalleri, Corte Bianca, Guido Berlucchi, Il Mosnel, Uberti, Ruffino, Degli Azzoni, La Contessa, Pratum Coller, Pievalta e Milazzo) nel corso del 2014 dal Disaa dell’Università di Milano e dallo Studio Agronomico Sata, con la partecipazione della Fondazione Mach di San Michele all’Adige. Al centro, i dati, perché “per capire quali sono le pratiche realmente virtuose - spiega il professor Leonardo Valenti, professore di viticultura all’Università di Milano, e tra i protagonisti della ricerca - è necessario metterle alla prova. La discussione tra chi fa viticoltura tradizionale, biologica e biodinamica deve trovare un nuovo terreno di confronto pragmatico e non dogmatico, basato sui risultati ottenuti e misurati, quale convalidazione della bontà della tecnica. Questa impostazione dovrebbe tracciare una viticoltura basata su esperienze estese e largamente condivise”. Del resto, i risultati sembrano tangibili, almeno secondo i dati raccolti dal professor Cristos Xiloyannis del DiCEM dell’Università della Basilicata, che sottolinea come “in circa dieci anni di gestione sostenibile abbiamo registrato l’aumento della sostanza organica, della biodiversità microbiologica e della macroporosità nel suolo con un incremento della riserva idrica in profondità. Cambiamenti positivi che hanno comportato nel contempo una significativa diminuzione dell’impronta del carbonio e dell’acqua”.
Misurare la biodiversità del suolo, essenzialmente, equivale a misurarne la stessa vitalità, come emerge dall’intervento del professor Enzo Mescalchin, del Fem di San Michele all’Adige, che ha provato, riuscendoci, a fornire un metodo di valutazione il più oggettivo possibile, riducendo appena a 6 il numero degli indicatori della biodiversità, che la letteratura scientifica quantifica addirittura in 531: valutazione visiva del suolo, misura della compattezza del suolo, cromatogramma su carta, Indagine Qbs-ar sulla microfauna del suolo, presenza di lombrichi, contenuto in rame e micorrizze sulle radici, sufficienti a permettere di misurare in modo indiretto, efficace e rapido l’attitudine dell’azienda a raggiungere un buon livello di biodiversità. È importante, infatti, nella dispersione di studi e progetti, fornire informazioni utili alle scelte agronomiche, e che diano un riscontro efficace sulla situazione aziendale, proprio a partire dal suolo, l’ambiente che accoglie le radici, da cui, in un certo senso, tutto ha inizio.
“Teniamo presente - ha detto Enzo Mescalchin - che nel sistema viticolo italiano il bilancio della sostanza organica nel terreno è in deficit. Per fare un esempio, tra il 1980 e il 2011 su un campione di 63 suoli vitati in Trentino siamo passati dall 3,2% a 2,6% di sostanza organica”. “Osservazione del suolo e valutazione di specifici indici di biodiversità, dalla densità delle coltivazioni arboree ed erbacee alle aree umide alla microfauna come i lombrichi, hanno evidenziato in generale aspetti di eccellenza. Tuttavia - ha spiegato Pierluigi Donna, dello Studio Agronomico Sata - alcune aziende mancano della valutazione dell’impronta carbonica o mostrano un minimo impatto ambientale ma limiti nello sfruttamento”. Considerato come l’”anno zero” per le misurazioni in queste aziende, nei prossimi anni la prospettiva è di valutare i progressi sulla biodiversità del terreno grazie a tecniche agronomiche virtuose.
I primi risultati mostrano un quadro da cui è possibile aspettarsi dei miglioramenti, ma è importante ricordare un aspetto, il valore economico che deriva dalla biodiversità dei vigneti. Che non sta solo nel prezzo finale della bottiglia che i wine lover, particolarmente sensibili a ciò che riguarda ambiente, paesaggio e sostenibilità, sono disposti a pagare, ma anche nel rapporto, difficile da quantificare, (ma non impossibile, ndr) tra benessere collettivo e risorse ambientali. “I servizi all’ecosistema resi dalle aziende - spiega il professore Francesco Marangon del Dipartimento di Scienze Economiche e Statistiche dell’Università di Udine - andrebbero approfonditi. La gestione delle vigne e delle cantine attenta alla cosiddetta Triple Bottom Line (principi della sostenibilità economica, ambientale e sociale) sta riscuotendo sempre maggior interesse, nel Vecchio come nel Nuovo Mondo, ed in effetti paga, perché il consumatore finale riconosce ad un contesto paesaggistico rispettoso dell’ambiente un valore, che può trasformarsi in valore economico, sia nell’esperienza turistica che nella bottiglia di vino, così come di tanti altri prodotti della terra”. Senza dimenticare che, anche in termini di gestione del vigneto, spesso e volentieri un approccio che rispetti la biodiversità può rivelarsi economicamente conveniente, specie a lungo termine.

Focus - La parola alle aziende
Le aziende che complessivamente hanno partecipato al monitoraggio con lo studio SATA sono 17. Pradio (Grave del Friuli), Sangiovanni (Valtenesi), Barone Pizzini, Bosio, Ca’ del Bosco, Castello di Gussago, Cavalleri, Corte Bianca, Guido Berlucchi, il Mosnel, Uberti (Franciacorta), Ruffino (Chianti), Degli Azzoni (Colli Maceratesi), La Contessa, Pratum Coller (Montenetto), Pievalta (Verdicchio, Castelli di Jesi) e Milazzo (Sicilia).

“Abbiamo iniziato 12 anni fa con una prova di viticoltura biologica su 10 ettari - ha detto Arturo Ziliani (Guido Berlucchi, produttore leader con 4 milioni di bottiglie prodotte in Franciacorta). Gestendo l’irrigazione abbiamo dimezzato da 5 a 3 litri di acqua per ogni bottiglia di vino prodotto, la viticoltura di precisione ha inoltre permesso di calibrare gli interventi agronomici in chiave sostenibile”.
“Abbiamo iniziato 10 anni fa a collaborare con lo Studio SATA - ha detto Enrico Dalla Nora? (Pradio, produttore dal 1972 in Friuli Venezia Giulia nell’area del Grave). Cambiando sistema di irrigazione le piante hanno reagito positivamente sviluppando radici e sfruttando al meglio le risorse idriche”.
“Oltre alla biodiversità abbiamo sposato un progetto per valutare la nostra impronta carbonica, razionalizzare i fitofarmaci e utilizzare l’agricoltura di precisione” ha detto Valeria Fasoli (Tenute Ruffino, produttore toscano con 400 ettari vitati). Un anno di esperienza slla biodiversità è stato solo il punto di partenza per lavorare su questo tema”.
“Utilizziamo la variabilità nella composizione dei terreni e, in particolare, le aree con la massima qualità nella biodiversità del suolo per realizzare vini di elevata qualità” ha detto Gianfranco Canullo (Degli Azzoni, produttore nelle Marche). In particolare abbiamo riscontrato coerenza tra le aree con vigneti utilizzati per riserve e suoli con la massima espressione della biodiversità”.
“Il nostro territorio presenta una grande variabilità nelle caratteristiche dei suoli” ha detto Giuseppe Notalbartolo (Milazzo, produttore in Sicilia). Il progetto con SATA rappresenta la punta di diamante di una fervida attività nel nome della sostenibilità”.

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